Dreamin' Man Live '92 - Rassegna Stampa
Massimiliano Spada, JAM
I fan di Neil Young in quest’ultimo periodo non sono certo rimasti a corto di materiale: quest’anno hanno infatti visto la luce, dopo tanti anni di promesse da parte dell’irsuto cantautore canadese, gli Archives che hanno svelato un po’ del materiale rimasto secretato negli archivi, appunto, del musicista.
Archives che avevano indubbiamente di che soddisfare, fosse stato anche solo per il volume dell’operazione: otto dischi per l’edizione in CD e ben dieci per l’edizione blue ray. Al loro interno di tutto: registrazioni live, inediti (forse un po’ pochi per alcuni che da tanto attendevano), e rimasterizzazioni di canzoni già edite altrove. Ad allungare la già pingue lista di uscite discografiche di Young di quest’anno arriverà l’8 Dicembre (salvo ulteriore slittamento) anche quest’album dal vivo, Dreamin’ Man.
Dreamin’ Man, a differenza del progetto Archives come lo conosciamo ad oggi, non si rivolge al passato più lontano del musicista (il primo box di cui sopra affrontava l’arco di carriera compreso tra il 1963 ed il 1972), ma bensì a quello più prossimo: si tratta infatti di una registrazione di diverse performance live tenute dal canadese durante il tour del 1992 in supporto al suo album Harvest Moon, di cui questo Dreamin’ Man ripropone l’intera scaletta (soltanto in una diversa successione).
L’intento pare insomma diverso da quello degli Archives: non si tratta qui tanto di celebrare e mettere ordine in una discografia ormai lontana nel tempo, quanto probabilmente - negli intenti di Young - di sottolineare un particolare momento della propria carriera, il momento cioè in cui, con Harvest Moon, si volle confrontare, sin dalla scelta del titolo (e poi ovviamente con le sue sonorità prevalentemente acustiche), con uno dei suoi album più riusciti ed amati del proprio passato: il suo capolavoro del 1972, Harvest.
Michele Segala, tragliscaffali.periodicoitaliano.info
Neil Young, "Il canadese solitario". Forse il cantautore che più di chiunque altro ha influenzato e attraversato sempre da protagonista la storia della musica. Un compositore e musicista leggendario che fin da Woodstock non ha mai smesso di stupire e far apprezzare la propria arte. Capace di picchi di puro talento creativo come After The Gold Rush e Harvest, e di risollevarsi da periodi personali più bui e dolorosi con album memorabili come On The Beach, Tonight's The Night, sempre mantenendo attuale il "germe" di modernità che ha caratterizzato la sua carriera. Motivo di ispirazione per Kurt Cobain, il quale viene citato durante un concerto dello stesso Neil Young dopo la sua morte. Fonte di stimolo per numerosi grandi del panorama internazionale come Nick Cave, Dinosaur Jr, Pearl Jam e Sonic Youth, dei quali gli ultimi gruppi hanno contribuito a rendere il "canadese solitario" sempre attuale e pieno di energia. Certo, non tutti gli ultimi album sono delle vere e proprie perle tra quelli partoriti negli anni ottanta o novanta. Ma il succo non cambia. Abituati da un personaggio del calibro, della creatività e della tempra di Neil Young (classe 1945) tutto ci si può aspettare tranne che il suo ultimo lavoro. È uscito infatti lo scorso 5 Dicembre il suo ultimo album. A una prima analisi, mancano i furiosi slanci di innovazione del suo stile iniziale. Tratti, questi due, che lo hanno da sempre contraddistinto. Il disco s'intitola Dreamin' Man Live '92. Si tratta di una rivisitazione live di Harvest Moon le cui ballate hanno però, tranne qualche caso, fatto solamente aumentare la nostalgia e il valore del lavoro precedente. Era necessario riproporre una versione live di un seguito acustico, non del tutto riuscito, capolavoro che ha ormai compiuto quasi quarant'anni? Quale può essere il motivo che spinge un così grande artista a una pubblicazione del genere? Potrebbe trattarsi di un mero prodotto commerciale, magari per arrotondare i guadagni un po' "stiracchiati" degli ultimi tempi? Intanto, il 12 gennaio prossimo uscirà anche una versione in vinile di Dreamin' Man Live '92, mentre la tracklist dell'album - prodotto da John Anlon e registrato e mixato da Tim Mulligan – comprende, tra gli altri pezzi, "Dreamin’ Man", "Such A Woman", "One Of These Days", "Harvest Moon", e "You And Me". A noi rimane la possibilità di assistere il 29 Gennaio all'assegnazione del premio MasiCares che si terrà a Los Angeles. Destinatario del premio sarà ovviamente Neil Young.
Quasi non si riesce a distinguere la produzione di un compositore del genere e grande performer musicale, da una sorta di iperesposizione e iperproduzione mediatica della sua figura, icona e simbolo di una carriera sempre ai vertici del panorama del rock.
Giosuè Brulla, settimopotere.com
Neil Young cominciò gli anni '90 in una nuvola di rugginoso Crazy hard rock ma presto decise di sterzare. Dopo un album potente&elettrico come Ragged Glory, abbassò i toni, ripulì i timbri e si lasciò incantare dalle sirene più dolci della sua mente, arrendendosi perfino alla nostalgia. Festeggiò il ventennale del disco più famoso, Harvest, con una sorta di reprise che chiamò Harvest Moon, e si lanciò in una serie di concerti acustici, solo voce chitarra pianoforte. Figuratevi i fan. Non aspettavano di meglio, è opinione condivisa che Neil in carriera sia stato fin troppo generoso con i Crazy Horse e avaro, molto avaro, con l'altra musica che gli ha sempre battuto in petto.
Non esisteva una registrazione ufficiale di quei live, adesso sì, anche se nella solita discutibile forma Younghiana: non è uno show per intero (troppa grazia) ma giusto un estratto, i dieci pezzi di Harvest Moon denudati in acustico come si diceva e riordinati secondo una scaletta diversa da quella originale. Be', è qualcosa di magico egualmente. Young ha sempre avuto una capacità unica di suscitare l'attenzione, con il magnete di dolci arpeggi West Coast e quella voce fragile, sempre sul punto di incrinarsi. Aggiungete che le canzoni sono belle, tra le più belle che il nostro uomo ha scritto dopo le esaltazioni giovanili: “One Of These Days”, “Natural Beauty”, “Dreamin' Man” (una sorta di autoritratto, visto il cima suscitato), “From Hank To Hendrix”, innamorato omaggio ai maestri di una vita in rock - e ancora “Old King”, graffitata al banjo neanche fosse una registrazione "sul campo" di Alan Lomax, e “You And Me”, con i suoi trasparenti rimandi alle canzoni degli anni d'oro, “Old Man” su tutte.
Peccato che l'offerta non sia stata più generosa, non avremmo disdegnato un doppio. Anche così, ad ogni modo, questo live "in sogno" non si situa troppo lontano da altre delizie acustiche del catalogo di Young, il live alla Canterbury House del 1968 o il Massey Hall 1971.
Riccardo Bertoncelli, delrock.it
Cos'era la carriera di Neil Young all'inizio dei Novanta? Il catastrofico tracollo degli eighties era stato parzialmente riscattato da tre buoni lavori in sequenza (This Note's For You, Freedom e Ragged Glory, rispettivamente '88, '89 e '90). La ritrovata verve fu ribadita dallo stupendo doppio live Weld (1991), forse il punto più alto dell'intesa live coi Crazy Horse (vi basti la fluviale versione di “Cortez The Killer”), cui fu peraltro abbinato Arc, un dischetto di insolita ma tutto sommato interessante sperimentazione noise.
Col grunge ormai in piena detonazione, e col buon Neil ufficialmente nominato suo ideale padrino, il cavallo pazzo non poteva che spiazzare tutti sfornando Harvest Moon (Reprise, 1992), un album di soffice, accorato, addirittura patinato country rock. Fu un po' come se il freak ruspante e randagio di Harvest, dopo essersi raddrizzato nel saloon straight edge di Comes A Time, si fosse infine adagiato su un sofà mitologico tra front-porch e campi irrorati di luna. Quelle dieci tracce raccontavano una senilità in procinto di sbocciare, uno stare in bilico tra irrequietezza e incanto che ci consegnava un artista classico suo malgrado, pacificato suo malgrado.
Il qui presente Dreamin' Man, ennesimo capitolo della Archives Performance Series, è un live coevo che celebra quel momento per certi versi irripetibile, proponendoci la lettura della scaletta in versione solitaria, scarna e fragrante. Senza gli archi ed i coretti delle versioni in studio - che vedevano all'opera Linda Ronstadt e James Taylor tra gli altri -, canzoni come “Natural Beauty” o “One Of These Days” finiscono col guadagnare uno status di sospesa inquietudine che le valorizza non poco. Per il resto, nulla di imprescindibile.
Stefano Solventi, sentireascoltare.com
Sul finire dello scorso anno Neil Young pubblica questo quarto suggestivo capitolo degli Archives, la raccolta di nastri inediti del grande cantautore canadese custodita nella sua personale discoteca. Questa volta il balzo temporale è davvero ampio, perché dai convulsi anni ’70 si passa ad un famoso tour del 1992. Una serie di concerti pensata per promuovere l’uscita del celebre Harvest Moon, nuovo album acustico dopo i turbolenti episodi elettrici di Ragged Glory e Weld. Ma Harvest Moon, inciso con gli stessi musicisti del leggendario Harvest e a quest’ultimo associato sul piano estetico e stilistico, “per una serie di ritardi e ripensamenti nel missaggio” (cfr. Marco Grompi Neil Young, 1963-2003: 40 anni di rock imbizzarrito) esce solo a fine ottobre del ’92. Per tre mesi, quindi, Young presenta al pubblico, in perfetta solitudine, l’intera scaletta di un Harvest Moon ancora chiuso nei cassetti con solo qualche variazione nella successione dei brani che poi apparirà sul cd. Il risultato è emozionante e ben documentato in questo Dreamin’ Man Live, in cui fa capolino il miglior Neil Young acustico, solitario ballad man nel pieno di una mai doma e profonda ispirazione. Il rocker di Toronto, impegnato alla chitarra, al banjo, al pianoforte e all’armonica, sgrana con naturalezza quella preziosa manciata di canzoni che è l’ossatura di Harvest Moon: da “From Hank To Hendrix”, vero e proprio manifesto musicale, a “One Of These Days”, da “You And Me”, tanto simile alla vecchia e cara “Old Man”, a “Natural Beauty”, forse il momento più alto dell’intero live, fino alla semplicità della sempre commovente “Harvest Moon”. Una registrazione intima e rilassata con alcuni momenti di luminoso lirismo. Per chi non smette di sognare.
Marco Maiocco, discoclub65.it