CSN&Y
Quella di Crosby, Stills, Nash & Young è una storia tutta particolare nel mondo della musica rock. Non è la storia di un vero gruppo, piuttosto di quattro individualità, quattro personalità legate da un rapporto artistico ed umano che avrebbe fatto la felicità di Sigmund Freud. Graham Nash coglie bene l’aspetto umano della vicenda quando, dopo anni di vicissitudini in bilico tra armonia e odio, afferma che “non importa quanto sanguinosamente noi si possa litigare, alla fine, come accade tra fratelli, ci sono dei legami invisibili che non si possono spezzare”. Più difficile risulta spiegare le decisive motivazioni artistiche di un sodalizio così fragile eppure così duro a morire, a meno che non si voglia ricorrere al consunto cliché della combinazione chimica. La verità è che questa cosa inafferrabile, imprevedibile e stupefacente che è il rock’n’roll non risponde alle leggi che governano l’universo: due più due fa invariabilmente quattro per la matematica, ma può fare cento, o mille, o zero per la musica. Crosby, Stills & Nash sono dei buoni musicisti ma è la combinazione dei tre insieme a produrre un tutto che è infinitamente superiore alle parti (caso tutt’altro che raro, si pensi ai Beatles!). Per Neil Young il discorso è diverso: fedele al proprio ruolo di “loner”, lui non ha mai permesso che il proprio fluido si combinasse e reagisse con quello degli altri, preferendo “poggiare” la propria eccezionale capacità artistica sulla combinazione CSN, esaltandola ma minandone irrimediabilmente l’equilibrio umano, con il proprio comportamento egocentrico. La storia di CSN&Y è importante non solo per la musica che hanno fatto, ma anche per il modo in cui ciascuno di loro ha attraversato quasi quaranta anni di storia del mondo giovanile, incarnando le aspirazioni di almeno tre generazioni, nella speranza come nella disfatta.
Ormai chiunque sa cos’è stato il ‘68. Pertanto, si ricorderà molto celermente che nel 1968 l’America viene divorata dalla contestazione giovanile, ovvero i giovani prendono atto della propria forza: non vogliono più solo prepararsi ad essere adulti, come hanno fatto sino i loro coetanei fino ad ora, ma vivono, tra ansie ed entusiasmi, la bellissima speranza di poter cambiare lo stato delle cose. Il rock, prima forma d’arte di matrice giovanile nella storia di comunicazione di massa, dà voce (come già tredici anni prima, nel 1956, anche se in maniera diversa) a questo coacervo di emozioni e sensazioni.
David Crosby c’è già dentro fino al collo; nato a Los Angeles nel 1941, è stato nei Byrds, gruppo nato come risposta americana ai Beatles e lungo la strada evolutosi fino a diventare espressione di quella parte del movimento che, nel coltivare i propri ideali, tra cui quello di fare nuove esperienze, entra in pericolosa confidenza con gli acidi. Dopo aver fatto nei Byrds da leader filosofico più che artistico (poche le sue canzoni di rilievo, tra cui, però, non può essere dimenticata “Everybody’s Been Burned”, da Younger Than Yesterday), Crosby lascia il gruppo per dissidi interni e, dopo aver per un po’ vagabondato con la sua leggendaria barca a vela, proprio nel 1968 si accompagna ad un altro giovane di belle speranze, Stephen Stills. Questi ha già inciso tre dischi con i Buffalo Springfield, formazione in cui militavano anche Neil Young e Richie Furay. I Buffalo hanno consegnato al mondo una serie di fragili e meravigliose canzoni, la più bella e più importanti delle quali, nonostante Neil Young, resta una composizione di Stills, “For What It’s Worth”, che in breve diventa un inno per oltre una generazione di pacifisti. I Buffalo si sono sciolti per contrasti personali.
Dunque, Crosby e Stills iniziano a girare insieme suonando in piccoli club californiani, e ben presto si rendono conto di aver bisogno di un harmony singer. Il caso vuole che nel febbraio ‘68 gli Hollies, gruppo di punta dell’easybeat britannico, titolare di una trentina di successi piuttosto “acqua e sapone” nobilitate però da pregevoli arrangiamenti vocali, fanno un breve tour negli Stati Uniti. Graham Nash, cantante e co-leader degli Hollies assieme ad Allan Clarke, è in un periodo di crisi nei confronti del gruppo, che gli impedisce di maturare la propria creatività in direzioni diverse dal pop-rock adolescenziale. Conosciuti Crosby e Stills, e fortemente colpito dall’atmosfera eccitante che si respira in California, Nash decide quell’estate di tornare a trovarli. Ed è allora, nel salotto di una giovane cantante canadese di cui Crosby aveva appena prodotto il primo disco, Joni Mitchell, che Crosby, Stills e Nash suonano insieme la prima volta. Come ricorda Nash, “il salotto sembrò tremare, e io capii che avrei dovuto lasciare il mio paese, la mia famiglia e il mio gruppo, per cantare con loro”.
Dopo aver conquistato con il loro particolarissimo impasto vocale tutti coloro che li ascoltano, i tre decidono di fare sul serio. Assumono David Geffen come produttore e vi affiancano Elliot Roberts, produttore anche di Neil Young; poi firmano per la Atlantic di Ahmet Ertegun (che per strappare Nash dal contratto con la Epic, è costretto a cedere Richie Furay, che potrà così formare i Poco). Le registrazioni del primo disco iniziano in Inghilterra, dove Nash torna per tagliare i ponti, e proseguono poi, in un clima di grande armonia e collaborazione, a Los Angeles. Il disco è intitolato semplicemente Crosby, Stills & Nash, è completamente suonato e sovrainciso in studio, ed esce nel giugno del 1969. Alcuni irriducibili idolatri del “disco d’esordio” tendono a considerarlo l’insuperato capolavoro del trio, in realtà i lavori successivi saranno prove più mature e meno legate al “momento hippie”. L’equilibrio raggiunto dal gruppo è perfetto, e anche se la paternità di ogni singolo brano è agevolmente attribuibile, sarebbe sbagliato sottovalutare l’importanza dell’influenza reciproca dei tre protagonisti nella realizzazione dell’album. Nash, pur essendo il più immaturo dal punto di vista compositivo, ancora troppo legato agli schemi dell’easybeat britannico, conferisce al patrimonio comune un sicuro intuito melodico, oltre alla propria indiscutibile abilità vocale che rende spesso celestiali le armonie dei tre. La sua “Marrakech Express” diventa uno dei singoli trainanti dell’album. Stills sembra ancora un poco insicuro sulla strada da seguire, tendenzialmente portato verso un rock più grintoso ma forse “frenato” dal taglio prevalentemente acustico dato dai suoi compagni; se non altro sventa il pericolo di un’eccessiva sdolcinatezza. Tra le sue composizioni, splendida “Suite Judy Blue Eyes” dedicata con amore a Judy Collins, intessuta su di un fragile intreccio vocale che si carica di energia nel celebre coro finale. Chi emerge nettamente è David Crosby, maestro della dissonanza armoniosa, incapace di scrivere una partitura banale, è anche l’unico dei tre a produrre dei testi che valgono davvero l’album: una spanna sopra le composizioni degli altri, dalla celebratissima poesia acustica di “Guinevere” alla corposità elettrica di “Wooden Ships”, in cui si vagheggia la partenza verso un mondo nuovo, fatto di libertà (“l’orrore ci afferra quando vi vediamo morire, possiamo solo fare eco alle vostre grida angosciate… guardate come muoiono tutti i sentimenti umani, noi stiamo partendo, non avete bisogno di noi”), fino a “Long Time Gone”, altro inno hippie (“parla, devi parlare contro la pazzia delle cose, devi dire come la pensi se ne hai il coraggio, ma non cercare di sentirti migliore degli altri, altrimenti faresti meglio a tagliarti i capelli”).
Il disco ottiene un ottimo impatto sul pubblico, così Crosby, Stills e Nash si interrogano sul loro futuro. Emerge la necessità di andare in tour ma, per farlo, occorre almeno un chitarrista elettrico a supporto. Dopo avere invano cercato di convincere Stevie Winwood ad unirsi a loro, Stills sfrutta il tramite di Elliot Roberts, per tornare in contatto con il vecchio amico Neil Young (il quale nel frattempo aveva pubblicato due dischi: il debutto solista Neil Young e il più convincente Everybody Knows This Is Nowhere con i Crazy Horse). Dopo qualche perplessità iniziale, i quattro decidono di provare e nell’agosto del 1969 compaiono come CSNY all’ormai leggendario raduno di Woodstock. Il plauso di quella folla sterminata li convince di potercela fare. Ma quando in autunno entrano in sala di registrazione, sono tutti alle prese con gravi problemi personali: Crosby, in particolare, ha appena perduto la compagna Christine Gail Hinton (la Lady Christine di byrdsiana memoria), uccisa in settembre in un incidente stradale. In parte per questo motivo, in parte per la incapacità (o non volontà) di Neil Young ad integrarsi con gli altri senza riserve, l’armonia in sala è del tutto assente. Eppure, come talvolta accade, la tensione produce un grande risultato artistico, quell’imperdibile gioiello che è Deja Vu. La prima facciata è da consegnare direttamente alla leggenda, un brano per uno in una magnifica gara a superarsi in cui, alla fine, non ci sono sconfitti o vincitori assoluti. Apre “Carry On” di Stills, elettrico ed allucinato, con quegli incredibili impasti vocali vivificati da un’energia sconosciuta al primo disco; segue “Teach Your Children”, da un Nash che sorprende e finalmente si lancia oltre la canzonetta, pur restando fedele al proprio credo melodico (“insegnate ai vostri figli che l’inferno dei loro padri lentamente passerà e nutriteli con i loro sogni… i sogni che loro sceglieranno”); quindi Crosby con “Almost Cut My Hair”, in cui il significativo testo è sorretto da una forte struttura musicale; infine vengono i brividi lungo la schiena quando irrompe la voce inconfondibile di Neil Young a dipingere col suo timbro nasale la magnifica “Helpless”; chiude il lato A un brano a firma Joni Mitchell, lo splendido “Woodstock”, dedicato al raduno cui lei non ha potuto partecipare, ma che con questa eccezionale composizione ha contribuito a mitizzare. La magia prosegue sul secondo lato con “Deja Vu”, composizione di Crosby dall’andamento imprevedibile eppure armoniosissimo e con un arrangiamento vocale perfetto, frutto di quasi cento ore di registrazione; altre ottime vibrazioni vengono dall’acustica intimista “4+20” di Stills e dalla ballad “Country Girl” di Young. Nel novembre del 1969, a disco finito, Stills dice di sentirsi come se si fosse cavato un dente, ma su quel dente cala la stupefatta ammirazione di tutto il mondo. Confortati dal successo, i quattro partono per una grande tournée americana ed europea, durante la quale sembrano ritrovare una certa serenità. In seguito CSNY si concedono un periodo di break, durante il quale l’infaticabile Young va in tour con i Crazy Horse mentre Stills si ferma a Londra per registrare il primo disco solista.
Nel maggio del 1970 incidono Ohio scritta da Neil Young sull’onda della commozione per l’uccisione di quattro studenti durante una dimostrazione alla Kent University. Neil Young dirà che è il pezzo migliore mai inciso da CSNY, ed in effetti, pubblicato come singolo (sul lato B una versione live di Find The Cost Of Freedom) ottiene un successo immediato. Tra giugno e luglio una nuova serie di concerti scatena incontenibili entusiasmi, ma la scissione è imminente. Le ragioni sono: Young è al proprio top creativo e non vuole spendersi questo momento all’interno del gruppo, Stills e Nash litigano per via di un flirt con Rita Coolidge. Dopo lo scioglimento, tutti si dedicano ai propri lavori solisti, a prova del momento di eccezionale vena creativa di ciascuno. Neil Young pubblica in rapida successione gli essenziali After The Gold Rush e Harvest, mentre Crosby, Stills e Nash fanno uscire uno per uno i loro primi dischi solisti (ancora una volta, il capolavoro assoluto viene da Crosby: If I Could Only Remember My Name è la sublime espressione di uno dei più grandi e sottostimati talenti rock di tutti i tempi).
A corollare la “prima fase” di CSNY, la Atlantic decide di pubblicare, contro il parere dei quattro, il live Four Way Street. Sebbene ricco di sovraincisioni con cui è stato aggiustato, l’album è un’altra pietra miliare: nella parte acustica brillano “Chicago” di Nash, “On The Way Home” e “Don’t Let It Bring You Down” di Young e la sempre attuale “Love The One You’re With” di Stills (“Se non riesci a stare con la ragazza che ami, cerca di amare quella con cui stai”), nella parte elettrica si elevano le torride e lunghissime “Carry On” di Stills e “Southern Man” di Young, e specie in quest’ultima l’acida chitarra di Neil Young combatte con quella rovente di Stills.
Dopo lo scisma, Crosby e Nash si trovano a suonare insieme a un concerto per i reduci del Vietnam nel 1971. La forte amicizia cresciuta fra i due, cementata dal conforto in seguito alla morte di Christine Hinton, e forse anche dalla paura di entrambi all’idea di affrontare il mondo “da soli”, con alle spalle un così ingombrante passato e dinanzi così tante attese, porta alla nascita della loro collaborazione come duo. Crosby & Nash danno alle stampe nel 1972 il primo, omonimo album. Stills, dopo il suo secondo album solista, apre la parentesi, intensa ma breve, dei Manassas con cui registra due album.
Il 1973 e il ‘74 sono anni perduti dietro il sogno della riunione. Sembra fatta nel ’73, quando i quattro si rincontrano alle Hawaii e scrivono insieme del materiale, ma di ritorno in California tutto si sfalda di nuovo. Nel ’74 riescono addirittura a rimettere insieme una tournée di 35 date, di cui 27 in stadi, cosa che negli anni Settanta non era usuale come oggi; scontato il successo riscosso, e quasi scontato il fallimento delle registrazioni nei Sunset Studios dopo che era stato persino annunciato il titolo del disco della riunione: Human Highway, da una canzone di Neil Young. Anche dal tour non viene tratto alcun live, per volere di Young, secondo cui gli altri tre non avevano nulla da dire rispetto al passato. (Un box set retrospettivo sul tour arriva solo nel 2014, ovvero 40 anni dopo, ed è un “must” assoluto.)
Crosby e Nash tornano quindi in studio per pubblicare nel 1975 il favoloso Wind On The Water, che attinge al meglio del nuovo materiale dei due; l’anno dopo proseguono con Whistling Down The Wire e infine, nel 1977 sull’onda della reunion di CSN, con Crosby-Nash Live. L’accoglienza riservata al duo è tiepida, non certo per l’indebolimento della loro vena musicale, bensì probabilmente per il calo di tensione ideale che si va registrando nel corso degli anni Settanta. Come detto, CSNY erano stati esponenti di spicco del movimento di protesta giovanile, cui avevano fornito inni da ricordare e modelli da imitare. L’impegno sociale delle loro canzoni (di stampo prettamente americano, quindi ben diverso dall’impegno europeo di matrice rivoluzionaria, come i primi Clash) si era accompagnato a un valido sostegno musicale, ma soprattutto aveva tratto energia e linfa vitale dalla massa giovanile, che per le canzoni e gli interpreti si infiammava, ed in questi atteggiamenti si identificava. Nel momento in cui là fuori non c’è quasi più nessuno disposto a farsi trascinare da una protesta contro l’ingiustizia, quando il messaggio cade nel vuoto e non vi è più presenza di uno scambio emozionale tra artista e pubblico, anche il prodotto artistico ne risente inevitabilmente.
Nel mentre, nel 1976 accade che Stephen Stills, reduce da un’impressionante serie di fallimenti, nonostante i bei dischi, cerca rifugio presso Neil Young. I due hanno iniziato a coltivare il progetto di un disco insieme a Miami, e in un impeto di nostalgia, Young chiama Nash e Crosby ad unirsi a loro. Viene inciso del materiale da Crosby, Stills, Nash & Young di nuovo insieme, ma quando Crosby e Nash devono ritornare in California per ultimare il loro terzo disco, lasciato a metà, Stills e Young inspiegabilmente ne approfittano per cancellare le loro parti, con la pretestuosa motivazione che Crosby e Nash non saranno poi disponibili per il tour promozionale dell’album. Per un artista non c’è niente di peggio che vedere cancellato con un colpo di spugna il frutto della propria fatica, e la reazione di Nash e Crosby è furibonda, accusando gli altri due di mercenario opportunismo. Come per una punizione divina l’album della Stills-Young Band, intitolato Long May You Run, va maluccio e, dulcis in fundo, Young pianta Stills a metà del tour lasciandogli un famoso, laconico messaggio: “Caro Stephen, buffo come delle cose che nascono spontaneamente muoiono altrettanto spontaneamente. Mangiati una pesca. Neil”. Lo sconsolato Stills torna a casa in Colorado per scoprire che la moglie, la cantante francese Veronique Sanson, ha avviato le pratiche di divorzio.
Il ritorno di Stills con gli altri due è l’ennesima prova del legame inspiegabile che unisce questi soggetti. L’incontro avviene nel backstage del Greek Theatre di Los Angeles, dove Crosby e Nash tenevano un concerto. Dopo un momento d’imbarazzo, immediatamente l’abbraccio; ma non è solo per sentimentalismo che CSN tornano insieme, va anche detto che, da separati, i ragazzi non vendevano neanche la metà dei dischi che avevano venduto insieme. Il 1977 è l’anno in cui la riunione del trio trova terreno fertile. Infatti, dopo alcuni anni di stagnazione, un fremito di vivacità sta risvegliando la musica rock; i “grandi vecchi” si rendono conto di una rinnovata voglia di ideali e di ribellione da parte dei giovani, e provvedono (Bob Dylan e la Rolling Thunder Revue, con Joan Baez e The Band, torna a combattere una battaglia a colpi di chitarra per il pugile di colore Rubin Carter, ingiustamente accusato di omicidio; intanto Jackson Browne pubblica The Pretender e tenta di mobilitare i giovani contro inquinamento ambientale ed energia nucleare; e poi, oltreoceano, dai garage viene fuori a colpi di vomito il punk dei Clash e dei Sex-Pistols). Crosby, Stills & Nash non sono coinvolti in questo ardore, ma è evidente che una loro riunione, dopo un passato in prima linea, avrebbe facilmente suggestionato la massa giovanile. Con molta intelligenza i tre evitano comunque di cavalcare strumentalmente la tigre della protesta, che peraltro si rivelerà presto meno impattante di quanto sembri, e puntano tutto sull’altra loro prerogativa che aveva contribuito a creare il mito: la musica e le armonie vocali. Annunciato dapprima come Jigsaw Puzzle, il disco esce nel 1977 sotto il titolo Crosby, Stills & Nash. La elegante copertina annuncia che il nuovo credo dei musicisti si possa riassumere nella parola “raffinatezza”. Raffinate sono le melodie, che Stills spesso soffonde di ritmi sudamericani in omaggio agli anni dell’adolescenza trascorsa in Costarica (“Fair Games” e “Dark Star”); eleganti gli arrangiamenti acustici; stupefacente la compattezza dei cori, che conferiscono ulteriore classe ai brani. La gemma dell’album è senza dubbio un brano di Nash, tra le cose migliori da lui scritte, “Cathedral”, ispirato da una visita a Winchester Cathedral sotto l’effetto di droghe allucinogene. Questa volta è David Crosby a essere sottotono, il cui apporto si riassume in definitiva in “Shadow Captain”, di cui peraltro ha scritto solo le parole, sulle quali Craig Doerge è riuscito a cucire un rarefatto commento musicale molto crosbiano. Crosby, in questo momento, è in pieno declino artistico ma soprattutto è lanciato sulla strada dell’eroina. Proprio questa è la causa dell’interrompersi, ancora una volta, della storia. Anziché vedere, come promesso, un nuovo album per il 1978 ed un tour di cinque mesi, da qui in poi è difficile tracciare una storia coerente: nel bene e nel male, ognuno porta avanti la propria vita.
Nel settembre 1979 Nash, che di gran lunga resta il più equilibrato dei quattro, richiama i vecchi compagni per una serie di concerti al Madison Square Garden organizzata dal MUSE, associazione di musicisti antinuclearisti di cui Nash è uno degli animatori con Jackson Browne e Bonnie Raitt. Neil Young, alle prese con gravi problemi famigliari e una crisi di alcolismo, declina l’invito (tre brani dell’esibizione di CSN vengono pubblicati sul triplo No Nukes). Intanto Stills subisce l’umiliazione di vedersi rifiutare la pubblicazione di un disco già pronto. Gli anni Ottanta arrivano carichi di foschi presagi: Crosby, sempre più perduto nel suo incubo senza uscita, fa di tutto per alienarsi gli amici più cari. Stills e Nash decidono di provare un’accoppiata inedita ed entrano in sala di registrazione. Le armonie di Crosby vengono sostituite alla meglio con le voci di Timothy Schmit (Eagles), Mike Finnegan ed Art Garfunkel, e la registrazione si prolunga indefinitamente. Nel 1981, mentre Stills e Nash ancora lavorano, quale nuovo riempitivo esce Replay, antologia di Crosby, Stills e Nash senza inediti ma con versioni live di “Carry On” e “Give You Give Blind”. Nel 1982 il disco di Stills e Nash è praticamente pronto, ma la casa discografica rinuncia: “la ditta Stills-Nash non da sufficienti garanzie, bisogna che all’album partecipi anche Crosby!”. Nash, espostosi personalmente per 400.000 dollari, fa buon viso a cattivo gioco, racconta alla stampa che la mancanza di Crosby è divenuta lancinante, e lo richiama. Ovvio che, con un prodotto già finito, Crosby non può fare molto più che aggiungere qualche vocalizzo su pochi brani e consegnare due canzoni da lui già registrate per un chimerico album solista, “Delta” (che si rivela alla fine uno dei pezzi migliori del mediocre disco) e “Might As Well Have A Good Time”. Del resto Crosby non sarebbe stato in grado di fare di più. Daylight Again è la pagina più nera di questa storia, intessuto di una serie di anonimi rock “alla Toto”, e che non conserva nulla del tradizionale linguaggio musicale dei tre. Si salvano dal disastro artistico “Turn Your Back On Love”, che almeno è un po’ originale, e la title-track, missata con “Find The Coast Of Freedom” (come afferma Stills, “dopo averla scritta mi sono reso conto che era l’inizio che avevo sempre cercato per quella canzone”). Disastro artistico, ma non commerciale, in quanto Daylight Again guadagna il disco di platino e CSN sono chiamati alla rituale tournée, che si rivela un’altra, amarissima tappa del calvario di Crosby, arrestato ben due volte per possesso di armi da fuoco e di droga. I tre per la prima volta giungono in Italia nel 1983, con un buon concerto che regala emozioni, nonostante l’agghiacciante abulia di Crosby, tenuto segregato nella propria stanza d’albergo e non compare in alcuna occasione pubblica all’infuori dei concerti.
Allies, live che esce nel 1983, va un po’ meglio. Crosby non partecipa ai missaggi, Nash e Stills hanno il loro da fare per trovare delle sue esecuzioni degne di figurare, ma poi pescano una versione da brivido di “For Free” di Joni Mitchell, il pezzo migliore del disco. Ottime anche “Barrell Of Pain”, canzone di Nash dedicata ai problemi dei rifiuti tossici tratta dal suo album del 1980 e una suggestiva versione dell’immortale “For What It’s Worth”. Sull’album compaiono anche due inediti, “War Games” (sinistramente orientata verso la musica elettronica) che Stills aveva originariamente scritto per la colonna sonora del film omonimo, e “Raise A Voice”. Altro tour nel 1984, che di nuovo tocca anche l’Italia, e poi la notte cala implacabile. Nel 1985, dopo la riunione dei tre con Neil Young in occasione del concerto per il Live Aid, Crosby, perennemente in stato catatonico, viene arrestato e condannato a due anni di prigione.
Nonostante tutto, per fortuna la parola fine alla storia di CSN è ancora lontana. Alla fine degli anni '80 Crosby risolve definitivamente i suoi problemi e, letteralmente, risorge sia come essere umano, sia come musicista. Mantenendo la promessa fatta da Young, che si era reso disponibile per la reunion se Crosby si fosse rimesso, nel 1988 il quartetto si ricompone come per magia. Al Broken Arrow Ranch di Young incidono American Dream, un disco non eccezionale ma che segna il primo passo sulla “retta via”, un po’ per tutti e quattro a dirla tutta. Puntualmente raggiunge le vette della classifica di Billboard, e anche questo ha la sua importanza. Stills e Young firmano insieme "Drivin' Thunder" e "Night Song", mentre "Nightime for the General" e “Compass” ci restituiscono un po’ del Crosby dei bei tempi. Nash si presenta con la ballad “Clear Blue Skies” e con il grido pacifista di "Soldiers of Peace". Niente tour, però, per l’album; solo alcuni set durante eventi di beneficienza. CSN ci riprovano poco dopo, nel 1991, con il mediocre Live It Up, appesantito a un livello eccessivo dal sound sintetico alla moda, ma che presenta brani interessanti come “House Of Broken Dream” e “After The Dolphin” di Nash, e “Arrows” di Crosby (scritta insieme a Michael Hedges). Il 1991 è il momento di una corposa retrospettiva sul passato, il box set CSN in 4 cd con rarità soprattutto del primo periodo. L’operazione probabilmente influisce sulla voglia e la capacità di tornare al passato, al contempo rinnovandosi, e i risultati non tardano a mostrarsi. Nel 1994 arriva After the Storm, e con questo album, purtroppo sottovalutato tanto all’uscita quanto ad oggi, i tre musicisti rinascono. Lasciata indietro la zavorra del sound anni 80, qui fanno da padrone brani acustici sfavillanti e armonie vocali ben salde: “Camera”, “These Empty Days”, “Unequal Love”, “Street To Lean On”, che vedono in ottima forma soprattutto Crosby e Nash, i quali riprendono a produrre nuovo materiale sebbene gli album, da qui in poi, si fanno sporadici.
Nel 1997, Crosby, Stills & Nash entrano a far parte della Rock 'n Roll Hall of Fame, che riconosce loro il massiccio contributo nell'evoluzione della musica americana contemporanea. La serata di gala si rivela doppiamente speciale per Stephen Stills, il primo artista ad ottenere due premi nello stesso giorno, uno per CSN e l'altro per i Buffalo Springfield, e anche per la performance di David Crosby nel gruppo, appena dopo aver suonato con i Byrds. Tutti e tre i musicisti vantano carriere artistiche doppie. Manca solo Young, che non si concede alla reunion dei Buffalo. Mentre Crosby avvia un nuovo progetto chiamato Crosby, Pevar, Raymond (dopo aver ritrovato, anni prima, il figlio legittimo, James Raymond), avviandosi a un rinascimento artistico, nel 1999 c’è il colpo di scena. Nash annuncia: "Neil ci ha raggiunto in studio. Non posso e non voglio fare previsioni, è successo molte altre volte prima di ora e non siamo mai arrivati fino alla fine. Ma l'atmosfera tra noi è eccellente, Neil è contento, siamo tutti molto contenti e tutto suona molto bene". Del resto è proprio Neil Young a confermare la possibilità: “Dal nostro punto di vista la band non si è mai sciolta, sappiamo di essere in grado di poter stare lontani per un po' di anni e poi tornare insieme.” L’occasione nasce perché Stills e Young si ritrovano insieme a lavorare su materiale d’archivio dei Buffalo Springfield per un box set. E una cosa tira l’altra. Looking Forward esce nel 1999 ed è acclamato dalla critica, pur non aggiungendo nulla alla fama del quartetto; tra le migliori canzoni, la title-track e “Slowpoke” di Young, e la gemma di Crosby “Dream For Him”. Questa volta il tour prende il via subito dopo: capaci come non mai di intrattenere un pubblico con loro squisite armonie, la rivista Rolling Stone ha definito il loro show di San Francisco del 1999 "uno dei concerti del decennio". Nel 2000, il vecchio quartetto continua a girare il mondo ottenendo recensioni entusiasmanti e riunendo tutta la magia musicale della loro storica partnership; gli animi sembrano essersi acquietati, le questioni di ego finalmente accantonate.
Nel 2002 è la volta di un altro tour, e poi di nuovo nel 2006. In questo caso, è Young a radunare i compagni per avere il miglior supporto nel divulgare al pubblico la sua ultima opera: Living With War, e il Freedom Of Speech Tour 2006, sono l’esplicita accusa contro il governo di Bush, l’allora presidente USA, e la guerra in Iraq. Com’è ovvio, il disco di Young e concerti di CSNY fanno scalpore, dividendo nettamente sostenitori e detrattori, e il gruppo arriva persino a ricevere minacce di morte durante il tour. Il film CSNY: Deja Vu esce nel 2008 (giusto con le nuove elezioni, poi vinte da Obama) per documentare l’ultima, grande avventura di Crosby, Stills, Nash & Young. Dopodiché le strade dei quattro si separano e l'ultima apparizione come quartetto sarà sul palco del Bridge Benefit 2013. Ma CSN continuano ancora per un po' a calcare i palchi di tutto il mondo, con risultati a tratti energici e a tratti fiacchi (ne è testimonianza il doppio live con dvd CSN 2012), fino alla disastrosa performance alla cerimonia di accensione dell'albero di Natale della Casa Bianca, nel 2015 (una "Silent Night" stonatissima).
Non tralasciamo di citare alcune pubblicazioni degli ultimi anni, curate da Nash e Joel Bernstein, negli ultimi anni al lavoro sugli archivi del gruppo, che ne completano la discografia con materiale raro: il cd Demos (2009) che contiene appunto incisioni demo dagli albori del trio fino ai primi album solisti, e il box set CSNY Live 1974 (esce nell'estate 2014, esattamente a 40 anni di distanza) che raccoglie 3 ore di concerto a testimonianza del famigerato Doom Tour e un dvd con alcuni estratti video. Inoltre vanno segnalate le antologie dei rispettivi C, S e N uscite negli ultimi anni, che offrono gran parte del repertorio migliore di CSN(&Y) in edizione rimasterizzata, e diverse incisioni inedite.
Si può dire che la fine del sodalizio ha inizio quando Graham Nash dà alle stampe Wild Tales, la sua autobiografia, dove racconta storie e aneddoti di CSN(&Y), focalizzandosi spesso sulla figura mitica di Crosby, con sommo disappunto dell'interessato. Una lettura fondamentale, che non è tanto una biografia rock, ma il racconto di un'incredibile amicizia nata dalla musica. Eppure porta i due vecchi compari a litigare furiosamente.
Nel corso del 2016, e negli anni a seguire, ognuno pubblica lavori solisti e va in tour per i fatti suoi. Crosby in particolare vive una rinascita creativa che ha del miracoloso, ma nel gennaio 2023 è il primo ad andarsene, chiudendo un lungo ed essenziale viaggio, fatto di rock autentico e di emozioni fortissime. Quello di un supergruppo che non ha (e non avrà) eguali nella storia della musica.
Testo originale di Salvatore Esposito
Revisione e aggiornamento di MPB
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