Rassegna stampa d'epoca: Ragged Glory / Sleeps With Angels
RAGGED GLORY – 1990
Difficile trovare due voci meno belle, nella musica pop, di quelle di Neil Young e Bob Dylan. Piagnucolano e guaiscono come se le loro voci derivassero da adenoidi irritate. C'è un po' del piacere tradizionale del pop in questo. Le due icone rock, 25 anni di carriera alle spalle, hanno qualcosa di importante: si fanno riconoscere. Sono sempre brutte e la gente lo sa.
Il nuovo straordinario album di Mr. Young, Ragged Glory (Reprise) e il pigro ma buono Under The Red Sky di Dylan (Columbia) sono puro rock. Il piacere non è sempre la cosa principale; lo è l'individualità. […]
Per Young, Ragged Glory è un viaggio nel mondo della chitarra insieme ai suoi migliori collaboratori, i Crazy Horse, la band con cui ha lavorato l'ultima volta nel 1987. Sin dai giorni dei Buffalo Springfield a metà dei '60, Young ha dimostrato di essere un chitarrista completamente disinvolto; i suoi assoli sono affilati e ronzanti, sembrano quasi uscire da una macchina industriale malfunzionante. Mentre ripete note distorte, cozza contro l'idea di un assolo, svelandolo lentamente e spingendolo in varie direzioni. E anziché il sound pulito e marcato che oggi preferiscono molti chitarristi rock, il tono di Young è disgregante, erratico e in continua mutazione.
Ragged Glory è la vendetta del country e del blues-rock nei confronti del pop, un piacere recidivo che la chitarra selvaggia di Young e il suo senso estetico del rock si prendono guardando dall'alto la musica contemporanea, come i Depeche Mode. Dritto e duro nella musica e nelle parole, Mr. Young mischia pezzi countryeggianti con pezzi più blues e rock; l'album non ha un momento di sosta. E su ogni brano, la chitarra di Young, cattiva e devastante, con lo statico e martellante sottofondo della sezione ritmica e dall'aguzza chitarra del secondo chitarrista, mantiene una consistenza sporca.
L'album ha una base testuale. “White Line” contrasta una relazione con la libertà della strada. Su “Over And Over”, Young canta di ritornare dall'amante per il sostentamento. E su “Mansion On The Hill” parla della mitologia anni '60.
Molti pezzi hanno una introduzione chitarristica che conduce ad alcuni versi, poi lunghe improvvisazioni. Nei pezzi più country, le jam smantellano l'introduzione e le melodie, ricamando le note. Sopra il ritmo country di “Days That Used To Be”, Young canta:
“There's very few of us left my friend
From the days that used to be
Seemed like such a simple thing to follow one's own dreams . . .
Talk to me my long-lost friend
Tell me how you are
Are you happy with your circumstance?
Are you driving a new car?
Does it get you where you want to go with a seven-year warrantee
Or just another 100,000 miles away from the days that used to be?”
I pezzi più blues si aprono alle improvvisazioni di Young. Su “Love And Only Love”, una barricata di chitarre nasconde la distorta melodia. La chitarra di Young vi scivola attraverso senza sforzo, con armonici che cambiano il colore del suono; le note, reminiscenze delle improvvisazioni dei Byrds, ricordano improvvisazioni modali jazz. Young canta un verso o due, poi si tuffa in un altro ronzante assolo sostenuto da note modali, cambiamenti di texture e senza conceder tregua all'amplificatore.
Dopo un altro verso, comincia a disperdere note come gocce di pioggia, decorando il suo assolo con slide stile blues, esplorando il territorio. Come molte delle canzoni dell'album, “Love And Only Love” finisce con una coda di feedback.
Young ha registrato l'album facilmente, evitando troppe sovraincisioni. E suona così: ha una reale immediatezza, una integrità in sé che suona come se fossero state registrate delle prove particolarmente ispirate. […]
Peter Watrous, NY Times 1990
Difficile trovare due voci meno belle, nella musica pop, di quelle di Neil Young e Bob Dylan. Piagnucolano e guaiscono come se le loro voci derivassero da adenoidi irritate. C'è un po' del piacere tradizionale del pop in questo. Le due icone rock, 25 anni di carriera alle spalle, hanno qualcosa di importante: si fanno riconoscere. Sono sempre brutte e la gente lo sa.
Il nuovo straordinario album di Mr. Young, Ragged Glory (Reprise) e il pigro ma buono Under The Red Sky di Dylan (Columbia) sono puro rock. Il piacere non è sempre la cosa principale; lo è l'individualità. […]
Per Young, Ragged Glory è un viaggio nel mondo della chitarra insieme ai suoi migliori collaboratori, i Crazy Horse, la band con cui ha lavorato l'ultima volta nel 1987. Sin dai giorni dei Buffalo Springfield a metà dei '60, Young ha dimostrato di essere un chitarrista completamente disinvolto; i suoi assoli sono affilati e ronzanti, sembrano quasi uscire da una macchina industriale malfunzionante. Mentre ripete note distorte, cozza contro l'idea di un assolo, svelandolo lentamente e spingendolo in varie direzioni. E anziché il sound pulito e marcato che oggi preferiscono molti chitarristi rock, il tono di Young è disgregante, erratico e in continua mutazione.
Ragged Glory è la vendetta del country e del blues-rock nei confronti del pop, un piacere recidivo che la chitarra selvaggia di Young e il suo senso estetico del rock si prendono guardando dall'alto la musica contemporanea, come i Depeche Mode. Dritto e duro nella musica e nelle parole, Mr. Young mischia pezzi countryeggianti con pezzi più blues e rock; l'album non ha un momento di sosta. E su ogni brano, la chitarra di Young, cattiva e devastante, con lo statico e martellante sottofondo della sezione ritmica e dall'aguzza chitarra del secondo chitarrista, mantiene una consistenza sporca.
L'album ha una base testuale. “White Line” contrasta una relazione con la libertà della strada. Su “Over And Over”, Young canta di ritornare dall'amante per il sostentamento. E su “Mansion On The Hill” parla della mitologia anni '60.
Molti pezzi hanno una introduzione chitarristica che conduce ad alcuni versi, poi lunghe improvvisazioni. Nei pezzi più country, le jam smantellano l'introduzione e le melodie, ricamando le note. Sopra il ritmo country di “Days That Used To Be”, Young canta:
“There's very few of us left my friend
From the days that used to be
Seemed like such a simple thing to follow one's own dreams . . .
Talk to me my long-lost friend
Tell me how you are
Are you happy with your circumstance?
Are you driving a new car?
Does it get you where you want to go with a seven-year warrantee
Or just another 100,000 miles away from the days that used to be?”
I pezzi più blues si aprono alle improvvisazioni di Young. Su “Love And Only Love”, una barricata di chitarre nasconde la distorta melodia. La chitarra di Young vi scivola attraverso senza sforzo, con armonici che cambiano il colore del suono; le note, reminiscenze delle improvvisazioni dei Byrds, ricordano improvvisazioni modali jazz. Young canta un verso o due, poi si tuffa in un altro ronzante assolo sostenuto da note modali, cambiamenti di texture e senza conceder tregua all'amplificatore.
Dopo un altro verso, comincia a disperdere note come gocce di pioggia, decorando il suo assolo con slide stile blues, esplorando il territorio. Come molte delle canzoni dell'album, “Love And Only Love” finisce con una coda di feedback.
Young ha registrato l'album facilmente, evitando troppe sovraincisioni. E suona così: ha una reale immediatezza, una integrità in sé che suona come se fossero state registrate delle prove particolarmente ispirate. […]
Peter Watrous, NY Times 1990
Il segreto di quella specie di combustione spontanea che muove i Crazy Horse, dice Young, risiede nella loro capacità di capire quando è ora di smetterla di tirare a lucido la musica.
“Faccio sentire le mie canzoni alla band e iniziamo a provare usando un registratore a cassette”, ha detto Young. “Una volta che abbiamo una canzone, la risuoniamo solo alla fine della giornata. Poi aspettiamo il giorno dopo per registrarla. E quando la registriamo, facciamo un solo take.”
Frank Sampedro, l'altro chitarrista, spiega: “Non ci sediamo mai e facciamo quello che la gente chiama un incontro pre-produzione. Neil arriva e ci suona una canzone. Poi iniziamo a lavorarci insieme, spesso mettendo insieme quattro o cinque canzoni. Qualche volta i testi cambiano mentre ci lavoriamo. L'unica cosa che aggiungiamo dopo sono alcune sovraincisioni delle voci.”
Il tema ricorrente principale di Ragged Glory è l'amore. “È più un disco personale,” dice Young quando gli si chiede di mettere a confronto Ragged Glory al suo acclamato disco del 1989, Freedom. “Parla d'amore, in entrambi i suoi lati. È stato un grande lavoro.”
L'amore viene visto da vedute che spaziano dalla scena di lite domestica di “Love To Burn” alle declamazioni filosofiche di “Love And Only Love”, la dichiarazione conclusiva che offre l'album. L'unica canzone del disco in cui emerge il lato più soft e meditativo di Young è il brano finale, “Mother Earth”, un inno ambientale la cui melodia, ha detto, è composta da due ballads tradizionali di cui non ricorda i titoli.
Con il suo incedere potente e inarrestabile, Ragged Glory non poteva essere più diverso nello spirito dall'album del 1983 Trans, dove Young sperimentò con ritmi e textures elettroniche.
“Non voglio chiudere la porta verso quelle cose,” dice cautamente, “anche se ho scoperto che quel tipo di musica annoia. Lo fanno solitamente persone che non lo suoneranno più, sedute in pantaloni di seta a premere bottoni. Piuttosto preferisco di gran lunga suonare con una band. È più divertente. Non abbiamo da preoccuparci che il ritmo resti perfetto.”
Stephen Holden, NY Times 1990
“Faccio sentire le mie canzoni alla band e iniziamo a provare usando un registratore a cassette”, ha detto Young. “Una volta che abbiamo una canzone, la risuoniamo solo alla fine della giornata. Poi aspettiamo il giorno dopo per registrarla. E quando la registriamo, facciamo un solo take.”
Frank Sampedro, l'altro chitarrista, spiega: “Non ci sediamo mai e facciamo quello che la gente chiama un incontro pre-produzione. Neil arriva e ci suona una canzone. Poi iniziamo a lavorarci insieme, spesso mettendo insieme quattro o cinque canzoni. Qualche volta i testi cambiano mentre ci lavoriamo. L'unica cosa che aggiungiamo dopo sono alcune sovraincisioni delle voci.”
Il tema ricorrente principale di Ragged Glory è l'amore. “È più un disco personale,” dice Young quando gli si chiede di mettere a confronto Ragged Glory al suo acclamato disco del 1989, Freedom. “Parla d'amore, in entrambi i suoi lati. È stato un grande lavoro.”
L'amore viene visto da vedute che spaziano dalla scena di lite domestica di “Love To Burn” alle declamazioni filosofiche di “Love And Only Love”, la dichiarazione conclusiva che offre l'album. L'unica canzone del disco in cui emerge il lato più soft e meditativo di Young è il brano finale, “Mother Earth”, un inno ambientale la cui melodia, ha detto, è composta da due ballads tradizionali di cui non ricorda i titoli.
Con il suo incedere potente e inarrestabile, Ragged Glory non poteva essere più diverso nello spirito dall'album del 1983 Trans, dove Young sperimentò con ritmi e textures elettroniche.
“Non voglio chiudere la porta verso quelle cose,” dice cautamente, “anche se ho scoperto che quel tipo di musica annoia. Lo fanno solitamente persone che non lo suoneranno più, sedute in pantaloni di seta a premere bottoni. Piuttosto preferisco di gran lunga suonare con una band. È più divertente. Non abbiamo da preoccuparci che il ritmo resti perfetto.”
Stephen Holden, NY Times 1990
SLEEPS WITH ANGELS – 1994
Dei musicisti quarantenni che ancora calcano la scena del rock, nello scorso decennio nessuno è stato più “hot” di Neil Young. Il suo acustico Harvest Moon ha parlato con vigore a una generazione che sta invecchiando, vendendo più di 3 milioni di copie. Il suo Unplugged è un classico della serie di MTV, e subito dopo è arrivata una nomination all'Oscar per la title-track del film Philadelphia. I suoi ultimi album degli anni '80, Freedom e Weld sono considerati classici del rock.
Considerando la storia incoerente di Young, non è dunque arrivato il momento per un disco brutto? O mediocre? Pare di no. Il suo ultimo, Sleeps With Angels, vede il folk-rocker canadese preso da un groove creativo che non ha eguali nella sua carriera. Riunita la band di un tempo, i Crazy Horse, Young ha inanellato un'altra gemma alla sua corona di poeta della Woodstock Generation.
E come Sleeps With Angels dimostra in modo appropriato, Young parla eloquentemente anche alla generazione post-Woodstock. La sua musica potrà anche soffrire dell'assenza di quell'abbandono inerziale dei tempi di “Cinnamon Girl”, ma i suoi testi acuti e il suo incalzare seducente portano con sé emozioni fortissime come nessun altro cantautore oggi sa fare.
Ci sono alcuni sguardi nostalgici verso il passato ma c'è anche un senso di futuristico ottimismo attraverso le 12 canzoni del disco. Mentre i Crazy Horse sono di solito il tipico veicolo che permette a Young di muovere su e giù i capelli, Sleeps With Angels è più simile al sentimento rilassato di After The Gold Rush piuttosto che all'improvvisazione strumentale di Everybody Knows This Is Nowhere. E a differenza di Harvest Moon che contiene canzoni acustiche, le chitarre elettriche pacate di Angels creano un filo tagliente che sottolinea il senso d'urgenza del messaggio di Young.
Angels non è il suo miglior disco di sempre, nemmeno il migliore del decennio. Ma preso nel contesto dell'odissea quarantennale della sua musica, dimostra un momento di genio musicale all'apice.
Jerry Spangler, Deseret News 1994
I fan si domandano, “da dove viene fuori questa roba grunge?” La risposta potrebbe sorprenderli. Neil Young e i Crazy Horse stanno alla radice dell'albero genealogico del grunge e tutto il grunce potrebbe provenire da loro. Nessuno ha esplorato la musica più di Young negli ultimi 30 anni. Young è famoso per saper creare ballate acustiche in un momento e poi andare in tour con i Crazy Horse urlando cavalcate come “Cinnamon Girl” e “Rockin' In The Free World”. L'anno scorso Young ha composto un impressionante (e sottovalutata) canzone per Philadelphia di Jonathan Demme e ha rockeggiato ad altissimo volume insieme ai Pearl Jam.
Il nuovo album vede Young di nuovo insieme a Frank Sampedro, Billy Talbot e Ralph Molina, meglio conosciuti come Crazy Horse. Ma l'album non offre il consueto hard-rock tonante per cui il gruppo è famoso. In Sleeps With Angels Young esplora il lato oscuro sia dell'hard che del soft rock.
L'album inizia con una piece al pianoforte intitolata “My Heart”. Young canta di una valle nella notte quando “i sogni si abbattono come alberi”. Il testo rivela il suo struggersi nel continuare a tener saldo il cuore e la speranza. La canzone è una sorta di onirico prologo al resto del disco.
“Prime Of Life” non è materiale musicalmente nuovo. Ci sono reminiscenze delle ultime cose insieme a Crosby, Stills & Nash, come quelle in American Dream. Ma di nuovo il sound colpisce le orecchie dell'ascoltatore con lievi dissonanze. C'è qualcosa di sbagliato musicalmente al di sotto della superficie. Young canta di invecchiamento e occasioni perdute. Come l'invecchiamento, la canzone purtroppo si trascina.
La title-track ha affascinato molti fan e critici. È dedicata a Kurt Cobain e alla sua vedova, Courtney Love. Il ritmo lento ma convulso è sempre in attesa di una fine che lo spazzi via. Le chitarre gemono sullo sfondo ricamando una marcia funebre. Il frenetico tentativo di Kurt e Courtney di sopravvivere sembra senza speranza nella claudicante musica. È una delle migliori canzoni del disco.
“Western Hero” è un cambiamento improvviso. È rilassata e melanconica, con un lieve sapore country. Il testo parla dell'archetipico eroe americano, il cowboy e il soldato della Seconda Guerra Mondiale. È un lamento per la perdita di un uomo semplice ma grandioso. Ora l'eroe se n'è andato, e c'è un uomo d'affari che non ispira più fiducia. Non vive più secondo leggi semplici, in un mondo che non è più quello in cui era cresciuto.
“Change Your Mind”, la prima hit radiofonica del disco, dura più di 14 minuti e potrebbe fornire l'immagine positiva più strana dell'amore. Lenta e con una delle melodie più solide dell'intero disco, Young istruisce l'ascoltatore a riconoscere l'amore intorno a lui e ad abbracciarlo prima che sia troppo tardi. Young sottolinea che l'amore potrebbe essere l'unico salvatore, l'unica cosa in grado di salvare la tua vita dalla tetra disperazione del mondo.
Le successive tre canzoni - “Train Of Love”, “Trans Am” e “Piece Of Crap” - sono eccitanti. “Train Of Love” ripete, in modo alquanto bizzarro, la melodia di “Western Hero”. La linea melodica è però un po' più solida. La canzone più dura è un feroce attacco alla società. Per l'ultima canzone, “A Dream That Can Last”, Young torna al piano. C'è un sapore irlandese e Young canta di un sogno che ha fatto, dove ha visto un mondo perfetto ove niente andava perduto.
Nel complesso, Young ha dimostrato una volta ancora la sua natura camaleontica e il suo effetto sulla musica. Crea accordi dalle dissonanze e armonie dal caos e dall'angoscia. La sua musica ovviamente continuerà a svilupparsi com'è nella sua natura, e Neil continuerà a restare tra noi per molto tempo.
Mitch Frank, Cavalier Daily 1994
Dei musicisti quarantenni che ancora calcano la scena del rock, nello scorso decennio nessuno è stato più “hot” di Neil Young. Il suo acustico Harvest Moon ha parlato con vigore a una generazione che sta invecchiando, vendendo più di 3 milioni di copie. Il suo Unplugged è un classico della serie di MTV, e subito dopo è arrivata una nomination all'Oscar per la title-track del film Philadelphia. I suoi ultimi album degli anni '80, Freedom e Weld sono considerati classici del rock.
Considerando la storia incoerente di Young, non è dunque arrivato il momento per un disco brutto? O mediocre? Pare di no. Il suo ultimo, Sleeps With Angels, vede il folk-rocker canadese preso da un groove creativo che non ha eguali nella sua carriera. Riunita la band di un tempo, i Crazy Horse, Young ha inanellato un'altra gemma alla sua corona di poeta della Woodstock Generation.
E come Sleeps With Angels dimostra in modo appropriato, Young parla eloquentemente anche alla generazione post-Woodstock. La sua musica potrà anche soffrire dell'assenza di quell'abbandono inerziale dei tempi di “Cinnamon Girl”, ma i suoi testi acuti e il suo incalzare seducente portano con sé emozioni fortissime come nessun altro cantautore oggi sa fare.
Ci sono alcuni sguardi nostalgici verso il passato ma c'è anche un senso di futuristico ottimismo attraverso le 12 canzoni del disco. Mentre i Crazy Horse sono di solito il tipico veicolo che permette a Young di muovere su e giù i capelli, Sleeps With Angels è più simile al sentimento rilassato di After The Gold Rush piuttosto che all'improvvisazione strumentale di Everybody Knows This Is Nowhere. E a differenza di Harvest Moon che contiene canzoni acustiche, le chitarre elettriche pacate di Angels creano un filo tagliente che sottolinea il senso d'urgenza del messaggio di Young.
Angels non è il suo miglior disco di sempre, nemmeno il migliore del decennio. Ma preso nel contesto dell'odissea quarantennale della sua musica, dimostra un momento di genio musicale all'apice.
Jerry Spangler, Deseret News 1994
I fan si domandano, “da dove viene fuori questa roba grunge?” La risposta potrebbe sorprenderli. Neil Young e i Crazy Horse stanno alla radice dell'albero genealogico del grunge e tutto il grunce potrebbe provenire da loro. Nessuno ha esplorato la musica più di Young negli ultimi 30 anni. Young è famoso per saper creare ballate acustiche in un momento e poi andare in tour con i Crazy Horse urlando cavalcate come “Cinnamon Girl” e “Rockin' In The Free World”. L'anno scorso Young ha composto un impressionante (e sottovalutata) canzone per Philadelphia di Jonathan Demme e ha rockeggiato ad altissimo volume insieme ai Pearl Jam.
Il nuovo album vede Young di nuovo insieme a Frank Sampedro, Billy Talbot e Ralph Molina, meglio conosciuti come Crazy Horse. Ma l'album non offre il consueto hard-rock tonante per cui il gruppo è famoso. In Sleeps With Angels Young esplora il lato oscuro sia dell'hard che del soft rock.
L'album inizia con una piece al pianoforte intitolata “My Heart”. Young canta di una valle nella notte quando “i sogni si abbattono come alberi”. Il testo rivela il suo struggersi nel continuare a tener saldo il cuore e la speranza. La canzone è una sorta di onirico prologo al resto del disco.
“Prime Of Life” non è materiale musicalmente nuovo. Ci sono reminiscenze delle ultime cose insieme a Crosby, Stills & Nash, come quelle in American Dream. Ma di nuovo il sound colpisce le orecchie dell'ascoltatore con lievi dissonanze. C'è qualcosa di sbagliato musicalmente al di sotto della superficie. Young canta di invecchiamento e occasioni perdute. Come l'invecchiamento, la canzone purtroppo si trascina.
La title-track ha affascinato molti fan e critici. È dedicata a Kurt Cobain e alla sua vedova, Courtney Love. Il ritmo lento ma convulso è sempre in attesa di una fine che lo spazzi via. Le chitarre gemono sullo sfondo ricamando una marcia funebre. Il frenetico tentativo di Kurt e Courtney di sopravvivere sembra senza speranza nella claudicante musica. È una delle migliori canzoni del disco.
“Western Hero” è un cambiamento improvviso. È rilassata e melanconica, con un lieve sapore country. Il testo parla dell'archetipico eroe americano, il cowboy e il soldato della Seconda Guerra Mondiale. È un lamento per la perdita di un uomo semplice ma grandioso. Ora l'eroe se n'è andato, e c'è un uomo d'affari che non ispira più fiducia. Non vive più secondo leggi semplici, in un mondo che non è più quello in cui era cresciuto.
“Change Your Mind”, la prima hit radiofonica del disco, dura più di 14 minuti e potrebbe fornire l'immagine positiva più strana dell'amore. Lenta e con una delle melodie più solide dell'intero disco, Young istruisce l'ascoltatore a riconoscere l'amore intorno a lui e ad abbracciarlo prima che sia troppo tardi. Young sottolinea che l'amore potrebbe essere l'unico salvatore, l'unica cosa in grado di salvare la tua vita dalla tetra disperazione del mondo.
Le successive tre canzoni - “Train Of Love”, “Trans Am” e “Piece Of Crap” - sono eccitanti. “Train Of Love” ripete, in modo alquanto bizzarro, la melodia di “Western Hero”. La linea melodica è però un po' più solida. La canzone più dura è un feroce attacco alla società. Per l'ultima canzone, “A Dream That Can Last”, Young torna al piano. C'è un sapore irlandese e Young canta di un sogno che ha fatto, dove ha visto un mondo perfetto ove niente andava perduto.
Nel complesso, Young ha dimostrato una volta ancora la sua natura camaleontica e il suo effetto sulla musica. Crea accordi dalle dissonanze e armonie dal caos e dall'angoscia. La sua musica ovviamente continuerà a svilupparsi com'è nella sua natura, e Neil continuerà a restare tra noi per molto tempo.
Mitch Frank, Cavalier Daily 1994
C'è un po' di After The Gold Rush in Sleeps With Angels, l'ultimo album di Neil Young. Di nuovo in squadra con i Crazy Horse, Young ha tirato fuori un album che cresce ad ogni ascolto. Nonostante la produzione minimalista di questi tempi, in Angels Young – che non ha mai cercato la vetta – punta al sottofondo. In ogni modo, l'approccio funziona.
I Crazy Horse sono probabilmente l'ultima garage-band – i cui membri suonano come se la loro vita dipendesse da quello. E non sono di certo i migliori cantanti. Ma funzionano, comunque. È facile figurarsi Young, Billy Talbot, Ralph Molina e Frank “Poncho” Sampedro chiusi in un fienile da qualche parte, un solo microfono che penzola dal soffitto, gli amplificatori a tutto volume, a bastonare i propri strumenti come se fossero appena venuti a casa da scuola.
Angels si apre con “My Heart”, una ballata del solo Young a uno stonato pianoforte che non avrebbe sfigurato in Gold Rush, il trattato minimalista di Young del 1970. Per molti versi la canzone rimanda a “Birds” di quell'album.
Ma c'è anche molto dello Young elettrico in Angels – in particolare nella title-track, che riguarda il suicidio di Curt Cobain dei Nirvana. Come sempre, Young manda alle stelle il proprio amplificatore al punto che il sound sembra uscire da altoparlanti da 8 pollici piazzati in una Caddy del '63 per avere più bassi. Suona grandioso.
“Trans Am” è, diciamo, spettrale. Le parole hanno poco senso, ma è suggestiva. “Western Hero”, col suo confronto tra giovani e vecchi uomini americani, potrebbe essere una out-take di Harvest Moon. E “Piece Of Crap” è semplicemente divertentissima. Presumibilmente un colpo violento che rivela le frustrazioni di chiunque nella vita moderna. […] È impossibile non essere d'accordo con quanto dice.
Bisogna essere come Neil Young: difficili da catalogare. Già si stava dicendo che era tornato alle sue radici folk, con Harvest Moon, e lui fa uscire Sleeps With Angels, un cambiamento pressoché radicale di direzione. È un album potente, che sta sullo scaffale insieme a Live Rust e all'inno “Rockin' In The Free World”.
Dave Molter, Observer Reporter
I Crazy Horse sono probabilmente l'ultima garage-band – i cui membri suonano come se la loro vita dipendesse da quello. E non sono di certo i migliori cantanti. Ma funzionano, comunque. È facile figurarsi Young, Billy Talbot, Ralph Molina e Frank “Poncho” Sampedro chiusi in un fienile da qualche parte, un solo microfono che penzola dal soffitto, gli amplificatori a tutto volume, a bastonare i propri strumenti come se fossero appena venuti a casa da scuola.
Angels si apre con “My Heart”, una ballata del solo Young a uno stonato pianoforte che non avrebbe sfigurato in Gold Rush, il trattato minimalista di Young del 1970. Per molti versi la canzone rimanda a “Birds” di quell'album.
Ma c'è anche molto dello Young elettrico in Angels – in particolare nella title-track, che riguarda il suicidio di Curt Cobain dei Nirvana. Come sempre, Young manda alle stelle il proprio amplificatore al punto che il sound sembra uscire da altoparlanti da 8 pollici piazzati in una Caddy del '63 per avere più bassi. Suona grandioso.
“Trans Am” è, diciamo, spettrale. Le parole hanno poco senso, ma è suggestiva. “Western Hero”, col suo confronto tra giovani e vecchi uomini americani, potrebbe essere una out-take di Harvest Moon. E “Piece Of Crap” è semplicemente divertentissima. Presumibilmente un colpo violento che rivela le frustrazioni di chiunque nella vita moderna. […] È impossibile non essere d'accordo con quanto dice.
Bisogna essere come Neil Young: difficili da catalogare. Già si stava dicendo che era tornato alle sue radici folk, con Harvest Moon, e lui fa uscire Sleeps With Angels, un cambiamento pressoché radicale di direzione. È un album potente, che sta sullo scaffale insieme a Live Rust e all'inno “Rockin' In The Free World”.
Dave Molter, Observer Reporter