Rassegna stampa d'epoca: American Stars 'n Bars / Comes A Time
AMERICAN STARS ‘N BARS – 1977
Sebbene siano in pochi, quei canadesi finiti nel mainstream americano hanno avuto un grosso impatto. Artisti folk come John Mitchell e Gordon Lighfoot hanno trasformato o perfezionato l'idioma in un modo che i musicisti americani troppo consapevoli non avrebbero mai acconsentito. Analogamente, il rock ha la sua dose di terapia dello shock, se si parla di The Band, che hanno messo il nostro retaggio in un'altra prospettiva, o Neil Young, le cui proteste gridate in “Southern Man” e “Ohio” erano in qualche modo più autentiche dal momento che venivano da un forestiero.
Ma, con l'ironia e l'astuzia di cui ha sempre dato prova, Young non affronta questa cultura e i suoi fallimenti nel suo ultimo LP, American Stars 'n Bars, nonostante il titolo sembri riferirsi direttamente all'argomento.
Invece, affronta la vita che ha condotto negli States e il successo che ha ottenuto qui. Anche se le sue radici sono canadesi (il “nord Ontario” che gli mancava in “Helpess”) la sua carriera e la sua musica riflettono il fatto che la sua arte sia di proprietà di questo paese. Facendo un collegamento col sud della California, ancora una volta, tenendolo però a un livello personale, Young collega le star e i tizi da bar.
Essere un eroe nordamericano non è stato facile per lui, come mostrano le sue sfortune personali che occasionalmente sono rese pubbliche. Ma con gli ultimi tre LP è stato definitivamente sulla cresta dell'onda, e raggiunge un altro vertice con American Stars 'n Bars, una retrospettiva di 9 canzoni che mostrano intensamente sia il suo futuro che il suo passato.
Young cambia stile istantaneamente e decide di alternare materiale vecchio e nuovo, così il pubblico a volte rimane confuso dai suoi cambiamenti d'umore tra un album e l'altro. Il lato 1 è Young così com'è ora, o era, con i Crazy Horse questa primavera. Nel pezzo d'apertura, “The Old Country Waltz”, stabilisce il tono spiegando “non ci sono scuse, voglio solo suonare”. Dalla quantità di energia che canzoni come “Hey Babe” e “Bite The Bullet” generano, sembra che più sia in sintonia col pubblico, più sia capace di cogliere le occasioni.
Nonostante molte recensioni siano a favore di questo LP, finora sono poche ad aver menzionato quanto sia bravo Young a cantare in coppia con una donna. Linda Ronstadt si unisce a lui per un paio delle nuove canzoni e, col suo range vocale, canta le parti più alte, quelle che lui solitamente cerca di raggiungere, lasciandolo concentrare su toni più naturali come quelli nella lamentosa “Hold Back The Tears”.
Young ha registrato, tempo fa, una certa varietà di materiale insieme a Emmylou Harris e una di quelle canzoni, del 1974, è venuta alla luce sul lato 2, l'intensa ballata “Star Of Bethlehem”, che rivela: “forse la stella di Betlemme non era proprio una stella”.
In “Will To Love” Neil splende, totalmente da solo, facendo riecheggiare tutti i suoi anni di musica e in particolare ricordando l'approccio al suo primo album – le tastiere sono perfettamente raffinate quasi quanto lo erano su “The Old Laughing Lady”. Se questa canzone mostra lo spirito combattivo di Young in un modo gentile, poi “Like A Hurricane” lo evidenzia con tutto il fuoco e la furia di cui è capace. Le due canzoni sono i migliori 15 minuti e 25 secondi che Young abbia mai messo insieme.
“Homegrown”, la title-track di un album defunto, ritorna in parte al sapore country delle cose più recenti, anche se è stata registrata due anni fa. Formando un cerchio completo, l'album è un inqualificabile successo, perché Young mette in equilibrio la sua “persona musicale” in un modo che scoraggia qualsiasi critica specifica. Coprendo tutte le sue aree, ha raggiunto un punto per cui niente di ciò che farà dopo potrà essere altrettanto atteso e ricevere altrettanta attenzione.
Kurt Harju, Michigan Daily 1977
Sebbene siano in pochi, quei canadesi finiti nel mainstream americano hanno avuto un grosso impatto. Artisti folk come John Mitchell e Gordon Lighfoot hanno trasformato o perfezionato l'idioma in un modo che i musicisti americani troppo consapevoli non avrebbero mai acconsentito. Analogamente, il rock ha la sua dose di terapia dello shock, se si parla di The Band, che hanno messo il nostro retaggio in un'altra prospettiva, o Neil Young, le cui proteste gridate in “Southern Man” e “Ohio” erano in qualche modo più autentiche dal momento che venivano da un forestiero.
Ma, con l'ironia e l'astuzia di cui ha sempre dato prova, Young non affronta questa cultura e i suoi fallimenti nel suo ultimo LP, American Stars 'n Bars, nonostante il titolo sembri riferirsi direttamente all'argomento.
Invece, affronta la vita che ha condotto negli States e il successo che ha ottenuto qui. Anche se le sue radici sono canadesi (il “nord Ontario” che gli mancava in “Helpess”) la sua carriera e la sua musica riflettono il fatto che la sua arte sia di proprietà di questo paese. Facendo un collegamento col sud della California, ancora una volta, tenendolo però a un livello personale, Young collega le star e i tizi da bar.
Essere un eroe nordamericano non è stato facile per lui, come mostrano le sue sfortune personali che occasionalmente sono rese pubbliche. Ma con gli ultimi tre LP è stato definitivamente sulla cresta dell'onda, e raggiunge un altro vertice con American Stars 'n Bars, una retrospettiva di 9 canzoni che mostrano intensamente sia il suo futuro che il suo passato.
Young cambia stile istantaneamente e decide di alternare materiale vecchio e nuovo, così il pubblico a volte rimane confuso dai suoi cambiamenti d'umore tra un album e l'altro. Il lato 1 è Young così com'è ora, o era, con i Crazy Horse questa primavera. Nel pezzo d'apertura, “The Old Country Waltz”, stabilisce il tono spiegando “non ci sono scuse, voglio solo suonare”. Dalla quantità di energia che canzoni come “Hey Babe” e “Bite The Bullet” generano, sembra che più sia in sintonia col pubblico, più sia capace di cogliere le occasioni.
Nonostante molte recensioni siano a favore di questo LP, finora sono poche ad aver menzionato quanto sia bravo Young a cantare in coppia con una donna. Linda Ronstadt si unisce a lui per un paio delle nuove canzoni e, col suo range vocale, canta le parti più alte, quelle che lui solitamente cerca di raggiungere, lasciandolo concentrare su toni più naturali come quelli nella lamentosa “Hold Back The Tears”.
Young ha registrato, tempo fa, una certa varietà di materiale insieme a Emmylou Harris e una di quelle canzoni, del 1974, è venuta alla luce sul lato 2, l'intensa ballata “Star Of Bethlehem”, che rivela: “forse la stella di Betlemme non era proprio una stella”.
In “Will To Love” Neil splende, totalmente da solo, facendo riecheggiare tutti i suoi anni di musica e in particolare ricordando l'approccio al suo primo album – le tastiere sono perfettamente raffinate quasi quanto lo erano su “The Old Laughing Lady”. Se questa canzone mostra lo spirito combattivo di Young in un modo gentile, poi “Like A Hurricane” lo evidenzia con tutto il fuoco e la furia di cui è capace. Le due canzoni sono i migliori 15 minuti e 25 secondi che Young abbia mai messo insieme.
“Homegrown”, la title-track di un album defunto, ritorna in parte al sapore country delle cose più recenti, anche se è stata registrata due anni fa. Formando un cerchio completo, l'album è un inqualificabile successo, perché Young mette in equilibrio la sua “persona musicale” in un modo che scoraggia qualsiasi critica specifica. Coprendo tutte le sue aree, ha raggiunto un punto per cui niente di ciò che farà dopo potrà essere altrettanto atteso e ricevere altrettanta attenzione.
Kurt Harju, Michigan Daily 1977
COMES A TIME – 1978
E' ovvio che è un eroe. È evidente dal clamore che il pubblico regala quando fa la sua comparsa al Garden, ma è anche un fatto culturale dell'America: Neil Young, intelligente, sgualcito, bruttino figlio di un uomo onesto, è il Bogey di oggi. Come Bogey è sia un'icona underground che un'icona morale, e come Bogey parla da un confine a coloro che sono o vorrebbero essere lì con lui. È un solitario veterano, snobba i capi, scettico, e queste virtù ne fanno un definitivo hippie realistico e non costruito, in mezzo a una dinastia di dolci, patetiche, moribonde rockstar degli anni '60. Forse tutto ciò spiega il suo status eroico tra i grandi del mondo rock.
Dunque cos'ha da dire in questi giorni, che viene nell'Ovest con un nuovo album e con la vecchia band? Ascolteremo nuovi dal suo mondo sotterraneo fatto di droghe, dubbi, divisioni, così familiari a chi viveva ai margini nei '60 e nei '70 e così eloquentemente spiegati in Decade, l'antologia dello scorso anno? […]
Il nuovo album, Comes A Time, si sposta verso canzoni d'amore, tema per cui egli era evidentemente preoccupato nel momento in cui registrava l'album (è stato registrato per lo più a Nashville, ma anche con i Crazy Horse quasi un anno fa). È un lavoro semplice, uno dei più tranquilli (produzione attenta, un pizzico di archi, cori femminili) ma comunque appassionato, sognante. Il primo lato parla di dedizione all'amore, dubbi esistenziali, indole vagabonda, ecc. “Look Out For My Love”, anche se non fa particolarmente presa nel classico tono melodico di Young, è un'amorevole ritratto di questi temi. Serve per ricordarci che l'autore conosce la contraddizione tra il potere dell'immagine (evocazione) e la chiarificazione (l'effettivo arrivo del messaggio); tiene tutto sotto controllo, cosa rara nel rock & roll. Invece “Comes A Time” e “Lotta Love” sono entrambe molto cariche, semplici e seduttive, e “Peace Of Mind” delinea un problema della vita con grande precisione.
Sul secondo lato, siamo sulla strada e di nuovo fuori dal mondo. “Human Highway” è un brano scioccante a proposito del non avere più privacy sotto l'occhio del mondo (“Ora il mio nome è sui giornali / Come può la gente essere così scortese?”). “Already One”, molto triste, guarda indietro alla strada sospetta e a ciò che rimane di una relazione (“il nostro bambino”). Poi è la volta di “Field Of Opportunity” (“Nel campo delle opportunità è tempo di arare di nuovo”), felice pezzo country, quindi “Motorcycle Mama” (“vuoi abbassare quella grossa punta d'acciaio?”) sfreccia nella notte tra libertà e rischio con una grinta blues e funky. Chiude la venerabile “Four Strong Winds” di Ian Tyson, che suggerisce che magari c'è un freddo conforto nel modo in cui la Terra continua a girare (tesi che anche “Comes A Time” sul lato uno, nonostante un po' di scetticismo, sembra sostenere). […]
Patrick Carr, Village Voice 1978
Neil Young è tornato a scrivere e cantare canzoni d'amore. Se c'è un filo conduttore tra la miglior musica pop e rock, è l'amore che vince e che perde. E se c'è una cosa che Neil Young fa meglio di chiunque altro dei suoi contemporanei, è cantare canzoni col cuore. Non è mai troppo presto, comunque. Nonostante tutti questi anni passati al livello di “superstar” discografica, per quanto in modo riluttante, Young non ha trovato quel pubblico immenso che gli permette di vendere dischi a tonnellate. È stato definito la voce degli anni 70 e viene paragonato a Bob Dylan, ma non cercatelo sulle copertine del Time.
C'è un suo nuovo album, Comes A Time, che magari potrebbe cambiare le cose. È uno di quei lavori che mettono in bocca ai critici il gergo che va di moda. “Il disco di Neil Young più accessibile”, dicono. Ed effettivamente è accessibile.
Il che è un altro modo per dire che la musica non è impenetrabile. Non spaventerà la gente, e non c'è bisogno di essere dei fan incalliti di Young, o dei freak nostalgici che guardano ancora ai Buffalo Springfield e a Crosby, Stills, Nash & Young, per apprezzarlo. Accessibile non significa necessariamente buono, ovviamente. I Bee Gees sono accessibili – ritmi infettanti e testi cretini sono una combinazione simpatica e poco faticosa. Ma questo album di Young è buono. Non è solo il più accessibile dai tempi del best-seller Harvest, è il migliore.
Ed è una misura dell'immagine ombreggiata di Young nel pop, il fatto che il suo miglior lavoro in anni non scali le classifiche Billboard, o che fomenti attese clamorose come il nuovo disco di Ted Nugent.
E' anche colpa di Young. Non gli importa molto dell'autopromozione, e in un epoca in cui figure del pop così restie come Bob Dylan regalano interviste a chiunque per incrementare l'interesse verso i loro progetti, Young si nasconde in tour, cantando vecchi successi e facendo il meno possibile per promuovere il nuovo disco.
Lui è, parafrasando il critico Patrick Carr del Village Voice, il “solitario veterano, scettico e che snobba i capi... definitivamente un hippie idealista e non costruito in mezzo a una dinastia di dolci, patetiche, moribonde rockstar dei '60.” Non importa cosa possa significare “hippie idealista non costruito” - il nostro uomo è un eroe della musica per certe persone, e se il pubblico non è ancora rimbecillito dai Bee Gees, molta gente semplicemente lo capirà.
Arrivato come sempre in ritardo di mesi, Comes A Time conclude una pentalogia di dischi, dal dolce all'amaro, dal più grezzo al più musicalmente levigato. Young riempie gli spazi con l'amore, ricambiato o vano. Trova anche l'energia di produrre un disco di qualità fuori dal comune, pulito e diretto, eccitante musicalmente. È abbastanza per tornare a credere.
In Comes A Time Young non è più maturo come quand'era romantico. Ha avuto i suoi travagli amorosi negli anni, per lo più testimoniati sui dischi. Forse questo va considerato nella sua abilità di cantare di questo tema con così grande effetto. Il modo in cui Young esercita la sua in qualche modo limitata voce è sempre impressionante quando è al massimo della forma. E Comes A Time mostra un catalogo di esempi - “Look Out For My Love” tanto per iniziare. La canzone ruota attorno alla narrazione di una relazione che muta, ed emotivamente passa da una supplica di comprensione a qualcosa che somiglia a una messa in guardia; il titolo lo si può leggere in entrambi i modi. È evidente che Young ha trovato molta più soddisfazione nella sua vita lo scorso anno, suppergiù, per fare di Comes A Time una collezione di ottimismo, un allenamento con la sua ombra romantica.
Ma l'amante ferito viene a galla – un disco di Neil Young sarebbe incompleto senza almeno una di queste canzoni. E “Already One” sembra ricoprire quella parte, perché Young osserva: “non posso credere che l'amore duri appena un po', e all'inizio sembri per sempre”.
L'album è più pulito e perfettamente prodotto che mai. Il coro di Nicolette Larson aggiunge quel colore alla striminzita voce di Young così come Emmylou Harris faceva in Desire di Bob Dylan, e il violino di Rufus Thibodeaux rende spumeggianti nello stile del sud molte delle canzoni ma solo dove occorre. Come in Harvest o After The Gold Rush, Young ha lavato dolcemente le sue canzoni con qualche arco, ma questa volta non così stucchevolmente, e la sua chitarra solista predomina sempre; è quella che dà drammaticità a canzoni come “Look Out For My Love”.
Il duo Larson-Young su “Motorcycle Mama” risponde a quel requisito da “rock da strada”, mentre la carica “Four Strong Winds” (una vecchia canzone folk di Ian Tyson) conclude l'album. Gran parte di esso è la voce di Neil Young, che ulula come a mezzanotte, lamentandosi dell'amore e piangendo per noi tutti. Sì, è una voce per gli anni '70, e anche per gli '80 – accessibile o no.
Bill Cosford, Evening Indipendent 1978
Dalla pubblicazione di Harvest nel 1972, Neil Young sembra aver sempre cercato il disco che ne fosse l'ideale seguito. Lo ha fatto con Comes A Time, album che rispolvera i sapori country e l'innocenza di Harvest, ma che porta l'immagine di Young per il pubblico a una dimensione diversa. Ci sono diverse tracce su questo disco che potrebbero diventare dei singoli, tra cui la title-track, “Goin' Back”, “Lotta Love” e “Human Highway”.
La produzione è superba. Ci sono 4 produttori e 10 ingegneri per questo disco, registrato tra Fort Lauderdale, Londra, Nashville e Hollywood. Il sound nasale di Young si adatta perfettamente ai suoi testi – canzoni che parlano di abbandonare, cambiare, perdere un amore e disperarsi. La sezione archi dell'orchestra è meravigliosa, sono 15 i musicisti che suonano sui brani. J.J. Cale, che io apprezzo particolarmente, suona la chitarra elettrica. La ragazza che armonizza alla voce su “Already One” è favolosa ma il suo nome non è riportato. Young – che per lungo tempo è stato insieme a Crosby, Stills, Nash & Young – ha fatto il suo best-seller per il mercato natalizio, un intelligente mix di bluegrass e sofisticato country rock. Ha appena intrapreso un tour per gli USA che dovrebbe far impennare le vendite del disco. Chi può resistere a “Nel campo delle opportunità è tempo di arare di nuovo”?
Christine Logan, Sydney Morning Herald 1978
E' ovvio che è un eroe. È evidente dal clamore che il pubblico regala quando fa la sua comparsa al Garden, ma è anche un fatto culturale dell'America: Neil Young, intelligente, sgualcito, bruttino figlio di un uomo onesto, è il Bogey di oggi. Come Bogey è sia un'icona underground che un'icona morale, e come Bogey parla da un confine a coloro che sono o vorrebbero essere lì con lui. È un solitario veterano, snobba i capi, scettico, e queste virtù ne fanno un definitivo hippie realistico e non costruito, in mezzo a una dinastia di dolci, patetiche, moribonde rockstar degli anni '60. Forse tutto ciò spiega il suo status eroico tra i grandi del mondo rock.
Dunque cos'ha da dire in questi giorni, che viene nell'Ovest con un nuovo album e con la vecchia band? Ascolteremo nuovi dal suo mondo sotterraneo fatto di droghe, dubbi, divisioni, così familiari a chi viveva ai margini nei '60 e nei '70 e così eloquentemente spiegati in Decade, l'antologia dello scorso anno? […]
Il nuovo album, Comes A Time, si sposta verso canzoni d'amore, tema per cui egli era evidentemente preoccupato nel momento in cui registrava l'album (è stato registrato per lo più a Nashville, ma anche con i Crazy Horse quasi un anno fa). È un lavoro semplice, uno dei più tranquilli (produzione attenta, un pizzico di archi, cori femminili) ma comunque appassionato, sognante. Il primo lato parla di dedizione all'amore, dubbi esistenziali, indole vagabonda, ecc. “Look Out For My Love”, anche se non fa particolarmente presa nel classico tono melodico di Young, è un'amorevole ritratto di questi temi. Serve per ricordarci che l'autore conosce la contraddizione tra il potere dell'immagine (evocazione) e la chiarificazione (l'effettivo arrivo del messaggio); tiene tutto sotto controllo, cosa rara nel rock & roll. Invece “Comes A Time” e “Lotta Love” sono entrambe molto cariche, semplici e seduttive, e “Peace Of Mind” delinea un problema della vita con grande precisione.
Sul secondo lato, siamo sulla strada e di nuovo fuori dal mondo. “Human Highway” è un brano scioccante a proposito del non avere più privacy sotto l'occhio del mondo (“Ora il mio nome è sui giornali / Come può la gente essere così scortese?”). “Already One”, molto triste, guarda indietro alla strada sospetta e a ciò che rimane di una relazione (“il nostro bambino”). Poi è la volta di “Field Of Opportunity” (“Nel campo delle opportunità è tempo di arare di nuovo”), felice pezzo country, quindi “Motorcycle Mama” (“vuoi abbassare quella grossa punta d'acciaio?”) sfreccia nella notte tra libertà e rischio con una grinta blues e funky. Chiude la venerabile “Four Strong Winds” di Ian Tyson, che suggerisce che magari c'è un freddo conforto nel modo in cui la Terra continua a girare (tesi che anche “Comes A Time” sul lato uno, nonostante un po' di scetticismo, sembra sostenere). […]
Patrick Carr, Village Voice 1978
Neil Young è tornato a scrivere e cantare canzoni d'amore. Se c'è un filo conduttore tra la miglior musica pop e rock, è l'amore che vince e che perde. E se c'è una cosa che Neil Young fa meglio di chiunque altro dei suoi contemporanei, è cantare canzoni col cuore. Non è mai troppo presto, comunque. Nonostante tutti questi anni passati al livello di “superstar” discografica, per quanto in modo riluttante, Young non ha trovato quel pubblico immenso che gli permette di vendere dischi a tonnellate. È stato definito la voce degli anni 70 e viene paragonato a Bob Dylan, ma non cercatelo sulle copertine del Time.
C'è un suo nuovo album, Comes A Time, che magari potrebbe cambiare le cose. È uno di quei lavori che mettono in bocca ai critici il gergo che va di moda. “Il disco di Neil Young più accessibile”, dicono. Ed effettivamente è accessibile.
Il che è un altro modo per dire che la musica non è impenetrabile. Non spaventerà la gente, e non c'è bisogno di essere dei fan incalliti di Young, o dei freak nostalgici che guardano ancora ai Buffalo Springfield e a Crosby, Stills, Nash & Young, per apprezzarlo. Accessibile non significa necessariamente buono, ovviamente. I Bee Gees sono accessibili – ritmi infettanti e testi cretini sono una combinazione simpatica e poco faticosa. Ma questo album di Young è buono. Non è solo il più accessibile dai tempi del best-seller Harvest, è il migliore.
Ed è una misura dell'immagine ombreggiata di Young nel pop, il fatto che il suo miglior lavoro in anni non scali le classifiche Billboard, o che fomenti attese clamorose come il nuovo disco di Ted Nugent.
E' anche colpa di Young. Non gli importa molto dell'autopromozione, e in un epoca in cui figure del pop così restie come Bob Dylan regalano interviste a chiunque per incrementare l'interesse verso i loro progetti, Young si nasconde in tour, cantando vecchi successi e facendo il meno possibile per promuovere il nuovo disco.
Lui è, parafrasando il critico Patrick Carr del Village Voice, il “solitario veterano, scettico e che snobba i capi... definitivamente un hippie idealista e non costruito in mezzo a una dinastia di dolci, patetiche, moribonde rockstar dei '60.” Non importa cosa possa significare “hippie idealista non costruito” - il nostro uomo è un eroe della musica per certe persone, e se il pubblico non è ancora rimbecillito dai Bee Gees, molta gente semplicemente lo capirà.
Arrivato come sempre in ritardo di mesi, Comes A Time conclude una pentalogia di dischi, dal dolce all'amaro, dal più grezzo al più musicalmente levigato. Young riempie gli spazi con l'amore, ricambiato o vano. Trova anche l'energia di produrre un disco di qualità fuori dal comune, pulito e diretto, eccitante musicalmente. È abbastanza per tornare a credere.
In Comes A Time Young non è più maturo come quand'era romantico. Ha avuto i suoi travagli amorosi negli anni, per lo più testimoniati sui dischi. Forse questo va considerato nella sua abilità di cantare di questo tema con così grande effetto. Il modo in cui Young esercita la sua in qualche modo limitata voce è sempre impressionante quando è al massimo della forma. E Comes A Time mostra un catalogo di esempi - “Look Out For My Love” tanto per iniziare. La canzone ruota attorno alla narrazione di una relazione che muta, ed emotivamente passa da una supplica di comprensione a qualcosa che somiglia a una messa in guardia; il titolo lo si può leggere in entrambi i modi. È evidente che Young ha trovato molta più soddisfazione nella sua vita lo scorso anno, suppergiù, per fare di Comes A Time una collezione di ottimismo, un allenamento con la sua ombra romantica.
Ma l'amante ferito viene a galla – un disco di Neil Young sarebbe incompleto senza almeno una di queste canzoni. E “Already One” sembra ricoprire quella parte, perché Young osserva: “non posso credere che l'amore duri appena un po', e all'inizio sembri per sempre”.
L'album è più pulito e perfettamente prodotto che mai. Il coro di Nicolette Larson aggiunge quel colore alla striminzita voce di Young così come Emmylou Harris faceva in Desire di Bob Dylan, e il violino di Rufus Thibodeaux rende spumeggianti nello stile del sud molte delle canzoni ma solo dove occorre. Come in Harvest o After The Gold Rush, Young ha lavato dolcemente le sue canzoni con qualche arco, ma questa volta non così stucchevolmente, e la sua chitarra solista predomina sempre; è quella che dà drammaticità a canzoni come “Look Out For My Love”.
Il duo Larson-Young su “Motorcycle Mama” risponde a quel requisito da “rock da strada”, mentre la carica “Four Strong Winds” (una vecchia canzone folk di Ian Tyson) conclude l'album. Gran parte di esso è la voce di Neil Young, che ulula come a mezzanotte, lamentandosi dell'amore e piangendo per noi tutti. Sì, è una voce per gli anni '70, e anche per gli '80 – accessibile o no.
Bill Cosford, Evening Indipendent 1978
Dalla pubblicazione di Harvest nel 1972, Neil Young sembra aver sempre cercato il disco che ne fosse l'ideale seguito. Lo ha fatto con Comes A Time, album che rispolvera i sapori country e l'innocenza di Harvest, ma che porta l'immagine di Young per il pubblico a una dimensione diversa. Ci sono diverse tracce su questo disco che potrebbero diventare dei singoli, tra cui la title-track, “Goin' Back”, “Lotta Love” e “Human Highway”.
La produzione è superba. Ci sono 4 produttori e 10 ingegneri per questo disco, registrato tra Fort Lauderdale, Londra, Nashville e Hollywood. Il sound nasale di Young si adatta perfettamente ai suoi testi – canzoni che parlano di abbandonare, cambiare, perdere un amore e disperarsi. La sezione archi dell'orchestra è meravigliosa, sono 15 i musicisti che suonano sui brani. J.J. Cale, che io apprezzo particolarmente, suona la chitarra elettrica. La ragazza che armonizza alla voce su “Already One” è favolosa ma il suo nome non è riportato. Young – che per lungo tempo è stato insieme a Crosby, Stills, Nash & Young – ha fatto il suo best-seller per il mercato natalizio, un intelligente mix di bluegrass e sofisticato country rock. Ha appena intrapreso un tour per gli USA che dovrebbe far impennare le vendite del disco. Chi può resistere a “Nel campo delle opportunità è tempo di arare di nuovo”?
Christine Logan, Sydney Morning Herald 1978