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L'EPICO ARCHIVES III ABBRACCIA CAOS, TRASCENDENZA E DISTORSIONE (MOJO)


A metà di Across The Water - il nuovo documentario di due ore sulle tournée in Giappone e Regno Unito del 1976 di Neil Young e i Crazy Horse, che apre la parte visiva del suo gigantesco terzo cofanetto d'archivio - il cantante viene intervistato a cena nel suo hotel di Londra.
Alla domanda su come vuole essere ricordato dopo la sua morte, Young, allora trentenne, scherza su una possibile lapide: “È morto cercando un cuore d'oro!” Poi il suo umore cambia. “Vorrei che la gente sapesse che sono stato qui. Ho trascorso il primo quarto della mia vita cercando di lasciare un segno... Vorrei lasciare dietro di me qualcosa con un punto di vista”.
Archives III rappresenta tutto ciò che è successo dopo, in termini di caos, trascendenza e distorsione: attraverso quel "ritorno ad Harvest" che è Comes A Time, lo spettacolo garage rock di Rust Never Sleeps e Live Rust del 1979, fino alle ripetute crisi e alle inversioni di genere degli anni Ottanta, quando Young era alla Geffen Records. Si tratta di un macigno: 17 CD con quasi 200 brani e cinque dischi Blu-ray di "gonzo-cinema" (Bernard Shakey, fai un inchino) e filmati di concerti inestimabili, molti dei quali inediti o pubblicati per la prima volta in formati dimenticati (VHS, LaserDisc). Scriverne è come cercare di catalogare ed esaminare una tomba egizia appena scoperchiata. Archives III contiene un patrimonio superiore a quello che la maggior parte degli artisti raccoglie in una vita intera. E tutto questo proviene dal nadir delle classifiche degli album di Young. Dei suoi cinque LP per la Geffen, solo Trans del 1983, quella folle mescolanza di ballate hawaiane con vibrazioni elettro-pop, entrò nella Top 20.
Naturalmente, a Young non importava. “Se ho voglia di scrivere una canzone, se sento una melodia con cui devo fare qualcosa”, mi disse una volta, ”non me ne frega niente di tutto il resto. Ecco perché non sarò mai un pilota di aerei. Perché scriverei quella canzone e mi dimenticherei di stare pilotando l'aereo. Questo è il mio lavoro”. Per la sua ampiezza e i suoi dettagli - solo la parte audio equivale a una mezza dozzina di Decade tutte in una volta - Archives III è semplicemente il sound di Young al lavoro, che risponde solo alla propria ispirazione, negli anni del cambiamento più selvaggio.
Come Archives I e II, questa uscita attinge alle recenti uscite autonome della serie e al canone ufficiale (anche se, vista l'accoglienza originaria, è difficile credere che molti fan disposti ad acquistare questo set lo facciano motivati da quel party in costume anni '50 che era Everybody's Rockin' del 1983). Ma questa è una storia, non una caccia al tesoro. Le selezioni, in ordine cronologico abbastanza rigoroso, e l'ampia gamma di materiale dal vivo e in studio, a volte su più CD, illuminano il lungo percorso di Young sia sul lato della determinazione creativa che in quello dell'impulso donchisciottesco, riservando piacevoli colpi di scena e sorprese nascoste.


Si può affermare senza alcun dubbio che la fine degli anni '70 per Young sia stata tanto folle quanto ciò che ha fatto dopo alla Geffen. Un disco sottotitolato Hitchhikin' Judy accoppia le registrazioni di Young dell'agosto del '76 per l'LP acustico Hitchhiker, poi abortito, con le esibizioni da solista di un tour con i Crazy Horse dello stesso novembre, raccolte in Songs For Judy del 2018. Questa calma è temporaneamente interrotta dalla festa di Ringraziamento di Young con The Band per The Last Waltz.
Poi, a dicembre, Young cade nel buco nero di Will To Love, una ballata in stato di trance tratta dall'inedito Chrome Dreams e sottoposta a impavide sovraincisioni: vibrafono, chitarra wah wah, percussioni che suonano come se stesse suonando un ritmo fuori tempo sull'asta del microfono. Una stranezza sorprendente - come lo spectral-folk dei Can - che Young ha inspiegabilmente inserito nella miscellanea di American Stars 'n Bars del 1977. Mostra anche un certo impeto modernista, che esploderà con Trans, ancora sopito.
La portata epica di Archives III comprende molte prime volte sul palco, Young che va a zig-zag e si rivolge direttamente alla gente quando le radio FM non ne volevano sapere e David Geffen lo citava in giudizio per non aver fatto dischi degni di Neil Young. Un'ora di country vendicativo con gli International Harvesters nel 1984 e nell'85 si accompagna a uno sprazzo di un tour australiano dei Crazy Harvesters, un combo ibrido con i Crazy Horse, che incendia la "Misfits (Dakota)" di Old Ways trasformandola in qualcosa degno di Zuma. Il ritorno alla vacanza con la "bar-band" dei Ducks, nel '77,  include una gemma ad alta velocità non presente in High Flyin' del 2023: "Cryin' Eyes", incisa con i Crazy Horse per Life del 1987 ma che qui esplode come se fosse uscita da una bobina di outtakes dei Moby Grape, soprattutto quando l'ex cantante-bassista di quel gruppo Bob Mosely canta in risposta sul ponte.
Poi ci sono le quattro serate acustiche di Young nel maggio 1978 alla Boarding House di San Francisco, distribuite su due CD e fonte delle tracce iniziali di Rust Never Sleeps. Solo che in quel disco non c'era la cruda anteprima di "Shots", una cruda disperazione che Young ha riacceso in veste elettrica su Re-ac-tor del 1981, o la maliconica reminiscenza della ballata dei Buffalo Springfield, "Out Of My Mind". E se il filmato in Blu-ray Catalyst - Young e gli Horse nel club di Santa Cruz il 7 febbraio 1984 - ha una qualità paragonabile a un video di ostaggi, il rumore della loro battaglia emerge nel CD di accompagnamento e vi riporta proprio lì al bar.

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Ma forse in Archives III non c'è piacere più grande e inaspettato della magia improvvisata della tavola rotonda del 1° marzo 1977 a casa di Linda Ronstadt a Malibù, in cui Young elabora nuove canzoni con quest'ultima e la sua amica Nicolette Larson, una giovane cantante che si trovava lì proprio quel giorno. Il legame tra la Larson e Young come cantanti (e, per un breve periodo, come coppia) era profondo e duraturo, e lo si può sentire nell'elettrizzante prova di un concerto del novembre '77 con una big band country, che Young soprannominò Gone With The Wind Orchestra.
Da segnalare, prima che lo spazio a disposizione si esaurisca: "Hey Hey, My My" di Young con i Devo, frutto di un pomeriggio in studio tra un concerto e l'altro alla Boarding House; il ritorno di Berlin, il film di Michael Lindsay-Hogg che ritrae Young con la sua Trans band dal vivo nel 1982, la miglior testimonianza di quell'esperimento nella sua interezza; e "Road Of Plenty", un emozionante prototipo con i Crazy Horse di "Eldorado", destinato alla successiva svolta di Young, Freedom del 1989.
Cosa manca: la prova di quella canzone durante una fugace (e filmata) riunione dei Buffalo Springfield del 1986. “All'epoca ero distratto da altre cose”, ha ammesso in seguito Young. “La vita scorreva veloce, forse un po' troppo veloce perché io la vedessi”. Fate un salto qui, in qualsiasi punto, e capirete cosa intende.

David Fricke, Mojo, settembre 2024
Traduzione: MPB, Rockinfreeworld

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