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The Oral History: Greendale, 2003


Neil Young: La sceneggiatura di Greendale l'ho scritta così, senza fermarmi mai, per nessun motivo. Con me avevo sempre un blocchetto e ogni volta che mi veniva in mente qualcosa l'appuntavo. All'inizio non sapevo che stavo scrivendo una storia, pensavo fosse solo un mucchio di canzoni con gli stessi personaggi in comune. [4]

Eri in concerto quando l’America ha dichiarato guerra all’Iraq nel 1991, sotto la presidenza Bush. 12 anni dopo, hai cantato queste canzoni a una nazione di nuovo in guerra contro l’Iraq, guidata da un altro Bush. Ti spaventa questo dejà-vu?
Young
: Credo che questo sia un periodo di grande sconcerto che coinvolge la maggior parte degli americani. Il nuovo modo di concepire la morale emerge da questa amministrazione – il fondamentalismo religioso, un’attitudine di purezza superiore nei confronti del resto del mondo – che non fa parte del nostro classico modo di vivere. Non penso che gli americani si siano sentiti più puri degli altri nel XX secolo. Eravamo felici e soddisfatti del nostro tenore di vita. Ma ora le cose sono diverse, ecco di cosa parla Greendale, e qual è il problema che affigge Grandpa: non capisce cosa stia succedendo. Vede solo tutte quelle cose che il Patriot Act (una propaggine della campagna per la Libertà, che stimola la produzione a scopo patriottico) ha strappato dalle sue abitudini di sentire l’America. [1]

Un’immagine durante lo show di Greendale è tratta da un cartone in cui campeggia la scritta “Supportiamo la nostra guerra!”. Il pubblico reagisce con un mix di fischi e risate.
Young
: Quell’immagine vuole provocare una sensazione di fastidio. Per alcuni la reazione è immediata: “Già! Supportiamo la nostra guerra!”. Altri invece dicono: “No! Non vogliamo questa guerra”. Poi ci sono quelli che pensano: “Ehi, che fa Neil, supporta la guerra?”. Tutto questo a causa di una sola scritta. Ecco come vanno le cose in questo paese: si sentono tutti infastiditi, perché nessuno sa a cosa credere davvero. [1]

Tu a cosa credi? Dov’è la speranza nelle canzoni di Greendale?
Young
: L’energia è nelle ultime canzoni (“Sun Green” e “Be the rain”), in cui i giovani alzano la testa davanti a quello che vedono. Questo periodo è il più significativo terreno fertile per una rivoluzione dagli anni ’60. Non credo ci siano stati tempi più maturi di oggi per creare in una generazione i presupposti di una ribellione. Abbiamo davanti agli occhi una generazione di ragazzi che sembra perennemente in fila per comprare l’ultimo album di Justin Timberlake, ma io non li vedo così. Non puoi farti gioco dei giovani. Ci sono un sacco di ragazzi che non riescono a mandare giù quello che sta succedendo, non gli va il modo in cui il loro paese è gestito. Non sopportano di vedere le multinazionali che fanno quello che gli pare senza pagare uno scotto. [1]

Pensi che questi ragazzi ascolteranno quello che racconti in Greendale?
Young
: Penso che non lo ascolteranno neanche. L’intero sistema di reperire musica mi ha sorpassato, non mi ci sento più dentro. Sono più preoccupato a fare dischi in cui credo. Cerco di creare uno spazio in cui la mia arte possa avere una sua dimensione specifica; scrivere e cantare canzoni, filmare, esprimermi a modo mio. [1]

Avevi già in mente la saga della famiglia Green quando hai cominciato a scrivere le canzoni?
Young
: “Devil’s sidewalk” è stato il primo testo che ho finito. Si può dire che descrivesse un luogo, mano a mano che le canzoni crescevano e si sviluppavano ho avuto chiara l’intera storia, tutto quel che sarebbe successo. Ho scritto le canzoni una dopo l’altra e cominciavo a comporre la successiva solo dopo avere registrato quella precedente. Sono venute da sole. La mattina, appena alzato, prendevo la chitarra e suonavo qualche accordo ed eccole. La mia anima mi forniva le indicazioni, io le seguivo. Poi sono entrato in studio. Scrivevo le parole senza la chitarra, in macchina. Continuavo a fermarmi per strada, buttavo giù due o tre versi, proseguivo qualche centinaio di metri, mi fermavo di nuovo e scrivevo altre parti di testo. Non facevo che camminare e scrivere, finché non sono arrivato in studio. La registrazione finale di “Devil’s sidewalk” è anche la prima che ho cantato, perfino la band non l’aveva mai ascoltata prima. [1]

Con quale personaggio della storia ti sei identificato di più?
Young
: Impersonano tutti un lato di me, della mia famiglia e della mia vita, e anche parte di una famiglia più vasta, quella americana. La cosa più bella nello spettacolo è che io me ne sto lì sul palco per un’ora e mezzo, a cantare queste nuove canzoni, e la gente non mi guarda neanche. I loro occhi si spostano continuamente. Nel film, io suono la musica, canto ogni canzone. Vedo le immagini che voglio, perché la maggior parte sono stato io a girarle. Ma non muovo le labbra a tempo, non fingo. Odio tutta quella merda. [1]

Come regista mi sembra che tu abbia un’avversione totale alla pulizia. I tuoi film, compreso Greendale, hanno tutti una certa confusione stilistica, sembrano fatti in casa.
Young
: L’atmosfera è nel messaggio, nel significato, come nel caso di Journey Through The Past (1972) e Human Highway (1982). Be’, Human Highway è veramente comico [ride]. Ma a chi frega di giudicarmi come regista? Il mio obiettivo non è di finire nel cinema con un blockbuster. Lo show di Greendale rispecchia l’onestà low-budget del film, come se fosse l’adattamento di uno spettacolo colossale allestito da una compagnia di liceali. Sarah White, la ragazza che interpreta Sun Green, è un’amica di mia figlia. Ho sempre seguito le rappresentazioni scolastiche in cui recitavano lei e mia figlia Amber, e sono sempre rimasto colpito da quanto si possa riuscire a comunicare usando solo dei semplici pannelli di compensato come scenografia. Non ho bisogno di altro, si adatta perfettamente al mio modo di vedere le cose. [1]

Qual è l’ultima canzone dell’album che hai scritto?
Young
: “Be the Rain”, l’ultima del disco. L’ho scritta circa nove mesi fa. [1]

Non passa troppo tempo tra una canzone e l’altra?
Young
: No. Bisogna lasciare del tempo alle cose perché raggiungano un equilibrio. C’era un pezzo all’inizio di Greendale, una sorta di reprise di Are You Passionate?, si chiamava “I don’t want to be sorry”. È una bella canzone, fatta con i Crazy Horse. Alla fine non l’ho inserita, era un pezzo di transizione. [1]

Quale canzone di Greendale ti immagini di suonare tra un paio d’anni, come parte integrante di un concerto di Neil Young?
Young
: [Lunga pausa]. Non lo so. Ho già sentito qualcuno parlare del disco dicendo: “È peggio di Trans”. [1]

Non è molto bello.
Young
: Già [sorride]. Ma se quando ho fatto Trans avessi potuto disporre della tecnologia che posso utilizzare oggi e di una maggiore sicurezza in me stesso come regista, avrei potuto raccontare la storia di Trans come ho raccontato quella di Greendale. All’epoca mi sarebbe piaciuto fare un video per ogni canzone, ma l’etichetta non se lo poteva permettere. Io l’avrei fatto anche da solo, almeno mi sarei preso la piena responsabilità per il risultato di Trans. Sarebbe stato più completo. [1]

Nella canzone “Grandpa’s interview” canti: “Non è un onore apparire in tv / non è un onore e neanche un dovere”. Guardi molta tv? Cosa segui?
Young
: La guardo ogni tanto, ma ci metto poco a innervosirmi, così finisco col parlare allo schermo finché non la spengo. Guardo Star Trek. Mai i reality show, chi pensano di prendere i giro? Che realtà è quella in cui una telecamera segue ogni tuo movimento? Quanto è stupida la gente? [1]

In Greendale ti riferisci a te stesso solo in poche occasioni, come nelle parole di Grandpa in “Falling from above”: “Sembra che quello che canta questa canzone / lo abbia fatto per parecchio tempo / c’è qualcosa che conosce / di cui non abbia già detto qualcosa?”. Temi che un giorno ti mancheranno argomenti o che la gente smetta di ascoltarti?
Young
: No. Finché la cosa mi sta a cuore, continuerò a trovare il modo di dire cose che parlano del presente e non del passato. La prospettiva su ciò che dico riflette il mio modo di essere. Non mi scoraggia osservare come stanno andando le cose nel mio paese, perché sono ancora libero di parlarne male; posso ancora permettermi di creare uno specchio in cui la gente si possa riflettere. [1]

Neil, ho appena visto il tuo sito web. Il disegno che c’è nella pagina di Greendale mi ha fatto porre una domanda, con cui ora comincerò: per queste canzoni avevi una visione ben delineata quando hai iniziato a scriverle?
Young
: Le canzoni in se stesse – non c’era preconcetto. Ho iniziato a scrivere e quello che scrivevo era l’immagine che emergeva dalle canzoni. Ne ho scritta una e l’ho registrata e poi un’altra e l’ho registrata. Abbiamo fatto così per tutto il progetto. Perciò non è partito da una grande immagine complessiva né niente; è stato come per tutte le mie altre canzoni, ho aspettato di iniziare a scrivere e le ho seguite. [2]

Ma i personaggi, nonché i luoghi e le situazioni, mentre stai scrivendo non immagini nella tua mente come potrebbero apparire?
Young
: Sai, è più di “immaginare”; è come vederli. Non hanno facce mentre li scrivo, ma posso sentire lo spirito delle persone di cui sto scrivendo, perciò sono più coinvolto nei loro sentimenti che non nel loro aspetto. [2]

Quindi non rimandano necessariamente a persone e luoghi vicini a te, nella tua vita?
Young
: No. No. I personaggi del film – il film lo abbiamo fatto solo dopo aver finito il disco, quindi per i personaggi ho scelto le persone che li avrebbero interpretati solo per il feeling che sentivo, chi potesse fare cosa e fosse adatto al ruolo. Mi sono preso il tempo per pensarci. Quando tutto era chiaro ho cominciato a filmare con loro. [2]

È un progetto affascinante. È cresciuto in modo stravagante da un punto di vista multimediale. Hai continuato a metterlo insieme man mano?
Young
: Ho iniziato cancellando la lavagna e cercando di fare qualcosa di semplice, senza ancora sapere di cosa la musica avrebbe trattato, così quando iniziai a scrivere la storia e le canzoni coi personaggi all’interno e tutto quanto, lo abbiamo visto schiudersi e abbiamo continuato a seguire la storia mentre la registravamo – fino a che non finì. Allora, solo allora abbiamo capito che era terminata e abbiamo visto cosa avevamo creato. E durante le registrazioni, stavo riprendendo con varie videocamere e con fondali verdi nelle finestre dello studio, così potevo mettere qualunque cosa in quelle finestre. Abbiamo iniziato a filmare delle cose da usare per le finestre. Ho fatto qualcosa in Sud Africa e altre cose in diversi posti qui in America. Poi ho deciso di filmare un breve dialogo per qualcuno di questi personaggi, e perché non usare tal dei tali per questo personaggio e fare quella scena e metterla nella finestra, così che la puoi vedere dietro di noi mentre suoniamo, li vedi parlare l’un l’altro come fanno nella canzone. Quindi ho cercato di fare così ed era così affascinante vederlo, che abbiamo deciso che dovevamo filmare di più e lasciare meno musica. Fino a che abbiamo lasciato soltanto il film. Tutto quanto ha preso forma partendo da una cosa e passando all’altra, e ora abbiamo entrambe le cose. Abbiamo la versione studio, il film, il live show e tutto ciò che potevamo trarne. È così divertente suonare le canzoni e le canzoni sono così ringiovanenti, in qualche modo, tornano sempre e ti prendono, così non sei mai stanco di suonarle. Fare gli show e suonarle live con la rappresentazione sul palco e gli attori e le scene che cambiano è un’esperienza grandiosa. [2]

Sembra affascinante, ma quando dici che ci sono attori in scena, quanto è elaborata la produzione?
Young
: Ci sono 55 persone. Tre palchi e la scena ambientata a Greendale con una piccola casa e un carcere e un palco nel mezzo che cambia e si alterna per tutte le varie cose. Molte scene sono ambientate lì, quindi varia continuamente e c’è uno sfondo con degli artworks; il genere di cose che vedi sul sito web, tutto ispirato al film – un po’ stile cartoon, come quando ti avvicini con una lente d’ingrandimento e vedi tutti i punti e i colori – il background è disegnato, mentre la gente in primo piano è reale. Quando portavamo questa produzione per gli Stati Uniti, andavamo in un posto e cercavamo persone del posto per alcune parti del cast, perché ci sono molti ruoli e molte cose, mostravamo loro cosa dovevano fare, uno o due giorni prima, facevamo prove e facevano la loro parte. Tutti andavano di corsa perché era la prima volta che lo facevano. Di fronte alla gente sentivano la frenesia della produzione. È interessante. [2]

La cosa che ho sempre trovato nella tua musica attraverso gli anni è un elemento visivo molto forte. […] Nel fare queste rappresentazioni sul palco non sei preoccupato di bloccare la fantasia del pubblico?
Young
: Be’, d’altra parte dimostra di funzionare. Specialmente dal momento che questi brani non sono molto familiari al pubblico, non sono stati ascoltati per anni e anni, e non sono associati quindi a momenti della vita. Questi brani non sono solo canzoni, ma capitoli di una storia. Quindi se hai canzoni che ti portano da una scena all’altra e i personaggi ritornano, li vuoi conoscere come quando guardi un’opera; stai sempre guardando un concerto, stai sempre ascoltando. Quindi è una cosa diversa: le canzoni sono comunque aperte all’interpretazione. Hai lo stesso il tempo per andare oltre, ma ogni tanto sei guidato dal vedere qualcosa di direttamente connesso al testo, e la gente sul palco usa effettivamente la mia voce per parlare. [2]

Muovono le labbra in sincronia…
Young
: Tutti i personaggi hanno la mia voce, perciò è una cosa diversa. [2]

Assolutamente. E come sono state le reazioni?
Young
: Abbiamo avuto un ottimo riscontro. Un fantastico momento. L’abbiamo fatto per due mesi prima che l’album uscisse. Davvero innovativo, andar fuori a fare queste canzoni che la gente non conosce assolutamente, e tutta questa produzione. Abbiamo visto che la gente ascolta di più. Ascoltano, guardano, sono ricettivi, ricevono più quello che normalmente si sono anticipati. E poi, quando facciamo alcune canzoni vecchie, alla fine per un secondo set più breve, l’esperienza è di sentire vere canzoni, non una sorta di celebrazione di un’epoca della loro vita. Perciò per noi funziona. [2]

Davvero affascinante, e per te è ovviamente un’esperienza favolosa.
Young
: Oh sì. Grandiosa. Adoro suonare queste canzoni. Molte di esse hanno un timbro blues per un verso o per l’altro, si basano sullo stile funky di Chicago degli anni ’40 e ’50 ed è questo il tipo di musica, è facile vivere con essa. Facile suonarla. [2]

È sembrato che, soprattutto durante la registrazione del disco, tu volessi metterti alla prova, quindi ti senti ricompensato no?
Young
: Molto. Sono tornato a una chitarra, basso e batteria nella sua forma più semplice, e ridotto le tracce a sedici e ridotta la squadra di lavoro – ogni cosa è più piccola. [2]

E fondamentalmente si tentava al primo take; senza provare troppo?
Young
: Sì. Cose come quelle. A volte abbiamo dovuto suonarla due o tre volte prima di averla. Ma il più delle volte la prima volta che suonavamo la canzone era la prima volta che io la cantavo. Costruivo la melodia nello stesso tempo, talvolta, ed era interessante. [2]

Interessante, ma è anche il metodo che ti dà la carica, perché dopo aver fatto tanti album in questi anni, hai scoperto di voler provare a creare un ambiente spontaneo in un certo senso?
Young
: Be’, ho sempre cercato di essere spontaneo e fare dischi veri. Posso sentire la performance e so che ho consegnato la canzone e visto le immagini. Se c’è qualcuno aperto ad essa, la può avere. So sempre quando faccio una cosa giusta. E in questo caso – Dio, è successo così facilmente ed è così semplice e diretto. Mi ha entusiasmato molto. [2]

Che sia vera o no, mi piace la storia che tu guidavi per andare allo studio ogni giorno e nel mentre scrivevi i testi, accostandoti al lato della strada. Hai fatto davvero così?
Young
: Sì. Perché non aveva senso andare in studio se non avevo qualcosa. E le canzoni arrivarono. Mi svegliavo al mattino e suonavo un paio di accordi, per prima cosa, e poi partivo, ok, eccoli gli accordi. Non mi soffermavo mai di più. Mi chiedevo se erano validi, a suonarli, e lo erano. Li usavo. Non ci pensavo anticipatamente, li suonavo e c’erano. Ho cercato di lasciare le cose com’erano, e costruirci sopra quando veniva naturale senza pensarci. E il risultato è la storia e quel genere di apertura che ha. [2]

Parli direttamente attraverso i personaggi di Greendale?
Young
: Be’, sai, dato che sono tutti venuti fuori da me e usano la mia voce, devono essere parte di me in un modo o nell’altro. Ma sono soltanto – non so dire da dove vengono. Sono apparsi. Non li ho prefigurati. Ho molto rispetto per Sun Green e il suo personaggio e la parte che gioca. Ho molta speranza per lei e i suoi contemporanei qui fuori. Ci sono molte cose, molti personaggi, con cui prendi familiarità insieme alla storia. È più facile capire la storia mentre senti la musica o guardi il film o lo spettacolo teatrale piuttosto che parlarne. Comunque sì, mi sento davvero legato ai personaggi e alla loro storia. Penso sia per questo che è così facile per me continuare a farlo. [2]

Greendale uscì nel 2003 sotto il nome di Neil Young e Crazy Horse, ma tu non suonasti su quel disco. La cosa ti infastidì?
Frank Sampedro
: Be', dipende da come la vedi. [Ride] Non mi importa di non essere sul disco, ma allo stesso tempo è stato un momento di svolta. Hanno finito per considerarlo un disco dei Crazy Horse. E io, “Va bene, non sono nella band.” Poi mi hanno usato nel tour. E non penso che mi abbiano usato con saggezza. Mi sedevo a suonare qualche nota con la tastiera. Immagino di esser stato lì solo per le hits alla fine dello spettacolo. Dopo di quello, non abbiamo più suonato insieme per nove anni. Per tutto quel tempo mi sentivo come se non fossi veramente nella band. Ci ha separato in un certo senso, ma allo stesso tempo mi ha fatto trovare un posto dove potermi sentire indipendente e forte. Suonare con Neil e tutta l'idea della band non era più così significativa come prima. Non sto dicendo che non amo la band, ma soltanto che... Se vogliamo vederla in bianco e nero, io ero fuori. […] Non ho mai pensato cose come, “Oh, non voglio suonare più con loro. Mi hanno tradito.” Niente del genere mi è passato per la testa. Ma quando sono tornato con loro a suonare, ho detto “Ok, devo essere accettato come individuo indipendente e non come parte del gruppo. Devo essere io a funzionare per prima cosa, se voglio che tutto funzioni.” [3]

Fonti:
[1] Rolling Stone
[2] Abc.net 2003
[3] Rolling Stone 2013
[4] Neil Young, “Il Sogno di un Hippie”

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