NEWS
.

The Road Home: una conversazione con Neil Young (KCBX, 2023)



Raccontaci com'è nata l'idea dell'album.
Non suonavo da qualcosa come tre anni, tre e mezzo, da quando è arrivato il Covid, e pensavo che avrei potuto anche non andare più in tour, ma ho continuato a fare album, a scrivere canzoni. Solo che non suonavo in pubblico. Poi, all'inizio di quest'anno, mi è tornata la voglia di farlo. Ma di solito quando faccio un tour ho delle nuove canzoni, perché sono quelle che tengono acceso il mio fuoco, diciamo così. In questo caso non ne avevo scritta nessuna ma la cosa non mi turbava, perché arrivano quando arrivano, dopo averne scritte tante so come funziona. Non mi costringo ad averle. Così ho deciso che avrei cantato delle canzoni che avevano un significato per me, anche se magari non erano le hits che la gente voleva sentire, o quel genere di cose che un artista normalmente fa. Ho pensato che sarei andato in tour e avrei fatto ciò che volevo, avrei cercato di suonare quelle canzoni e vedere come mi sentivo. Ho scelto una manciata di canzoni dal mio repertorio e sono partito. Questo è quanto, è così che è cominciata, le ho scelte pensando a cosa mi sarebbe piaciuto fare. Quelle che avrei sentito più mie.

C'è un mix di canzoni da tutto il tuo catalogo, dai Buffalo Springfield negli anni Sessanta fino a un paio di anni fa, e come hai detto tu, molte di esse non sono tra le tue più famose. Come le hai ripescate?
Per via del feeling. Sono quelle che... Sai, ci sono delle canzoni... Una delle mie canzoni nei Buffalo Springfield non la cantavo io, quindi ho pensato che sarebbe stato bello cantare proprio quella. L'ho fatta un paio di volte dal vivo, in passato... Non saprei dire quante volte, ma questo lo puoi verificare su internet. Ma mi piaceva l'idea di farla, e di cantare quelle canzoni in particolare. Quindi ho fatto "On The Way Home" ed è stato figo. Poi mi è venuta l'idea di fare "Burned", perché quella è stata la prima canzone dei Buffalo Springfield che ho cantato in studio. Ero appena arrivato a Los Angeles, ero un ragazzo che sperava di entrare in una band e cominciare, e questa è stata la prima cosa che ho cantato. Era piuttosto eccitante.

Posso immaginare che sia rimasta con te per tutti questi anni, fino a oggi. Quando l'hai ri-registrata, si è rivelata in un modo nuovo?
L'ho fatta in acustico. L'originale era con la band, ma questa volta l'ho suonata con la chitarra acustica, e aveva un groove che mi piaceva molto e nel farla mi sono sentito a mio agio. Un'altra cosa che ho fatto è stata... Vedi, in tutta la mia vita ho sempre suonato l'acustica da seduto, con un microfono di fronte e tutto ben organizzato per ottenere il miglior sound dalle chitarre, e cose così. Questa volta invece sono rimasto in piedi e camminavo per il palco. Avevo il microfono sugli strumenti e per cantare mi avvicinavo al microfono che c'era sul palco, oppure se ero lontano cantavo attraverso i microfoni dell'armonica, che sono agganciati al supporto davanti alla mia faccia. È stato figo.

Recentemente hai suonato qui vicino, a Pat Robles, e ti muovevi per il palco in quel modo. Era la stessa cosa?
Sì, mi muovevo assieme alla musica, al ritmo delle canzoni. È stata un'esperienza nuova, per me. Non cantavo da tre anni e mezzo e suonavo in modo diverso rispetto al passato, mi sentivo molto più libero. Lo stavo davvero facendo per me stesso, capisci? Un tour piuttosto egoista. [ridono]


Le canzoni scorrono una dopo l'altra senza interruzioni, su questo album. Se guardi il disco le tracce non sono separate, non le distingui l'una dall'altra. Hai detto che è stato fatto per essere ascoltato come un'unica, ininterrotta suite da 48 minuti. Sono curiosa rispetto a questo flusso di canzoni. Puoi raccontarci come sei arrivato ad avere questa sequenza?
Be', le canzoni sono state messe in fila da me e da Lou Adler. Lou ha fatto gran parte del lavoro, ma abbiamo lavorato insieme, in particolare alle transizioni da una canzone all'altra. Io conoscevo gli accordi, le chiavi di tutte le canzoni, quale nota poteva sovrapporsi all'altra creando delle sospensioni o generando accordi diversi. Così l'ultimo accordo di una canzone sarebbe diventato il primo della successiva. Il passaggio diventava qualcosa di dolce che non si sentiva da nessun'altra parte. Mi è piaciuto assemblare il tutto. L'abbiamo realizzato senza altra preoccupazione se non quella di trasformarlo in un flusso. Io non sono contrario a... l'ordine casuale, lo shuffle [la modalità di riproduzione casuale dei player digitali, ndt]... o a nessuna di quelle cose. Vanno bene. L'era digitale ha il suo modo di fare le cose per quanto riguarda la musica. Ma qui volevo fare a modo mio, quello che avevo in mente dall'inizio, e lo volevo presentare nel modo in cui lo volevo io. Quindi lasciare che le canzoni respirassero, si muovessero dall'una all'altra, senza quella sensazione di chiusura quando una finisce e si passa alla successiva.

Raccontaci del processo di registrazione e di missaggio. Hai registrato queste canzoni tutte insieme o singolarmente, per poi mixarle insieme dopo?
Sono state tutte registrate singolarmente in posti diversi. In studio abbiamo solo creato le transizioni, provando combinazioni, facendo spostamenti. Ma è successo piuttosto in fretta. Lou e io eravamo focalizzati sulle canzoni, i testi, le melodie, non volevamo distrazioni o tempi morti, semplicemente perché è così che doveva essere. Ma, sai, molto tempo fa, le stazioni radio, le emittenti FM, mixavano una canzone dopo l'altra. Negli anni Sessanta si sentivano spesso flussi di canzoni ininterrotte. Non c'è niente di nuovo in questo, è solo un ritorno al passato, e c'è un modo di farlo che è molto bello. È quello che facevano molti DJ grandiosi, con i giradischi. Sapevano quando far partire un pezzo, quando dissolverlo nell'altro, e tutto il resto. E lo facevano dal vivo.


È quello che cerchiamo di fare anche qui alla KCBX con gli album rock come ai vecchi tempi.
Sì, esatto. È una bella cosa. Vedi, oggi è difficile farlo perché ci si focalizza non sulle persone, ma sulla comunicazione, l'essere digitali e condividere cose sulle piattaforme, arrivare il più possibile lontano. Ma secondo me, e molta gente la pensa così, con la tecnologia di cui disponiamo, non importa granché dove ti trovi. Puoi essere dove ti pare. Non c'è più ragione di bussare alla porta della più grande emittente radio della città in cui ti trovi, puoi condividere la tua roba con tutte le stazioni attraverso le loro piattaforme. Se fai una cosa in qualsiasi posto, e la fai bene, sarà visibile dappertutto grazie alle ricerche della gente, che è costantemente su internet. Ecco perché io sono qui, perché amo questo posto, amo San Luis Obispo e anche Atascadero. Sono città in cui mi piace andare, in cui trascorro del tempo. Mi pare di aver suonato qui, sei anni fa o giù di lì, con i Promise Of The Real.

Sì, eravate allo SLO Brew [nel 2015, ndt].
Vero. È stato bello.

Sono felice che ti piaccia questa contea, che frequenti la zona e condividi con noi la tua musica e le tue idee. A proposito delle tue idee e del lavoro fatto con Lou Adler, sono curiosa del ruolo che lui ha avuto nel concepire il progetto. Com'è nato il tutto?
Siamo buoni amici, siamo entrambi devoti alla musica. Lou ha un grande talento, un talento naturale per la musica. Fa un sacco di cose. Avere il suo supporto, ascoltare la sua opinione, è stato fantastico. Lui è in grado di andare più in profondità rispetto a me, quindi è un pregio sentire ciò che ha da dire, seguirlo, perché è sempre importante. Le sue opinioni sono molto solide. Lo rispetto molto, abbiamo lavorato insieme con rispetto reciproco e tanto amore per la musica. Quello che lui voleva davvero... Mi ha detto, noi vogliamo che nulla distragga l'ascolto, non vogliamo cali dell'attenzione, finché continua ad andare avanti. Quindi la soluzione era far vivere tutte queste canzoni come se fossero una cosa sola. E questo ovviamente va contro il modo di fare musica in digitale, dove ogni canzone è ben indirizzata e la gente può usufruire di ciò che vuole, ed è una cosa comoda e grandiosa, ma non ha un significato. È solo il modo in cui viene fatto, una specie di regola. Noi abbiamo rotto con tutto ciò e abbiamo fatto le cose per come le volevamo noi. In questo album, se non lo ascolti tutto ma scegli una singola canzone, perché puoi comunque farlo, sentirai la fine di quella precedente. Non sentirai solo la canzone che vuoi sentire. Ti accorgerai che hai interrotto qualcosa, perché è stato fatto per essere ascoltato così. Non stiamo cercando di vendere canzoni o dischi, o niente del genere. Si tratta di un atto creativo. Volevamo trasmettere alla gente questa musica nel modo in cui la intendiamo. Lou è stato di grande aiuto nel realizzarlo. Era sempre concentrato. Ci siamo divertiti molto assieme, è stato fantastico. 

Direi che non c'è momento migliore per iniziare ad ascoltare il disco, a meno che tu non voglia aggiungere altro.
Voglio ringraziarti per avermi permesso di essere qui e per far andare avanti la stazione radio. Tornerò un giorno e porterò un altro disco da suonare. Mi piacerebbe farlo. Apprezzo il fatto di poter parlare con le persone e avere... be', tu sei un DJ e io un artista, quindi, sai, è figo. Non è la stessa cosa di spedire un paio di file in giro per il mondo e mettersi a contare le riproduzioni. Quello è noioso dopo un po'.


Marisa Waddell - KCBX, San Luis Obispo, CA
Fonte: NYA
Trascrizione e traduzione: MPB, Rockinfreeworld



Commenti

Post popolari

Neil Young, il cuore di un hippie - L'intervista del L.A. Times su World Record e Harvest Time

Neil Young from Worst to Best: la classifica di Stereogum

L'EPICO ARCHIVES III ABBRACCIA CAOS, TRASCENDENZA E DISTORSIONE (MOJO)

Stephen Stills: un excursus nei suoi primi anni e il ricordo di Crosby (Independent, 2023)

Neil Young Archives Vol.3 1976-1987 (Reprise Records, 2024)