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Neil Young: Hitchhiker (Reprise Records, 2017)


1. Pocahontas
2. Powderfinger
3. Captain Kennedy
4. Hawaii
5. Give Me Strength
6. Ride My Llama
7. Hitchhiker
8. Campaigner
9. Human Highway
10. The Old Country Waltz 


Chitarra, pianoforte, armonica, voce: Neil Young
Produced by David Briggs
Recorded at  Indigo Ranch Studios, Malibu (California)

"Nel 1976 ero sempre di fretta, scrivevo molte canzoni ogni settimana, troppo materiale e troppo poco tempo per andare in studio. Registravo dovunque potessi e andavo veloce, completando i miei dischi rapidamente. Per me non era importante creare album tecnicamente perfetti ma catturare le esecuzioni originali e i sentimenti di ogni nuova canzone. Quelle performance in gran parte racchiudono l'essenza delle canzoni. Era questo il mio metodo. […] Una notte io e [David] Briggs capitammo in uno dei suoi posti preferiti, gli Indigo Ranch Studios [di Malibu]. Passai lì la notte insieme a David a registrare nove canzoni acustiche, da solo, realizzando un disco che intitolai Hitchhiker. Era completo nel suo insieme, sebbene io fossi piuttosto impassibile e questo si avverte nelle esecuzioni. Dean Stockwell, un amico e un grande attore con cui più avanti lavorai in Human Highway, era con noi quella notte, seduto nella stanza con me mentre suonavo tutte le canzoni in fila, fermandomi soltanto per uno spinello, una birra o una coca cola. Briggs era in sala controllo, mixando dal vivo sulla sua console preferita."
Neil Young, “Special Deluxe” (2014)

Tra il 1975 e il 76, Neil Young lascia Carrie Snodgrass dopo una relazione sempre più problematica, ritrova i Crazy Horse con cui vive un periodo fruttuoso e si sposta da un posto all'altro tra tour e case sulla spiaggia. Probabilmente attraversa il periodo di maggior creatività della sua vita, sia in termini di qualità che di quantità. Letteralmente non riesce a star dietro alle sue canzoni: terminato di registrare un album è già pronto per sperimentare il materiale successivo, appena scritto, e così gli album e le sessioni si accumulano dietro di lui, dimenticate, come una scia di macerie dietro un carro armato che procede a sfondamento. Questo è il Neil Young più o meno tra il 1975 e il 1978: sono gli anni di “Cortez The Killer” e “Like A Hurricane”, di “Powderfinger” e “Pocahontas”, ma soprattutto di una lunga serie di canzoni meno note ma di uguale spessore, di cui per la maggior parte rimane ignota la versione originale o quantomeno il contesto originale di provenienza. In quegli anni e nei successivi, in album come American Stars n' Bars, Comes A Time, Rust Never Sleeps, Hawks & Doves (1977-1980), Ragged Glory e Unplugged (1990 e 1993), Young si diverte a collocare, tra brani del momento, canzoni ripescate da quel triennio d'oro, mantenendo le versioni originali oppure registrandole di nuovo (come “Country Home” e “White Line” in Ragged Glory, “Stringman” nel live Unplugged).
Il risultato è che, a partire dal 1975, l'unico album che rappresenta effettivamente il contesto da cui deriva, nella sua totalità (a eccezione dell'ultimo brano), è appunto quello del 1975, Zuma, forse il miglior risultato dei Crazy Horse di sempre. Dopo Zuma si passa direttamente al particolarissimo Reactor del 1981, da cui ebbe inizio tutta la celeberrima bizzarria younghiana anni 80. American Stars, Hawks & Doves, Rust Never Sleeps e ovviamente anche Long May You Run, la sottovalutata collaborazione con Stills del 76, sono dischi-mosaico che pescano da questo e da quello, un po' da prima e un po' da adesso.
Il preambolo, come al solito, era necessario per inquadrare Hitchhiker nel suo contesto. Quello che infatti può sembrare, all'ascolto, un insieme di demo acustiche, è in realtà il secondo esempio (dopo Zuma appunto) che abbiamo tra le mani, risalente al periodo suddetto, di “album” propriamente detto, cioè figlio di un'unica sessione nella quale Neil Young si concentra su materiale recente (in gran parte nuovo). Una testimonianza più unica che rara di un momento fondamentale nella carriera del folk-rocker canadese, che sbobina in poco più di mezz'ora dieci canzoni, tutte di grande intimità e profondità, alcune destinate a diventare classiche, altre a restare tra le chicche di album secondari, altre a cadere nel profondo pozzo degli Archivi younghiani. Ascoltare “Powderfinger”, “Pocahontas”, “Ride My Llama” e “Human Highway” nelle primigenie, spoglie, veloci versioni appena fuoriuscite dalla penna e dal plettro di Neil Young, è a dir poco emozionante. Le prime due sono le stesse versioni che circolano da tempo nel bootleg dell'album Chrome Dreams. Di tutte le canzoni presenti qui, probabilmente “Human Highway” è quella più vecchia (nel 1973 era già stata registrata da CSN&Y, una versione che circola nei bootleg). Anche “Campaigner” e “Captain Kennedy”, due canzoni dal timbro politico, hanno finalmente il loro contesto naturale (sono gli stessi take presenti su Decade e Hawks & Doves, ma “Campaigner” è qui proposta finalmente nella versione integrale con una strofa in più, tagliata nella versione di Decade).
Di “Hitchhiker”, che conosciamo dalla versione elettrica incisa per Le Noise (2010), possiamo ascoltare qui l'originale, che data la differenza vale quasi quanto un'inedita assoluta, anche perché ci sono alcune diversità nel testo (in particolare, Young usa il tempo presente anziché passato per le ultime strofe e fa un diretto riferimento a Carrie Snodgrass; manca inoltre la strofa finale aggiunta sulla versione 2010). Spoglia e grezza fa la sua figura, sebbene la miglior resa di questo brano – almeno a nostro parere – rimane quella dal vivo nel tour acustico del 1992, che assume un impressionante tono spettrale qui assente.
Le due inedite, che corollano il disco e lo rendono ancora più appetibile per i fan, sono “Give Me Strength” (già nota dai bootleg live) e “Hawaii” (inedita assoluta, a quanto ci è dato sapere). La prima, una ballad dal riff accattivante, è la più sgangherata dell'album: Young commette errori di esecuzione, e non è certo una resa indimenticabile di un brano splendido che ha brillato ancora di più nei concerti del periodo. La seconda è più criptica, altrettanto tipica della sfera più dark dello Young anni 70. Essendo del tutto inaspettata, è impressionante scoprire una canzone così dopo un anonimato durato quarant'anni (e viene da chiedersi nuovamente, chissà cos'altro giace nei benedetti Archivi di cui siamo all'oscuro!).
Ma è l'ultima canzone la sorpresa più grande. “The Old Country Waltz”, conosciuta per essere una “ballad da saloon” su American Stars n' Bars, simpatica ma forse non così meritevole di essere ricordata, qui assume tutt'altri connotati. Spogliata dalle grossolane vesti country, suonata sul solo pianoforte, echeggiante come se davvero Young si trovasse in un vuoto saloon di una città fantasma, è spettrale e bellissima. Non da meno, anche il testo è in parte diverso e da riscoprire.
Le ultime note del “vecchio valzer” si spengono riverberando dolcemente, lasciandoci la nostalgia di un'epoca musicale bellissima, la felicità di averla riassaporata, l'amarezza che sia già conclusa dopo soli trentatrè minuti. Il viaggio è durato poco ma è stato significativo: l'autostoppista del titolo ha fatto un viaggio nel passato, attraverso uno sguardo all'America sanguinaria dei conquistadores, e nel presente di se stesso, una rockstar che gira il paese con il suo bagaglio sulle spalle: una relazione fallita, il consumo di droghe, l'ossessione per la musica, la fama. Un ritratto spontaneo e privo di qualsiasi fronzolo: praticamente il marchio di fabbrica di Neil Young.
Hitchhiker ha inaugurato la Special Release Series, di cui è il disco #5 (i primi 4 non sono ancora usciti), una nuova serie parallela ad Archives e alla Performance Series che a quanto pare si focalizzerà sugli album inediti che costellano tutta la carriera younghiana. Dovremmo quindi attenderci (tra le numerose possibilità) Homegrown, Chrome Dreams e Oceanside/Countryside, tre lavori degli stessi anni di Hitchhiker.

MPB, Rockinfreeworld

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