Visita Ai Redwood Studios (Broken Arrow Ranch)
Il Broken Arrow Ranch, per coloro che non conoscono questo
nome, è la residenza californiana di Neil Young da 35 anni. La canzone “Old
Man” del disco Harvest (scritta nei primi anni ’70 per Louis Avila, il custode
del ranch) si riferisce direttamente a questo luogo, ma quando ascolto oggi i
dischi di Neil Young posso sentire la presenza del ranch in molte delle sue
canzoni e delle sue incisioni. Infatti questa è la sede della registrazione,
del mixaggio e del mastering di molti degli album che Neil Young ha pubblicato
a partire dagli anni ’70, e su gran parte di essi John Nowland ha fatto la sua
parte. E come sto per scoprire, praticamente ogni master analogico e digitale
di Neil è raccolto e immagazzinato qui, chiuso dentro un fienile rozzamente
costruito con legno di sequoia che sembra costruito dai pionieri.
In effetti, qualsiasi edificio della proprietà ha questa
estetica: legname di sequoia grezzo e squadrato con tanto di corteccia ancora
intatta, lastre tenute insieme con chiodi giganteschi che le crocifiggono al
loro posto. Tetti ad assi, terrazze di legno e recinti in stile vecchio West,
eppure nessuna parete con dei dipinti.
“Vieni dentro che ti faccio fare un giro” dice John mentre
osservo le sequoie giganti che ci circondano. “Ma prima di andare nello studio,
vieni nel mio ufficio [conosciuto come “Il Quattroruote di Sua Maestà”] e
siediti un momento, sto finendo di trasferire questo master da ¼ di pollice.”
Il suo “ufficio”, subito a fianco dello studio, è una
roulotte vecchia e devastata che una volta era uno studio di registrazione
mobile. È una reliquia meccanica arrugginita di un’era perduta tipicamente
Americana ed è il paradigma dell’estetica del Broken Arrow. L’idea che possa
tornare a muoversi è del tutto remota, non solo perché giace a terra sui propri
assi o perché il camion che lo tirava non funziona da anni.
Il fatto è che il camper ospita una delle più sofisticate e
silenziose tecnologie sulla Terra per il trasferimento analogico-digitale. Il
guscio esterno dimostra che la ruggine non dorme mai, ma all’interno tutto
funziona per assicurare che i nastri analogici siano preservati amorevolmente e
conservati al sicuro.
Nel momento in cui attraversiamo la soglia tra il low-tech e
l’high-tech, mi trovo di fronte a una visione che in pochi hanno potuto
ammirare al di fuori del piccolo gruppo di artigiani al soldo di Neil. “Il
Quattroruote di Sua Maestà” è un posto di lavoro da sogno, zeppo di strumenti
che provengono dagli ultimi cinquant’anni, tutti altamente modificati e
organizzati per creare il perfetto sistema di trasferimento a due tracce. Ci
sono registratori a bobine Ampex e Studer, impianti digitali di registrazione e
riproduzione di ogni marca e fattura, un banco di controllo che sembra un
vecchio line-mixer RCA (o un vecchissimo, enorme Knob) e due dei favoleggiati
Pacific Microsonics HDCD A/D converter (ho letto questi nomi in così tanti cd
di Neil Young ma non ne avevo mai visto uno).
I nastri sono dappertutto. La prima bobina su cui mi cade lo
sguardo è un master da ¼ di pollice di “Powderfinger”. Improvvisamente realizzo
dove sono e a cosa è dedicato questo posto. Sono uscito dall’autostrada per
entrare in un mondo dove […] Neil e John si concentrano in santa pace sugli
innumerevoli remix, nuove canzoni e out-takes la cui pubblicazione è prevista
per i prossimi anni. […] Dalle casse del sistema SLS fa capolino una canzone
che non ho mai sentito, dove Neil e la Old Black rockeggiano nel modo in cui
solo Neil e la Old Black possono fare. È davvero impressionante.
A parte il volume perfetto (con la porta spalancata) a cui
ascoltiamo, sentirla inieme a John nel “Quattroruote di Sua Maestà” è un
momento davvero speciale. Alla fine arrivo quasi alle lacrime.
Dopo l’improvvisata seduta di ascolto, che ha incluso
un’epica versione di una canzone inedita (ho promesso con la vita di non dire
di quale si tratta), John e io usciamo al freddo spostandoci di 20 metri ai
Redwood Studios. Ci ha raggiunto Apollo, il fedele cane di John, che pazientava
fuori in attesa di nuovi visitatori a cui portare il bastoncino… e io cedo.
“Se lanci il bastone, lui non ti lascerà in pace per tutto
il resto del giorno” mi fa notare John dopo che ho già lanciato giù per il
vialetto il ramoscello di sequoia. “È insaziabile”. Quando Apollo torna noi
siamo già entrati e abbiamo chiuso la porta, lasciandolo di nuovo fuori al
freddo.
I Redwood Studios,
costruiti nei primi ’70 allo scopo speficico di “registrare a casa”, sono essenzialmente
un largo edificio in legno autentico proveniente dalle foreste che svettano
intorno a esso. Le sequoie sono giganti e creano un muro di silenziose
sentinelle che continuano a profilarsi su di te anche dopo che sei entrato
dalla porta.
L’interno dello
studio sembra un tipico bungalow della California come quelli che vedete nei
vecchi film. Ci sono quadri, dipinti e ricordi dappertutto: foto di Neil e Pegi
in vacanza, i Crazy Horse in studio, session di missaggio e scatti buffi di
tante epoche diverse. I muri fatti di assi creano un’atmosfera ombrosa e
accogliente e il tetto spiovente ti fa sentire a casa. Non c’è niente che
rimandi lontanamente a uno studio commerciale. Il Redwood, di fatto, è l’ultimo
modello di home-studio nel bel mezzo di una foresta e circondato da acri e acri
di silenzio, rotto soltanto quando Neil attacca la Old Black nella stanza
accanto. Di sicuro questo non è un edificio insonorizzato.
A questo punto John
mi chiarisce bene che fare fotografie in questo posto è strettamente proibito,
quindi a malincuore ripongo la macchina fotografica e lo seguo nella sala di
controllo. (In pratica al Broken Arrow Ranch le foto sono proibite,
indipendentemente dalle circostanze.)
Quello che mi colpisce
nel momento in cui entro in questo dominio privatissimo è l’enorme console Neve
8078.
“Dov’è il Quad Eight
che ho sempre pensato aveste qui?” chiedo a John, senza staccare gli occhi
dall’esemplare magnifico che ho davanti.
“Oh, quella non è
più qui da un sacco di tempo. Abbiamo preso Neve nel 1990 e prima di quella ci
sono state altre due o tre console.”
Mi siedo di fronte
alla console, premo qualche bottone (come fareste voi) e guardo, attraverso le
finestre pannellate in legno, la foresta di sequoie. La posizione del mixer
guarda dalla parte opposta rispetto all’ingresso ed è leggermente più rialzata
perché il terreno sale un po’ nella zona dietro l’edificio. La vista sulla
foresta sembra un dipinto: immobile e perfetto e archetipico. Dev’essere
eccezionale lavorare a lunghe sedute di missaggio. Devo mordermi la lingua per
impedirmi di chiedere a John di far partire un master da 2 pollici e lasciarmi
assistere.
“Molti degli album
di Neil vengono mixati in questa stanza con quei due Studer A800 lì
nell’angolo”, dice John, indicando il paio di registratori identici, l’uno
accanto all’altro come due gemelli al primo giorno di scuola. “Sono
sorprendenti questi Studers; Neil li adora.”
“Mmm, be’, non c’è
niente come un 48 metri VU che accende la sala insieme a un tramonto
analogico”, dico io, mentre i miei occhi sono ancora sulla console e le mie
mani vanno qua e là incontrollabili a premere e spostare equalizzatori e pan,
neanche fossi un bambino di otto anni.
Poi John parla dei
molti progetti in cui ha lavorato in questa stanza, il più recente Living With
War.
“Per Harvest Moon,
che abbiamo mixato qui, io sedevo proprio dove sei tu ora, facendo un pre-mix
degli stem, e Neil sedeva là [John indica dietro di me], su una vecchia console
valvolare Universal Audio, la “Green” console, che qualche volta mettiamo
dietro la postazione principale. Mixava gli stem nelle due tracce che gli
fornivo io dalla Neve.”
Seduto alla console,
immaginandomi la scena e ammirando tutto il meraviglioso equipaggiamento
intorno a me, mi stupisco di come la sala di controllo fosse strutturata in
modo semplice, e del completo disinteresse verso un design “moderno”. E perché
diavolo dovrebbero farlo, dopo aver speso decenni a lavorare in un posto e
conoscendo ogni tonalità e ogni riflessione che la sala può offrirti? Immagino
che la mia testa sia così piena di “studio design” recentemente, che ho quasi
dimenticato che ci sono molti modi per raggiungere il tuo perfetto ambiente di missaggio. È probabilmente la più
confortevole sala controllo in cui abbia mai avuto il piacere di sedermi… e mi
ricorda che niente può battere una bella vista.
A fianco c’è la sala
di registrazione, che di nuovo sembra solo un’altra stanza della casa. Non ci
sono finestre sulla stanza di controllo, o mura e mattoni impenetrabili… solo
legno, assi a profusione! La sala di registrazione è abbastanza piccola,
in pratica non più grande della sala controllo, e ancora una volta la vista è
sull’esterno rosso e legnoso. Il soffitto e qualsiasi altra superficie è in
assi di quercia. Mentre John e io camminiamo per la stanza lui mi racconta
entusiasticamente un’infinità di storie affascinanti su alcune delle incisioni
che hanno avuto luogo qui. Poi mi giro verso una Gibson Les Paul nera e prima
di rendermene conto mi trovo a chiedere:
“e questa sarebbe… uhm, cosa potrebbe essere? Di sicuro non è la Old
Black lasciata lì così…”
“È lei.”
Le cose iniziano a diventare surreali, a questo punto. Anche
se sono piuttosto rilassato con John – stiamo passando dell’ottimo tempo
insieme parlando di tutto, dall’odore delle custodie Ampex all’affidabilità
della sua Toyota 4x4 – inizio a essere scosso da strani flash ed emozioni che
ho dentro di me sin da quando ero bambino. Prima, mentre guidavo all’interno
della proprietà sono tornato con la mente a quando io e mio fratello più
anziano guidavamo il suo camper Kombi a metà degli anni ’70 ascoltando Harvest,
e ora sto avendo un tuffo di adrenalina di fronte a un semplice sistema Les
Paul/Fender Deluxe, che nella mia mente è semplicemente l’accoppiata più
importante nella storia dell’incisione musicale. È lì ad aspettare
pazientemente il prossimo incontro con il suo proprietario. Quindi che cosa
faccio? Faccio ciò che tutti avrebbero fatto… Mi avvicino e la tocco.
Più di qualsiasi altra Les Paul che abbia mai visto, la Old
Black sembra veramente… usata, diciamo così. Ma questo è niente in confronto
all’ampli Fender Deluxe di Neil, che sembra esser stato trasportato per 30 anni
in una betoniera. Sul pavimento di fronte a essi c’è la pedaliera di Neil, il
Whizzer, costruita appositamente per lui per cambiare gli attributi del Fender
essenzialmente trasferendoli sui preset dei pedali.
Per qualche ragione non mi aspettavo di vedere cose come
queste, e il mio sbalordimento dev’essere abbastanza evidente a John.
“Sembri sorpreso”, dice con un sorrisetto sul volto. “Questa
è la casa di Neil, non dimenticarlo, è dove vivono tutte queste cose.”
Scuoto la testa piena di meraviglia e guardo il soffitto per
ricompormi. “Scusami se sembro così emozionato da tutto questo, John, solo è
stato tutto in una volta”.
Succede spesso durante il corso del pomeriggio. Dopo un
breve sguardo alla sala del mastering di Tim Mulligan, che è esattamente di
fronte e molto simile (se non uguale) nell’aspetto esterno e nelle proporzioni
alla stanza di incisione, attraversiamo il magazzino dei Redwood dove dozzine
di master giacciono sullo scaffale con il loro prezioso contenuto. È il tipo di
stanza che ho già frequentato diverse volte, ma per qualche ragione tutti gli
anni passati a manipolare master dagli scaffali non contano più niente nel
momento in cui inclino la testa per leggere le scritte in costina: Tonight’s
The Night, Harvest rullo 1, Comes A Time, On The Beach… Proprio non riesco a
credere ai miei occhi. Di fronte a me c’è effettivamente la storia discografica
di Neil Young.
Ma questa stanza non conta quasi nulla (se questo è davvero
possibile) in confronto al “Tape Barn”, che ospita la maggior parte dei master
analogici e digitali. Il “Fienile dei Nastri” è molto simile per dimensioni e
aspetto ai Redwood Studios e, come il “Quattroruote di Sua Maestà”, dista solo
una brevissima passeggiata attraverso il cortile.
All’interno è essenzialmente un grande spazio aperto con
soffitto in legno, travi a vista e ragnatele – niente di sigillato
ermeticamente, o a umidità controllata, come immaginavo che fosse.
“Non sembra proprio il posto ideale per conservare a lungo
tempo dei nastri”, dico immediatamente, temendo il mio primo passo all’interno.
“Be’, non è stato costruito a questo scopo”, risponde
schiettamente John. “Quando ci siamo imbarcati in questo progetto enorme,
all’inizio, vi abbiamo riposto tutti i nastri su cui siamo riusciti a mettere
le mani… Immaginavamo che avrebbero dovuto stare qui per un po’, ma dopo 17
anni sono ancora qui!”
Mentre passeggiamo avanti e indietro, guadando quelli che
sono praticamente tutti i formati di registrazione analogica e digitale del
tardo XX secolo, la mia mente vaga da album ad album, da canzone in canzone, e
i titoli vorticano. John parla, io ascolto… A questo punto io sono già oltre le
parole.
La giornata prosegue con una visita alle camere dell’eco
nascoste nella cantina del “Fienile dei Nastri” e una lunga conversazione
nuovamente a bordo del “Quattroruote di Sua Maestà”, che si trasforma poi in
un’altra memorabile seduta di ascolto. Le camere dell’eco risuonano
meravigliosamente e ogni dettaglio le fa somigliare a un cottage per minatori
sotterraneo stile Coober Pedy, sebbene John si lamenta che “non sono perfette”
perché angoli e spigoli sono stati tutti arrotondati quando è stata applicata
la plastica. Persino qui, una delle poche stanze del ranch con dipinti alle
pareti, l’estetica di Neil per le cose vecchie e arrugginite è ben evidente.
C’è persino il tettuccio di un taxi appeso con apparenza casuale a un muro, per
alterare il timbro e il ritorno sonoro della camera; le cose più tecniche sono
un piccolo NS10, un Neumann KM83 e un 84 modificati Klauss Heyne, ed entrambi
microfoni e speaker sono posizionati l’uno in faccia all’altro nella stanza a
forma di U, come se stessero discutendo.
Quando John e io ci mettiamo al volante delle nostre due
auto, tardi quella sera, mentre l’oscurità e la nebbia iniziano a circondarci,
guardo il ranch nello specchietto retrovisore e gli faccio un cenno di saluto.
La notte scende velocemente al Broken Arrow ranch, le sequoie succhiano via
tutta la luce. […]
INTERVISTA CON JOHN NOWLAND [estratto, ndt]
[…] La seguente è solo una piccola parte della nostra
conversazione, che è cominciata nell’istante in cui ho messo piede nel
“Quattroruote di Sua Maestà”.
John Nowland: Questo è il mio ufficio. Vengo qui ogni
mattina, controllo le mie email e poi verifico che tutto sia in ordine e
funzionante. Lavoro a vari progetti contemporaneamente, tutti qui. Abbiamo una
stampa in vinile del Live ad Massey Hall 1971 da preparare questa settimana, e
sto aspettando le stampe di prova anche di Neil e i Crazy Horse al Fillmore
East e di Living With War. Appena arriveranno mi infilerò le cuffie per poi
dare la mia approvazione.
Il mio lavoro qui ebbe inizio dopo il capodanno del 1990, quando
Neil mi telefonò per chiedermi di venire un paio di settimane a trasferire
alcuni dei suoi vecchi master. Penso che sia stato David Briggs qualche ora
dopo a chiamarmi e dire, “no, no, no… non verrai per due settimane, aspettati
di stare qui almeno tre o quattro mesi!”
L’ho fatto. Lavoravo qui a tempo pieno, trasferendo master
analogici nel regno del digitale a 16 bit/44.1 k. Poi, naturalmente, è arrivato
il 20 bit che ha reso il lavoro precedente obsoleto. Tutto cambiava molto
rapidamente. Sai com’è, spunta un nuovo pezzo di equipaggiamento, un nuovo
convertitore A/D… qualsiasi cosa. Alla fine siamo giunti al Pacific Microsonics
Model 2 [il formato HDCD] che ci ha permesso di trasferire a 24 bit/176 k. Il
modello 2 ha due processori separati che possono lavorare a 48 k oppure 41.1 k,
quindi fanno rispettivamente 192 k o 176 k, e li fanno decisamente meglio
rispetto a qualsiasi sistema precedente. Poi, recentemente, mi pare nel 2003 –
è stato di nuovo a capodanno – Neil mi
ha chiamato dicendo: “sai, vorrei tutto a 192 k.”
Andy Stewart: Dopo che avevi appena finito di trasferire
tutto? Devi aver pensato che fosse una specie di pessimo scherzo.
JN: Sì, e non avevo nemmeno finito, a dirti la verità. Non
ho finito ancora adesso!
AS: Parli del progetto del 1990 o quello attuale?
JN: Quello del 1990! Ma sai, non è l’unica cosa che faccio
qui! Ho tre album da pubblicare in vinile proprio in questi giorni! [risata
isterica!]
Ma ora lavoriamo con routine e costanza agli Archivi. Le
cose più urgenti su cui stiamo lavorando al momento sono alcuni dei primi
master digitali. Abbiamo anni di tour registrati su nastri video [Sony] F1 PCM
che stanno consumandosi rapidamente – alcuni sono già andati.
AS: Tutti i trasferimenti vengono effettuati in questa
stanza?
JN: Esatto, qui. Utilizzo l’ATR 102 per gli analogici e lo
Studer 820 per avvolgere le bobine; è tutto ciò che fa lo Studer, riavvolgere
nastri. Puoi inserirci una bobina Ampex non riavvolta e lui la sistema senza
togliere lo strato di ossido. Quando era nuovo è costato sui 15.000 dollari e
non fa altro che riavvolgere le bobine.
[…] AS: Qual è stato il tuo ultimo album registrato o mixato
con Neil?
JN: Vediamo… L’ultima cosa che ho mixato è stata la sua
performance acustica di Greendale, registrata al Vicar St in Irlanda – uscì in
dvd. Prima di quello ho lavorato soprattutto ai video, incluso il dvd di Red
Rocks e quello di Silver & Gold, in acustico alla Bass Hall. Ho registrato
e mixato una parte dell’album Silver & Gold insieme a lui… tutto fatto qui
al ranch.
Il fatto è che Neil lavora con chiunque ritenga adatto a
quel particolare progetto. Non ci sono ripensamenti… Greendale ne è il perfetto
esempio. Ha cominciato con una canzone e ogni giorno ne portava una nuova. Le
ha registrate con John Hausmann (che non era mai stato in pole position)
sull’altro lato della proprietà, e hanno continuato per mesi. La cosa
successiva è stata Prairie Wind che Neil ha registrato a Nashville e nessuno di
noi ne era coinvolto, almeno fino al mastering. Ma tutto torna qui a un certo
punto – qui a me, che lavoro al trasferimento. Poi pass a a Tim e lui si occupa
del mastering.
AS: Quindi il mastering di tutti gli album di Neil sono
stati fatti nella sala dei Redwood Studios?
JN: Niente viene pubblicato se non passa per le mani di Tim.
Niente, neanche una briciola. Finché lui non firma per l’uscita, niente lascia
questo posto. Tim è qui da sempre, sai. Venne qui da Chicago intorno al 1972 e
ha costruito i recinti del ranch ed è il responsabile più alto. Ha co-prodotto
molti album con Neil ed è ancora è lui ad avere molto controllo. E fa anche il
mastering.
AS: Dopo tutti questi anni tu e Neil avete una relazione
lavorativa basata sul reciproco intuito, dove non servono tante parole?
JN: Oh sì. La vedo esattamente così, e ho anche capito che
c’è un momento in cui non si parla perché è nel silenzio che molto del lavoro
sarà svolto. Quindi, onestamente, credo che la miglior cosa da fare con Neil è
semplicemente lasciare che proceda, la maggior parte del tempo. Se vuole
parlare di qualcosa, bene, se mi deve chiedere o dire qualcosa, ottimo. A parte
questo – a meno che non ci stiamo facendo una birra o cose del genere – non ci
sediamo a discutere perché quando lui entra qui, arriva per lavorare, non per
cazzeggiare. Mi ci è voluto un po’ per rendermente conto, ma alla fine ho
capito che lui lavora senza bisogno che qualcuno stia dietro di lui a
spingerlo.
AS: In particolare a casa…
JN: Sì, esattamente! Fa parte di questo. Questa è casa sua,
non fraintenderlo mai. Quindi anche se io vengo qui a lavorare, devo rispettare
questa cosa… sempre. Ho avuto esperienza in passato – come te, probabilmente –
di mogli o bambini o il cane che ti distraggono mentre cerchi di fare qualcosa
a casa, e non ti riesce! È una dannazione, vero? Non hai lo spazio per pensare
liberamente. Quindi quando ho realizzato che Neil viene qui per fare delle
cose, la cosa migliore da fare è lasciarlo da solo. Se vuole qualcosa – il mio
lavoro è essere qui per fornirgli ciò di ciu ha bisogno.
[…] AS: Prima, mentre camminavamo, hai menzionato un
remissaggio di un filmato dove c’è Neil fuori dal fienile di Harvest mentre
viene intervistato durante le sessions… mi puoi dire qualcosa di più?
JN: Era una fantastica intervista registrata in mono su
Nagra da L.A. Johnson ai giorni di Harvest nel ’71, di Neil all’esterno del
fienile che ascolta una versione della canzone “Words”. È seduto là fuori a
giocherellare con gli escrementi delle vacche, bevendo una Coors e parlando di
quanto sia eccezionale ascoltare il suono rimbalzare tra le colline. Abbiamo
trovato il take che Neil stava ascoltando in quel momento – una out-take – lo
abbiamo reso in mono come allora, poi abbiamo portato un paio di Altec 604, un
amplificatore Mac 2015 e la Genex machine laddove era originariamente ubicato
lo studio mobile di Harvest, vicino al fienile, abbiamo preparato quattro
Neumanns modificati Klaus Heyne (due U87 e due 86) esattamente dove Neil era
seduto durante l’intervista, abbiamo sparato l’audio attraverso le colline e lo
abbiamo ri-registrato.
Poi abbiamo fatto il missaggio ai Redwood dopo aver
ritardato le quattro tracce secondo la distanza tra i microfoni e lo studio
mobile. Abbiamo dovuto guardare il video originale con Mulligan per accertarci
del punto esatto in cui era Neil durante l’intervista. Abbiamo poi fatto un
leggero editing perché oggi ci sono molti più aeroplani rispetto al ’71. C’è
stata una fantastica coincidenza, un jet è passato esattamente nello stesso
momento in cui ne passava uno nell’intervista. Quei 15 minuti sono costati probabilmente
più di quanto il dvd-audio ha incassato, ma è stato uno spasso!
Traduzione di Matteo
‘Painter’ Barbieri