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Live at Cellar Door - Rassegna Stampa (pt.2)



Seguire la logica di Neil Young non è facile.
Siamo in attesa di secondo volume degli Archivi e tutto farebbe presupporre che, se ci dovesse essere qualche pubblicazione tratta dagli Archivi (come questo disco) dovrebbe essere del periodo che va dal 1972 al 1980.
Il periodo che dovrebbe costituire l’ossatura del secondo volume.
Invece Young pubblica un disco dal vivo, registrato nel 1970, periodo di appannaggio del primo volume, un live che precede di soli due mesi Live At Massey Hall, già edito sul primo volume degli Archivi.
Ma, lo sappiamo benissimo, Young non segue una logica, segue la sua logica, fa quello che vuole, spiazza volutamente critici e fans.
Live At Cellar Door raccoglie il meglio di sei serate che il giovane canadese ha tenuto nel piccolo club di Washington DC, lo stesso dove Miles Davis ha registrato le voluminose The Cellar Door Sessions (nello stesso anno) e ci presenta un concerto in cui si esibisce da solo (come in quello della Massey Hall) alternando la chitarra al piano.
Ben sei sono le canzoni in cui si esibisce con il piano, uno Steinway a coda (si sente dal suono): After The Gold Rush, Expecting To Fly, Birds, See The Sky About To Rain, Cinnamon Girl e Flying On The Ground Is Wrong.
Ci sono diversi brani di After The Goldrush, uscito qualche mese prima, alcuni dei Buffalo Springfield,e qualcuna che andrà a finire sui dischi seguenti.
Young è timido, ma poi discorre, parla, si lascia leggermente andare e, a livello di piano, lavora molto bene.
See The Sky About To Rain è sempre una meraviglia di canzone, un piccolo capolavoro, mentre decisamente curiosa è la versione di Cinnamon Girl che non avevamo mai ascoltato voce e piano (io non avevo mai ascoltato), con un lavoro sui tasti notevole.
E poi Expecting To Fly, splendida, forse la più bella versione di questa canzone, con il piano che diventa lirico e Neil che ci canta sopra con molta misura.
Dopo Tell Me Why, Neil annuncia una canzone nuova ed esegue una versione candida e molto personale della straordinaria Only Love Can Break Your Heart, con la chirtarra che sembra incerta (ma che non lo è).
Bad Fog of Loneliness, Old Man, particolarmente bella, Birds e Don’t Let It Bring You Down, altra gemma, caratterizzano il concerto. Young mostra che le sue canzoni da elettriche possono diventare delle ballate acustiche bellissime, vedi Cinnamon Girl o Down By The River, canzoni flessibili, anzi malleabili e maschera la sua incertezza, anche nella voce, lasciando uscire melodie turgide, accompagnate da cristalline note di piano (See The Sky About To Rain su tutte).
La finale Flying on The Ground is Wrong viene introdotta da una serie di frasi quasi sconnesse, dialogo con il pubblico (è un anno che suono seriamente il piano …..), rumori vari e poi, liberatoria, arriva la canzone, che scorre fluida sino alla fine del concerto.
Diverso da Live At Massey Hall, ci presenta un altro volto del protagonista: non quello folk di Sugar Mountain – Live at Canterbury House 1968, né quello cantautorale di Live At Massey Hall. Qui è più discorsivo, più pianistico, più aperto, se Neil Young si può considerare tale.
Disco obliquo, che si piazza in mezzo ad altri che potrebbero essere simili, ma che non lo sono, disco che rivela, ma lo sapevamo già, l’assoluta bravura del canadese, sia a livello di scrittura che come esecutore in perfetta solitudine. Disco che conferma la sua sconclusionata regola di mercato, dove la confusione dei tempi di registrazione spesso alberga nella sua mente: ma poi, una volta che mettiamo Live At The Cellar Door nel lettore, tutto svanisce rapidamente.
Rimane la magia della musica
Ed è quello che interessa a noi e che ci fa maggiormente piacere.

 
Un ragazzo di 25 anni suona un pugno di canzoni alternandosi alla chitarra ed al pianoforte in un locale di Washington D.C. con una capienza di non più di 200 posti fra il tintinnio dei bicchieri e le voci degli avventori. Succede ogni sera, quasi ovunque nel mondo. Solo che quel ragazzo è già una star, il locale è il Cellar Door e quel pugno di canzoni sarebbero entrate a far parte della storia della musica popolare. Neil Young ci regala, attingendo allo scrigno senza apparente fondo dei suoi Archivi, la testimonianza sonora di un momento cruciale della sua vita, non solo artistica. In quel 1970 il mondo cambiava. I sogni di Woodstock si erano infranti nell'inferno di Altamont. C.S.N. & Y. già non esistevano più e il ragazzo che ne faceva parte e che negò il suo permesso ad essere ripreso al Festival dei Festival e che prima ancora aveva dato vita al mito dei Buffalo Springfield si apprestava a diventare un'icona, non solo musicale, per i decenni a venire. Le 13 canzoni di “Live at the Cellar Door” racchiudono l'essenza dei sei spettacoli che il “canadese errante” tenne fra il 30 novembre e il  2 dicembre del 1970, due mesi dopo la pubblicazione dell’album-capolavoro “After the gold rush”, in quel locale che sarebbe divenuto leggendario anche per essere citato nei versi iniziali di The needle and the damage done, sull’album “Harvest”. I brani sono estratti quasi completamente da “After the Gold Rush” e “Everybody knows this is nowhere”. E' quasi irreale ascoltare il silenzio che precede l'allora inedita Old Man. Così come è meraviglioso ascoltare la limpida purezza di Tell me why o la struggente catarsi onirica di Don't let it bring you down. After the gold rush è da brividi e quei brividi si sentono ancora sulla pelle.
Neil e il pubblico. Un rapporto da sempre diretto, intenso. Down by the river e Only love can break your heart ne sono la prova. Ma è la presenza di ben sei pezzi suonati al piano- tra cui una inedita Bad Fog Of Loneliness che si sarebbe ascoltata per la prima volta nel 2007 in ”Live at Massey Hall” - a rendere appieno l'intimità del rapporto unico che lega l'uomo di Omemee (Toronto, Canada) ai suoi fans, così come meravigliosamente dimostrato dalla recentissima tournée estiva con i Crazy Horse.  E' da meno di due anni, afferma  ai tempi “the loner”, che si cimenta con questo strumento. Cinnamon girl, incerta e vera come non mai (un'autentica perla di sincerità musicale, così nuda e fragile priva del suo sostrato elettrico) lo conferma. Preludio di innumerevoli, future meraviglie. E' un mondo diverso quello che emerge dai solchi di quest'ennesima pagina del diario. Flying on the ground is wrong  accoglie il commento estatico di un ascoltatore mentre il Nostro spiega che si parla di droga, dipendenza in senso lato  (“dope” è il termine usato) e dei suoi danni. Expecting to fly risorge dal repertorio dei Buffalo Springfield psichedelica e soavemente inquietante così come quella See the sky about to rain pochi anni dopo donata ai Byrds per la loro reunion. Un altro mondo. Un altro tempo. Ma quel ragazzo di 25 anni, che da poco ne ha compiuti 68, è entrato nel cuore di intere generazioni grazie al suo genio, alla sua musica, la sua poesia e il suo sempre coerente approccio alla vita. Negli anni Settanta fu lui a scoprire i Devo in quel di Akron. Negli anni Novanta furono i vari Eddie Vedder e Kurt Kobain a venerarlo tanto da far riemergere la Musica dal pantano in cui era sprofondata. Ora, nel 2013, un pugno di canzoni puo' far capire il perchè di tutto questo. 
Distorsioni.net



“As the days fly past will we lose our grasp or fuse in the sun?”
La pluriennale lotta di Neil Young contro la ruggine e lo scorrere inesorabile del tempo si arricchisce di un nuovo capitolo: ecco la pubblicazione dell’ennesimo live estratto dagli Archivi, la monumentale opera tesa a canonizzare, cesello dopo cesello, il suo lascito artistico.  “Live at the Cellar Door” si inserisce nel solco dei vari “Live at Fillmore East”, “Live at Massey Hall”,” Live at Canterbury” degli scorsi anni, tutti tesi a mostrare Young nel periodo della sua irresistibile ascesa, culminata con “Harvest” nel 1972. Lavori imperdibili per ogni rustie che si rispetti, anche se probabilmente il miglior frutto del cesto è stato “A Treasure”, risalente  alla sbornia di puro country-rock del reaganiano e bistrattato “Old Ways” di metà anni 80 con gli International Harvesters: album che ha messo in luce una delle pagine meno celebrate dell’epopea youngiana, regalando oltretutto alcuni degli inediti più pregiati della vendemmia archivi (la ballata “Amber Jean” e la ruggente “Grey Riders” su tutti).  Non passerà inoltre inosservato che il titolo di quest’ultima fatica è anche un velato omaggio al mai abbastanza rimpianto Danny Whitten, al quale era dedicata "The Needle And The Damage Done", la più dolente delle elegie youngiane, con il celeberrimo incipit  I caught you knockin’ at my cellar door.
Registrato in un piccolo locale di Washington nel 1970, “Live at the Cellar Door” mostra Nello nella sua dimensione di inarrivabile cantore della solitudine, alternandosi tra chitarra acustica e piano. Impressionante la sfilza di classici, tra cui la primordiale versione di “Old Man” e una rarissima e felpata esecuzione di “Cinnamon Girl” al piano, mentre l’innocente nudità di “Tell Me Why”, “Birds” e “Only Love Can Break Your Heart” e le apocalittiche visioni di “After The Gold Rush” e “Don’t Let it Bring You Down”  ( it’s only castles burning...) tracciano ancora un solco profondo nell’anima.
Gli apici del disco sono però quelli risalenti alla saga westcoastiana coi Buffalo Springfield, rese solo con voce e piano.  Pur priva del celeberrimo arrangiamento psych-baroque di Jack Nitzsche,  “Expecting To Fly” si conferma in assoluto uno dei brani più significativi degli anni Sessanta, non a caso immortalato anche in un passaggio chiave di “Paura e delirio a Las Vegas”, forse il film rock and roll per eccellenza degli ultimi 20 anni.  Splendida anche “Flying On The Ground Is Wrong”, ai tempi dei Buffalo cantata da Richie Furay e di cui Young si era già ripreso la paternità nel citato “A Treasure”:  introdotta da un divertente monologo in cui il Canadese ne spiega la genesi, l’andamento svagato e rapsodico di questa versione rende ulteriore giustizia a un pezzo paradigmatico per la dolcezza con cui le tipiche nevrosi youngiane si insinuano nell’utopico canovaccio flower power.
Storiadellamusica.it

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