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Paradox: recensioni italiane e internazionali


Soundtrack - Recensioni italiane
Rockol - voto *** (su 5)
Buscadero - voto *** (su 5)
Ondarock - voto 4.5 (su 10)
Discoclub - rece positiva

Film - Recensioni italiane
Cinema.everyeye - voto 4,5 (su 10)
Mangaforever - voto 7.2 (su 10)
FilmTV - voto 4 (su 10)
Artistsandbands - rece positiva



Soundtrack - Recensioni internazionali (vedi Metacritic)
Glide Magazine - voto 7 (su 10)
Pitchfork - voto 6 (su 10)
Allmusic - voto 6 (su 10)
Mojo - voto 6 (su 10)

Film - Recensioni internazionali (vedi Metacritic)
Consequence of Sound - voto 4.2 (su 10)
The Guardian - voto 4 (su 10)
RogerEbert.com - voto 3.8 (su 10)
Variety - voto 3 (su 10)


Quando si parla di film Neil Young ha un passato con luci e ombre – si veda Journey Through The Past e Human Highway – ma può essere corretto dire che praticamente tutti gli album dell’icona canadese fanno da sfondo a film mentali, anche se non sono veri e propri soundtrack come lo è Paradox. Sia che l’ascoltatore abbia o non abbia visto questo film diretto da Daryl Hannah, i punti forti e i punti deboli dell’album ruotano intorno al lavoro di Young con i suoi ultimi accompagnatori/collaboratori, i Promise Of The Real. Neil e il gruppo che comprende i figli di Willie Nelson, Lukas e Micah, non si limitano a suonare materiale familiare, originale e non, in questo set disponibile su vinile, cd e in digitale.
Le canzoni provengono da momenti diversi della carriera di Neil Young, inclusa una delle sue prime esplorazioni nel tempo e nello spazio, “Pocahontas”, così come il motivo centrale del titolo, un’improvvisazione strumentale di dieci minuti, più una jam sul motivo di “Cowgirl In The Sand”. Ma queste cose si combinano con l’inclusione criptica del successo del 1967 dei Turtles “Happy Together” e del genuino blues di “Baby What You Want Me To Do” (che evoca i Blue Notes di Neil negli anni 80), per evocare un passato notevolmente diverso, ma non per questo meno vivido di quello evocato dal tono Wild West di questo pezzo di cinema.
Comunque c’è continuità e non solo per la presenza dei POTR, successori dei Crazy Horse e i più regolari tra i collaboratori di Young negli ultimi anni. Perfezionata sin dai primi giorni da solista dopo la dipartita dei Buffalo Springfield, la sua iconica, consolidata dualità dello stile acustico/elettrico attraversa tutto Paradox: le chitarre elettriche forti e distorte in “Paradox Passage 1” si collegano a suoni di pura “musica del legno” in “Paradox Passage 2”.
L’album assume consistenza anche come riflesso delle preoccupazioni in tema di attualità che hanno caratterizzato il lavoro recente di Young, senza la sua tendenza a predicare. “Show Me” si connette chiaramente al movimento #metoo mentre “Diggin’ In The Dirt”, nel suo minuto e rotti di durata, intonata malinconicamente da Lukas Nelson (uno dei vari momenti in cui la sua è la voce principale), non tocca in modo specifico le tematiche ambientali/ecologiche, ma chiunque conosca l’album dal vivo Earth del 2016 coglierà il riferimento. Ed è importante notare che la sequenza attentamente strutturata di ventuno tracce accresce la spontaneità che pervade la musica.
Frammenti di dialogo come quelli che precedono “Angels Flying Too Close To The Ground” impediscono a qualsiasi ascoltatore di prendere tutto questo troppo sul serio o fissarsi troppo sulle tematiche implicite in episodi come “Peace Trail”. Piuttosto, queste battute sul “sorseggiarsi una canna” o “fumarsi una birra” sono indicativi del libero cameratismo “a ruota libera” esistente tra Neil Young e i Promise Of The Real, una virtù così predominante da rendere questo disco convincente all’ascolto anche se non si tratta di un album formale. Paradox (Original Music From The Film) in effetti presenta la figura idiosincratica di Neil Young in modo così disarmante che è persino difficile resistere dal rimetterlo dall’inizio una volta svanita l’ultima “Tumbleweed” .
Glide Magazine
voto 7 (su 10)

Neil Young si è guadagnato il diritto di intraprendere il cinema come hobby nei primi anni 70. A quel tempo era a filo del successo commerciale e gli studi non si opposero all’idea di finanziare un film raffazzonato considerando che avrebbero potuto recuperare l’investimento grazie ad anni di proiezioni di mezzanotte. Dopo Journey Through The Past del 1972 e Rust Never Sleeps del 1979, Young continuava a fare film concerto, dopo che pezzi grossi come Jerry Garcia o i Pink Floyd si erano già annoiati, pugnalando la narrazione con Human Highway nel 1982 e dilettandosi di nuovo con questa forma espressiva nel 2003, quando ha trasformato la sua rock-opera Greendale in un lungometraggio drammatico. Ed eccolo nel 2018 come protagonista di Paradox, un film commovente e senza trama diretto dalla sua compagna Daryl Hannah.
Paradox non è molto più di un glorioso home-movie che segue le avventure immaginarie di Neil Young e i Promise Of The Real mentre si adattano all’altitudine del Colorado. Armati di vaghe idee ma senza una sceneggiatura vera e propria, la band e la troupe hanno passato le ore trascinandosi in abiti da cowboy, facendo battute crude e prendendo le chitarre dopo il tramonto. Quanto tutte queste buffonate non si sono rivelate sufficienti per un lungometraggio, la Hannah ha aggiunto una serie di esibizioni dal vivo sorrette da Young & Promise Of The Real, strappandole al festival Desert Trip 2016, alias Oldchella, e una performance del solo Young sul suo classico degli anni 70 “Pocahontas”. Questa è stata inclusa presumibilmente perché la canzone si lega alla lontana al tema Vecchio West del film. O forse semplicemente perché attendeva di essere usata negli archivi di Young.
È difficile discernere la logica interna che sorregge Paradox sullo schermo, ma la sua amabile incoerenza raggiunge sul disco un incerto senso di grazia. Spaziando tra assoli di chitarre spettrali, strimpellate dolci, ritornelli ricordati a metà, questo soundtrack di tanto in tanto si sofferma su una canzone a tutti gli effetti, anche se questi momenti completi sembrano accidentali, come se la nebbia si levasse e mostrasse tutto il paesaggio. Quando appare una canzone finita, ha l’effetto bizzarro di interrompere bruscamente la successione. Questa grandiosa versione di “Pocahontas” registrata nel 2005, è la traccia migliore presa da sé di tutto l’album. Young evoca un senso di enorme malinconia mentre suona all’organo a canne, ma è troppo pesante per un album leggero come un soffio di vento. La canzone che riassume il fascino dell’album è invece “Angels Flying Too Close To The Ground” di Willie Nelson, cantata dal figlio Lukas. La troupe cinematografica ha catturato il gruppo mentre ammazzava il tempo tra le riprese, e non era stata pensata per far parte del film. È un momento fugace che è capitato di registrare.
Questa transitorietà è al cuore di Paradox. Durante il film, la presenza dei Promise Of The Real si avverte in modo travolgente […]. Nell’album non solo rinvigoriscono Young – basta ascoltare l’energica e travolgente “Cowgirl Jam” di 10 minuti, dove è chiaro che Neil è esaltato nel giocare con un gruppo ben più agile dei Crazy Horse – ma sono solidali con i suoi vecchi sogni da pipa hippie, strimpellando sulle loro chitarre acustiche e facendo dei blues polverosi. Paradox esiste come canale tra una storia sognata e un futuro immaginato, un luogo formato da nient’altro che frammenti che evocano un passato che pare più misterioso del presente. Se il risultato è leggero come una piuma o memorabile quanto una brezza, questo fa parte del punto.
Pitchfork
voto 6 (su 10)

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