Il viaggio di Jonathan Demme e Neil Young
A Milano e Bologna l'anteprima di Neil Young Journeys e la retrospettiva con gli altri film concerto.
Bologna, domenica 18 settembre 2011. Il regista Jonathan Demme incontra il pubblico alla Cineteca di Bologna prima della proiezione di Neil Young Journeys, il suo film più recente. E' appena stato al Milano Film Festival per un altro incontro e l'anteprima del film. Ma la Cineteca di Bologna è una delle Mecche del cinema, secondo lui, ed è visibilmente eccitato all'idea di essere lì.
La bellissima sala del Cinema Lumiere accoglie un buon numero di interessati spettatori. L'incontro inizia con un excursus della carriera del regista, per poi focalizzarsi sui vari lati del suo cinema e in particolare quello musicale, iniziato con Stop Making Sense dei Talking Heads. Con la sua naturale simpatia, Demme racconta l'origine della sua amicizia con Neil Young. Per poter raggiungere un pubblico più vasto col film Philadelphia (1994) chiese al cantautore di scrivere una canzone-inno, un po' sullo stile di “Southern Man”, per l'inizio del film. Young gli mandò la struggente “Philadelphia”, che Demme utilizzò per il finale. Successivamente (tralasciando la parentesi di The Complex Sessions) Neil gli propose di produrre il film di Greendale, ma Demme aveva già un film in produzione.
L'occasione si è ripresentata quando Neil Young ha registrato Prairie Wind (2005) e Demme, colpito dalle canzoni, ha deciso di filmarne l'anteprima al Ryman Auditorium di Nashville per un film concerto “in costume”: Heart of Gold (2006, disponibile in dvd).
Due anni dopo Young è andato in tour con la band elettrica e il regista ha così colto l'occasione per realizzare un film che fosse l'antitesi del precedente, che mostrasse il lato rock di Young nel suo ambiente più celebre, ovvero la chitarra elettrica accostata a quella acustica. Neil Young Trunk Show ad oggi non è ancora uscito in home-video, ed è stato proiettato in occasione di queste rassegne.
L'ultimo film, Neil Young Journeys (anche se nei titoli era ancora Neil Young Life, titolo poi abbandonato dal regista), è stato completato appena cinque mesi fa. Un film concerto, o meglio un film-performance – spiega Demme – sebbene non possa emulare l'esperienza di un concerto dal vivo, permette tuttavia qualcosa in più: salire sul palco, entrare a far parte della band, raccontare la musica dall'interno. Ed è questo l'obiettivo a cui mirano le sue scelte registiche, come quella di non inquadrare le reazioni del pubblico. L'attenzione dell'occhio dello spettatore, e quindi del suo cervello, deve mantenersi sempre costante, e questo dipende dall'inquadratura: è una lezione che ha imparato da Roger Corman.
E l'ha imparata bene, anche perché – essendo egli stesso un fan di Young – sa perfettamente cosa vuole vedere e sentire il pubblico. Dopo averci augurato una buona visione, Demme lascia la sala e il film inizia sui colpi di basso della chitarra acustica di “Peaceful Valley Boulevard”. E il sound (il primo registrato a 96 kHz) è la prima cosa che lascia a bocca aperta, ed è inutile tentare di descriverlo a parole. Journeys prende vita proiettato in un cinema con l'impianto audio adeguato (quando siamo arrivati al cinema, Demme e il suo tecnico ne stavano verificando la qualità).
Young è solo sul palco e, come ha detto il regista, gli unici stacchi possibili erano da Neil a Neil: una sfida che lo ha entusiasmato. E la sfida è vinta, va detto subito. Era senz'altro il più difficile dei tre film, ed è una lezione di regia su come realizzare un film musicale. Andando cioè in tutt'altra direzione rispetto allo stile videoclip, senza stacchi frenetici, ma con un uso dell'immagine ad ampio respiro. Demme, grande cineasta indipendente, non ha la radicalità dell'immagine di un Lynch o un Wenders, ma utilizza il puro potere narrativo dell'immagine.
Per Journeys ha anche utilizzato micro-cineprese montate sopra il microfono (impressionanti primi piani della bocca, della barba, del collo di Young) e sopra il pianoforte (in modo che lo spettatore guardi attraverso lo strumento).
Questo per raggiungere la profondità e l'emotività della musica e dell'uomo che la esegue; per raccontare allo stesso modo di quando, in un film, utilizza la recitazione e la sceneggiatura.
Alternati alle canzoni ci sono gli spezzoni di un viaggio in Ontario alla riscoperta dei luoghi d'infanzia, dove Young racconta continuamente spassosi aneddoti (“quand'ero bambino credo di aver ucciso una tartaruga infilandole un petardo nel culo... le mie radici ambientaliste non sono poi così profonde”). Durante “Ohio” immagini di repertorio degli studenti della Kent State University. Durante “You Never Call” e “Leia” (inedite) qualche fotogramma di amici e familiari.
Demme ha reso testimonianza di un momento di svolta: la perdita di Ben Keith e Larry Johnson – dice il regista – era intensamente presente nella performance di Neil alla Massey Hall di Toronto. In qualche modo è stato un grande viaggio nel suo passato fino al punto in cui è arrivata la sua vita. Le canzoni di Le Noise, gran parte delle quali presenti nel film, mostrano tutta la loro intensità nel volto contratto di Young mentre le canta.
Il più difficile dei tre film, e anche il più intrinsecamente oscuro, sin dalla “Peaceful Valley” iniziale che assume, molto più che nel disco, un tono demoniaco nel suo ritrarre il lato oscuro del progresso; continuando poi con la sofferta “Love And War” e con un'applauditissima “After The Gold Rush” dove Young sembra in lacrime. “Hitchhiker” è nera psichedelia (con tanto di sputo sull'obiettivo volutamente non tagliato, per scelta di Demme e Young). “Walk With Me” è una sorta di supplica finale. Infine “Helpless”, sui titoli di coda, accompagna immagini della terra natia canadese del musicista (“there is a town in North Ontario...”).
Trunk Show
La rassegna su Jonathan Demme ci ha dato l'opportunità, giovedì 14 settembre al Milano Film Festival, di assistere anche al secondo dei lungometraggi dedicati a Neil Young, ovvero Trunk Show. Nella saletta da rassegna del cinema Anteo spuntano una ventina di teste, lo schermo piccolo e l'audio semplice; per nulla adeguata a un film del genere, ma pazienza.
Trunk Show parte con immagini del palco sulle note di “Sad Movies”, che scivola poi in “Harvest”, la quale sul finire viene troncata dall'attacco di “Cinnamon Girl” e i titoli di testa. La diversità di Trunk Show rispetto al precedente Heart of Gold (ma anche a Journeys) è subito evidente: là era Neil in prima persona che raccontava; qui le inquadrature sono gli occhi del teatro. Demme ha una grande capacità narrativa, e il pregio di questa straordinaria trilogia su Young è appunto l'essere un “racconto” prima che il filmato di un concerto. Le canzoni sono inanellate con una fluidità del tutto narrativa, tra zoom sulle corde della Old Black e ondeggiamenti di camere a spalla che indagano il palcoscenico da vari punti di vista.
Ma allo stesso tempo Trunk Show è quanto di più vicino all'esperienza del concerto (e la supera, se consideriamo le riprese interne alla band), tanto che sembra strano vederlo da seduti, al cinema. Ed è fondamentalmente il film su Neil Young che tutti gli appassionati volevano vedere: un ritratto d'autore di un concerto perfetto. Mentre Heart of Gold e Journeys ritraggono momenti peculiari, formando una specie di dittico, Trunk Show ritrae sì un tour particolarmente ricco, ma anche un concerto younghiano nella sua forma più classica, con il dualismo acustico-elettrico e una selezione di brani variegata, accomunata dal “racconto intimo” che Young vuole sempre proporci celandolo tra una canzone e l'altra. E la scelta del regista, qui, è stata probabilmente quella di concentrarsi sui momenti di vero climax: pensiamo alle lyrics e alle chitarre di “No Hidden Path”, “Spirit Road” (due canzoni recenti ed emblematiche), di “Ambulance Blues”, “Harvest” e “Kansas”. Una tracklist costituita di brani rari o inediti, lungi dall'essere un freddo greatest hits.
Tecnicamente Young è il terreno più fertile che possa esistere per Demme, dato che difficilmente si possono ricordare due tour uguali; un colpo di fortuna, forse, che il regista abbia deciso di realizzare i film proprio in questi ultimi anni, che di certo sono musicalmente variopinti.
Complessivamente Jonathan Demme è riuscito a realizzare, in tre film, un ritratto dell'artista che non ha eguali nella storia del cinema (perché è cinema a tutto tondo); e con un artista come Neil Young preso in questi giorni, l'esito non è scontato... dipende dalle mani in cui finisce.
Ora non resta che sperare in tempi di pubblicazione rapidi sia per Trunk Show che per Journeys (da parte sua, Demme accusa la Warner Bros.). Il regista ha anche detto di voler continuare a collaborare con Neil Young, magari per un film con sceneggiatura, magari diretto proprio da Young.
Ci teniamo a ringraziare, a nome non solo dei fan di Young ma degli appassionati di musica e cinema in toto, i curatori dei due Festival: oltre alla ricca retrospettiva su Demme, e l'apparizione del regista a Bologna, è stata la sola possibilità di vedere Trunk Show e Journeys in Italia.
Ci teniamo a ringraziare, a nome non solo dei fan di Young ma degli appassionati di musica e cinema in toto, i curatori dei due Festival: oltre alla ricca retrospettiva su Demme, e l'apparizione del regista a Bologna, è stata la sola possibilità di vedere Trunk Show e Journeys in Italia.
Matteo “Painter” Barbieri, Rockinfreeworld