Neil Young & Crazy Horse: Colorado (Reprise Records, 2019)
1. Think of Me
2. She Showed Me Love
3. Olden Days
4. Help Me Lose My Mind
5. Green Is Blue
6. Shut It Down
7. Milky Way
8. Eternity
9. Rainbow of Colors
10. I Do
Single 45"
1. Truth Kills
2. Rainbow of Colors (live debut)
Crazy Horse:
Neil Young, Billy Talbot, Nils Lofgren, Ralph Molina
Prodotto da Neil Young e John Hanlon
Dobbiamo essere grati a quest’uomo, che pur avvicinandosi alla soglia dei tre quarti di secolo continua a regalarci ogni anno due/tre dischi di ottima fattura, sia nel caso di raccolte di canzoni nuove, sia nel caso di reperti del passato, più o meno recente. Certo, non bisogna chiedergli del progetto antologico Archives Vol. 2; o meglio, chiedere si può, lui risponde anche dando date di uscita, poi puntualmente pospone. A dispetto delle vendite calanti, la sua fama non va certo scemando. Anzi, mai come in questi ultimi anni aumentano le cover che altri artisti fanno delle sue canzoni, anche quelle più oscure e meno famose. E poi, diciamolo, Rockin’ In The Free World è da trent’anni nel repertorio di tutte le garage-band, di quelle che fanno uso di chitarre (le altre non ci interessano), e anche in quello di molti colleghi affermati, dai Pearl Jam ai Bon Jovi e ai Krokus, da Lucinda Williams a Suzi Quatro.
Colorado è l’ultima uscita discografica di Neil Young. Per l’occasione ha riunito i Crazy Horse a distanza di sette anni dall’ultima volta (sebbene Nils Lofgren qui sostituisca Frank Sampedro). Non solo, ma con questo lavoro Neil Young & Crazy Horse festeggiano i 50 anni di carriera: non male, per un manipolo di musicisti sempre considerati assai “poco bravi”. Al nostro adorato canadese (tra poco finalmente cittadino americano) non verrà mai assegnato il Nobel per la letteratura, ma i testi di Colorado trasudano onestà, passione e amore, sbattendoti in faccia la verità in modo crudo e schietto mentre si parla di sentimenti personali, di ecologia e di politica, nel tipico mix younghiano dell’ultimo decennio.
In apertura “Think Of Me”, che sembra uscire da Silver & Gold o Prairie Wind (e deve certamente qualcosa ai pezzi di quegli album, come “Good To See You” e “Here For You”), ma l’attitudine sgangherata dello stile dei Crazy Horse si fa subito notare. “She Showed Me Love” è una lunga cavalcata elettrica dove il titolo, ripetuto più volte, diventa un mantra ossessivo; purtroppo però non riesce a sviluppare veri assoli interessanti e si ha l’impressione che si trascini troppo a lungo, inutilmente, senza una direzione precisa (e pure che, nella parte iniziale, sia un po’ troppo debitrice a “Down By The River”).
“Help Me Lose My Mind” (con un coro fantastico e basata su un’atmosfera tipicamente horsiana), “Milky Way” (con un riff suadente, peccato sfumarla così dopo 5:59) e “Shut It Down” (incazzata quasi quanto “Piece Of Crap”) formano la parte più rock e probabilmente sono le cose migliori dell’album. Le ballads sono quattro, due delle quali veramente meritevoli: “Olden Days” (dedicata ai bei tempi andati, ben strutturata con un ritornello che spicca) e “Green Is Blue” (tra le più toccanti composizioni al pianoforte di Young, senza esagerare). Un po’ più sempliciotte “Eternity” (che poggia su un piano da saloon e sulla batteria) e “I Do”, comunque piacevoli. “Rainbow Of Colors”, dopo un primo ascolto nel quale la si liquida facilmente come l’ennesimo inno ambiental-umanistico musicalmente trito, ha il merito di crescere ascolto dopo ascolto, forse perché ben assorbita nel resto.
Siamo lontani dal capolavoro, ma c’è dell’ottima musica qui dentro. Il sound, sebbene a tratti fin troppo claudicante stile “buona la prima”, è quello del Cavallo. “Questo non è un disco, questa è una band!” strilla Young durante le sessions filmate nel documentario Mountaintop (di prossima uscita in una special edition dell’album, oltre che naturalmente su www.neilyoungarchives.com).
Ovviamente ci sarà chi farà i paragoni con i Promise Of The Real, che hanno accompagnato in tempi recenti Young in svariati tour, tre dischi e un film con relativa colonna sonora, oppure con l’ultimo capitolo Crazy Horse, Psychedelic Pill, considerato dai fans uno dei suoi album migliori del nuovo millennio, oppure ancora con il catalogo younghiano dei ‘70.
Il chitarrista Frank Sampedro, dal 1975 a fianco di Young nei Crazy Horse e in altri progetti musicali, ora fa il pensionato alle Hawaii. Al suo posto è tornato Nils Lofgren, già in studio più volte con il canadese (l’ultima nel 1982, ma in seguito è stato nella band che accompagnava Neil nell’Unplugged del 1993). Resiste fin dal 1969 la sezione ritmica formata da Billy Talbot e Ralph Molina. Insieme al primo chitarrista Danny Whitten, scomparso nel 1972, sono musicisti che hanno fatto la storia del rock creando un suono che è diventato un marchio: direi che questo chiude la questione Promise Of The Real.
La differenza che potremmo trovare con Psychedelic Pill è che, mentre là si sono costruite le canzoni (o almeno una parte di esse) intorno al sound Crazy Horse, qui Young ha portato allo Studio In The Clouds (Telluride, Colorado, ben oltre i 2700 metri di altitudine) i suoi pezzi già presentati in concerto, per poi farli diventare brani del Cavallo Pazzo con l’aiuto del co-produttore John Hanlon e con il ricordo dell’amico manager Elliot Roberts (a lui è dedicato Colorado) nella mente e nel cuore.
È vero, la creatività non potrà (no, ovvio che non può) essere quella di quaranta o cinquanta anni fa, ma mai si potrà imputare a Neil Young di fare dischi senza sentimento e senza sincerità. Ha senso, quindi, rivangare ogni volta Everybody Knows This Is Nowhere, Zuma o Rust Never Sleeps?
Le vere noti dolenti riguardano la confezione. Colorado esce nella versione compact disc con 10 brani; nella versione in vinile è doppio, ma una facciata è vuota, anche se viene aggiunto un singolo con due pezzi (la versione solista dal vivo di “Raimbow Of Colors” e “Truth Kills”, questa in studio con i Crazy Horse), non disponibili sul cd e non disponibili per il download (se non dal sito di Young): che senso ha tutto ciò? Inoltre nello striminzito booklet non sono inclusi i testi. A cosa serve ripetere per dieci volte i credits praticamente uguali delle canzoni? Dal supporto “fisico” si pretende qualcosa in più, che giustifichi anche la spesa maggiore rispetto al download o allo streaming.
Ascoltiamoci con calma Colorado, più e più volte, e lasciamolo fluire e crescere dentro di noi, magari mentre ci facciamo “una corsa su una vecchia macchina, lungo la costa, sotto le stelle”.
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