Sleeps With Angels - Rassegna Stampa
E Kurt Cobain “dorme tra gli angeli”
Ci voleva la compassione priva di retorica di un musicista come Neil Young per ricordarci oggi, dopo aver sepolto nella memoria e nella spazzatura le tante analisi e le articoli e le riflessioni lette cinque mesi fa, che la tragica fine di Kurt Cobain non è stata in fondo che questo: un ragazzo che si è tolto la vita. Alla memoria del leader dei Nirvana, suicidatosi lo scorso aprile, il rocker canadese dedica il suo nuovo disco, in uscita questi giorni. Si intitola Sleeps With Angels, “dorme con gli angeli”. È un omaggio fatto quasi sottovoce, personale, intimo, tanto da non essere neppure dichiarato. Neil Young non nomina mai Cobain nelle nuove canzoni. Ma i riferimenti sono trasparenti. Tanto trasparenti che Young, dimostrando onestà ed eleganza, ha deciso che non concederà interviste su questo album. Sarebbe come sfruttare la morte del giovane Cobain per vendere qualche copia in più, un gesto che Young lascia volentieri ad altri.
Per lo stesso tipo di rispetto e di pudore, il musicista canadese aveva annunciato qualche mese fa che non avrebbe mai più cantato dal vivo “Hey hey, my my”. Quella canzone l’aveva scritta circa quindici anni fa, nel pieno della ribellione punk; il ritornello dice “Hey hey, my my, il rock ‘n’ roll non morirà mai, è meglio bruciare subito che scomparire lentament”. E quelle parole Cobain le aveva scritte in calce nel suo messaggio d’addio, le aveva scelte come epitaffio. Per questo Young non vuole più cantare quella canzone. Quello che incuriosisce del suo omaggio, del bisogno di esprimere in qualche modo i sentimenti provati per la morte del cantante, è questa sorta di corrispondenza, di vicinanza spirituale, tra due artisti generazionalmente così lontani. Neil Young compirà 50 anni l’anno prossimo. Sono trent’anni che calca le scene, prima coi Buffalo Springfield, poi con Crosby, Stills & Nash, infine da solo, una lunga carriera che non ha mai preso strade in discesa. È stato capace di rimettersi sempre in gioco, di rischiare, ed è per questo che gode di immensa reputazione anche fra i gruppi delle ultime generazioni. Per quella grunge è un po’ un padrino, un punto di riferimento, e non certo per le camice a scacci e i jeans strappati. Lo sanno bene i Pearl Jam, che con lui hanno diviso i palchi dell’ultima tournée. Young è considerato un loner, un tipo solitario, lunatico, malinconico. Nella sua vita ha conosciuto dolore e sofferenza, la tossicodipendenza, la malattia di suo figlio, la morte di tanti amici, come Danny Whitten primo chitarrista del suo gruppo, i Crazy Horse, ucciso da un’overdose di eroina nel ’72.
Kurt Cobain, stando all’anagrafe, poteva essere figlio di Young. Era uno dei tanti ragazzi americani cresciuti senza una vera famiglia e senza certezze, e paradossalmente la sua forza stava proprio nella capacità di buttar fuori tutto questo marasma esistenziale. Conosceva anche la malattia, Cobain, l’ulcera lo tormentava, il dolore fisico era strettamente associato ai ricordi delle sue prime esibizioni. Rispolverando l’antico legame tra sofferenza e creatività, aveva sottolineato in un’intervista come, da quando aveva risolto i problemi legati all’ulcera, non aveva più scritto una canzone. Forse è l’esperienza del dolore quella che avvicina Young a Cobain. Chi ha ascoltato bene le canzoni del nuovo disco dice che Young non scriveva con questa intensità dai tempi di Rust Never Sleeps o di Zuma. Sanno di rammarico e di malinconia pezzi come “Change your mind” (“Cambia idea”) o come la stessa “Sleeps With Angels”. Cobain stesso, con i suoi lunghi capelli biondi e il volto ancora adolescente, ci appariva facilmente come un povero angelo caduto. Vengono in mente le parole buttate giù da Douglas Copeland, l’autore di Generazione X, nella sua “Lettera da un fan” pubblicata da una rivista inglese. “Stavo guidando sull’autostrada verso San Francisco – scrive Copeland – quando ho sentito alla radio che ti eri ucciso con un colpo alla testa. In città, ho fermato la macchina e ho cercato di capire che cosa sentivo. Quello che sentivo è che non ti ho mai chiesto di spingermi a occuparmi di te. Eppure è successo. A dispetto delle mode. A dispetto di tutte le circostanze. E adesso sei nella mia immaginazione per sempre. Ho immaginato che tu adesso sia in paradiso. Ma a che cosa ti serve, ora, il fatto di sapere che un tempo tanta gente ti adorava?”. A nulla, ovviamente, non serve più a nulla.
L’unità
NEIL YOUNG: DEDICATO A KURT E AI GIOVANI CHE SE NE VANNO
Qualche settimana fa, Neil Young ha annunciato di non voler concedere interviste a proposito del disco nuovo, Sleeps With Angels (Wea), che esce domani. "Come si può parlare di argomenti simili, sapendo che diventeranno inchiostro per vendere più copie?", è stato tutto ciò che ha detto. Gli "argomenti" altri non sono che la tragica fine di Kurt Cobain, alla cui memoria Sleeps With Angels è evidentemente - benché non esplicitamente - dedicato. Dice un verso della canzone omonima: "C' è sempre qualcuno che lo pensa/mentre riposa con gli angeli stanotte". Il maturo rocker canadese ha seguito con sofferenza il dramma del giovane leader dei Nirvana, tant'è vero che ammette di aver tentato di mettersi in contatto con lui nel lasso di tempo intercorso tra la convalescenza successiva all'"incidente" romano e la sua scomparsa. Avrebbe voluto esortarlo a cambiare idea, “Change your mind”, come appunto lo si ascolta cantare con tono accorato in uno degli episodi-chiave del disco, una maratona rock lunga oltre un quarto d'ora, che ricalca il tradizionale canovaccio del tour de force chitarristico su cui già erano stati modellati antichi classici quali “Cortez the Killer” e “Like a hurricane”. Il rammarico per non essere riuscito a parlargli deve essere stato moltiplicato poi dalla lettura dell'ultimo messaggio scritto da Cobain, nel quale spiccava un verso tratto proprio da una canzone di Neil Young, “Hey Hey My My”: It's better to burn out than fade away, meglio incenerirsi che appassire. E Neil Young assicura che d'ora in avanti non eseguirà mai più quel brano in pubblico. Tra i due, insomma, vi era un' inconsapevole sintonia umana e intellettuale. È dunque per rispetto e buon gusto che Young preferisce tacere, lasciando che sia la musica a parlare. Sleeps With Angels espone in modo eloquente lo stato d'animo dell'autore, d'altra parte: è un disco che comunica sentimenti dolenti (il cordoglio per una giovane passante, vittima di una sparatoria tra gang rivali “Drive by”), gravato da un oneroso fardello spirituale (“Blue Eden”), accordato quasi ovunque sul registro della malinconia. Comincia con una ballata immersa in un' atmosfera decadente, “My heart” ("quando come alberi i sogni si abbattono al suolo/non so cosa l'amore possa fare"), e si conclude con una nenia spettrale, “A dream that can last” ("mi sento come se fossi morto e salito in paradiso/le dispense sono quasi vuote, ma le strade sono lastricate d'oro"). Nel pathos che ne condiziona l'umore, Sleeps With Angels ricorda un altro tenebroso capitolo della vicenda artistica di Neil Young, Rust Never Sleeps, mentre sul piano squisitamente musicale riverbera invece le tinte crepuscolari di Zuma: ambedue dischi nei quali al fianco del cantautore di Toronto erano schierati i Crazy Horse, come accade anche in questa circostanza. Ma se in altri casi quel sodalizio ha generato rock assai energico (Ragged Glory, l'album del 1991, e il live intitolato Weld), in Sleeps With Angels, fatta eccezione per “Change your mind” e l'anticonsumista “Piece of Crap”, l'intensità è più emotiva che fisica. Ecco allora che per raggiungere il risultato desiderato, Young e il gruppo si avvalgono di una strumentazione eclettica per le loro abitudini: fisarmonica, flauto, vibrafono, marimba... Apparentemente frammentaria a un primo, distratto ascolto, Sleeps With Angels è un' opera a cui verrà riconosciuto senz' altro lo status di "classico", rappresentando il degno coronamento della seconda giovinezza artistica di cui Neil Young beneficia da qualche anno a questa parte. Un personaggio che dunque tiene fede al proprio cognome: è proprio lui, infatti, il più giovane tra i "senatori" del rock, nello spirito se non per l'anagrafe, che fissa per l'anno venturo il suo cinquantesimo compleanno. Rispettato dalle generazioni venute dopo la sua, come al solo Iggy Pop accade di essere, e influente sulle stesse quanto Lou Reed, a differenza di quest'ultimo Young non ha avuto bisogno di evocare il passato per giustificare il proprio presente. Ecco perché non era a Woodstock '94 insieme a Crosby, Stills e Nash.
Alberto Campo, Repubblica 1994
DORMI CON GLI ANGELI E NEIL TI CULLA UN PO'
Il cantautore canadese in viaggio tra nostalgia e futuro.
Ci sono personaggi che attraversano la musica d'autore perdendosi e ritrovandosi. Neil Young è fra questi. Da quando si è lasciato dietro la militanza al fianco di David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash per intraprendere la carriera solista, è stato protagonista di indimenticabili successi, alternati a inspiegabili cadute e repentini ritorni di gloria.
Il cantautore canadese torna a far parlare di sé, così come può far piacere a chi lo segue da tempo, con Sleeps With Angels, ultimo prodotto discografico quanto mai fascinoso e degno d'attenzione.
È opinione comune – anche se Neil Young non lo ha mai ammesso ufficialmente – che la title-track e l'opera intera siano dedicate alla fugace e indimenticabile fiammella del rock 'n' roll degli anni Novanta: Kurt Cobain. Fiammella s'è detto, perché la parola riassume la connivenza spirituale che ha legato Young al giovane cantante dei Nirvana. Quando Cobain decise di farla finita con un colpo di pistola alla tempia, lasciò un biglietto su cui c'era scritto: «È meglio spegnersi in fretta che consumarsi lentamente». La frase è un verso di una fra le più celebri canzoni di Neil Young, “My My Hey Hey”, che dice anche che «il rock 'n' roll è qui per restare».
Cobain invece ha preferito andarsene con il suo segreto, dopo aver dato linfa vitale al rock 'n' roll per almeno dieci anni ancora. Neil Young deve aver raccolto il suo messaggio e ispirandosi a questa triste vicenda ha scritto “Sleeps With Angels” (Dormi con gli angeli).
Il titolo farebbe pensare a un piagnisteo, a un brano strappalacrime dagli effetti catartici per chi, della difficile impresa musicale portata avanti dai Nirvana, ha trovato le sue buone motivazioni per continuare a credere che il rock non sia diventato un crogiuolo di ovvietà e luoghi comuni. E invece no. “Sleeps With Angels” è una canzone dai suoni convulsi, fatta a pezzi e ricomposta da una chitarra ruvida e da un basso distorto, su cui si intreccia una voce corale, appena sussurrata. Ma forse per Kurt Cobain non ci sarebbe stata canzone che avrebbe potuto raccontare meglio la sua storia.
È un Neil Young atipico a mostrarsi in quest'ultimo prodotto, alla soglia dei cinquant'anni e quantomai desideroso di ricompattare i suoi tanti percorsi musicali, le sue tante trame su un unico telaio acustico, la componente ricorrente e mai smarrita in tanto peregrinare. A “Wester Hero” tocca raccogliere con semplicità countryeggiante questa eredità, raccontando di un eroe occidentale, una figura senza tempo, simbolo di quell'opulenza sfacciata fatta di armi e denaro. Ma quando si ha l'impressione di capire in che direzione Young si stia muovendo ecco che “Change Your Mind”, 14 minuti e 40 secondi di canzone, rimette in discussione il suo approccio all'opera. Il cantautore canadese si lascia andare con la chitarra, insieme ai Crazy Horse, a suoni espansi, hendrixiani, ad una libertà espressiva tipica di una spontanea jam. Sonorità distorte in crescendo, arginate da basso e batteria. La voce si assenta per lasciar parlare gli strumenti, tutto suona passionale ed avvolgente, l'atmosfera è Sixties e melodica in chiusura. Young si conferma così artista imprevedibile dalle mille trovate, e che ci regala un ennesimo capolavoro che va ad aggiungersi al capitolo del suo risveglio qualitativo, da Freedom in poi.
Ma il meglio deve ancora venire. Ed è il bluesacio effetto cartavetro di “Blue Eden”, con un esuberante protagonismo di strumenti che mettono da parte la voce. Distorto ed assai intimista l'attacco di “Safeway Cart”, che procede sussurrata e notturna, incalzante e fascinosa, condotta per mano da un basso, che suona addirittura melodico.
Con “Train Of Love” si ha l'impressione di risorgere, di tornare a sperare, fiduciosi come il piano che accompagna questo percorso di luce, dopo l'intimismo sofferto delle canzoni precedenti. “Trans Am” invece dà un ruolo primario alla voce, un parlato musicale alla Lou Reed, con una chitarra dai giri nostalgici.
Con “Piece Of Crap” è tempo di rock 'n roll e di questa canzone Young ne ha fatto anche il singolo nonostante, per le stramberie punk, non rappresenti l'album. Umori e suoni folkeggianti la fanno invece da padroni in “A Dream That Can Last”, fra i brani più indefinibili di un lavoro di per sé lontano da etichette. Molto simile a “My Heart” in apertura quadra il cerchio di Sleeps With Angels.
C'è molto in quest'album del Neil Young della bellissima e triste ballata “Philadelphia” della colonna sonora di Streets Of Philadelphia, il film capolavoro di Jonathan Demme. Concluso l'ascolto si ha l'impressione di aver aperto una finestra sull'universo interiore di questo grande artista.
Sleeps With Angels è un viaggio nostalgico ed allo stesso tempo futuribile nelle mille espressioni del suo universo musicale.
Chicca Maralfa, Gazzetta del Mezzogiorno 1994
Continua il rapporto con i Crazy Horse, e questo è un bene. E non è il sound chitarre-basso-batteria come quello di Ragged Glory, qui il suono è elastico e cangiante, con l'uso di tastiere, pianoforte, fiati, armonica. Un solo produttore (Briggs), una sola band, un solo momento ispirato (iniziato dalla morte di Kurt Cobain), eppure, dei dischi realizzati con i Crazy Horse, Sleeps With Angels è sicuramente il più vario e composito. La lunghissima, lisergica “Change Your Mind”, la minacciosa title-track e l'ansiogena “Piece Of Crap” rappresentano gli episodi più densi ed elettrici, ma è nella lugubre filastrocca di “My Heart”, nella spettrale “Blue Eden”, nelle dolcezze gemelle di “Western Hero” e “Train Of Love” e nella stordita “Trans Am” che risiede lo spirito dell'album, fatto più di riverberi che di distorsioni, di fantasmi più che di persone reali, di rassegnazione all'ineluttabilità dei destini più che di rabbia repressa. Una specie di capolavoro fosco e disagevole.
Mucchio Selvaggio Extra 2004
Sleeps With Angels (Reprise, 1994) è un concept album ambizioso mascherato da collezione di confessioni umili. Ci sono due livelli di interpretazione semantica. Il primo trae origine dalla nenia iniziale “My Heart” (pianola da saloon, vibrafono, marimba), è amplificato da “Western Hero” (il nucleo melodico dell'album), ed infine ritorna al termine del disco, contraddicendo così l'altra interpretazione, che è incentrata sulla meditazione amorosa da 15 minuti “Change Your Mind”, la jam blues intrisa di feedback “Blue Eden” e la tetra, oscura “Safeway Cart”. Mentre Young lancia il suo incantesimo ambiguo, all'ascoltatore è offerta l'abituale dose di rumore (“Sleeps With Angels”). La qualità più intrigante dell'album è la sua completa opacità: Young non è mai stato così imperscrutabile. Forse la morte stessa è il tema di queste storie.
Piero Scaruffi
Per lo stesso tipo di rispetto e di pudore, il musicista canadese aveva annunciato qualche mese fa che non avrebbe mai più cantato dal vivo “Hey hey, my my”. Quella canzone l’aveva scritta circa quindici anni fa, nel pieno della ribellione punk; il ritornello dice “Hey hey, my my, il rock ‘n’ roll non morirà mai, è meglio bruciare subito che scomparire lentament”. E quelle parole Cobain le aveva scritte in calce nel suo messaggio d’addio, le aveva scelte come epitaffio. Per questo Young non vuole più cantare quella canzone. Quello che incuriosisce del suo omaggio, del bisogno di esprimere in qualche modo i sentimenti provati per la morte del cantante, è questa sorta di corrispondenza, di vicinanza spirituale, tra due artisti generazionalmente così lontani. Neil Young compirà 50 anni l’anno prossimo. Sono trent’anni che calca le scene, prima coi Buffalo Springfield, poi con Crosby, Stills & Nash, infine da solo, una lunga carriera che non ha mai preso strade in discesa. È stato capace di rimettersi sempre in gioco, di rischiare, ed è per questo che gode di immensa reputazione anche fra i gruppi delle ultime generazioni. Per quella grunge è un po’ un padrino, un punto di riferimento, e non certo per le camice a scacci e i jeans strappati. Lo sanno bene i Pearl Jam, che con lui hanno diviso i palchi dell’ultima tournée. Young è considerato un loner, un tipo solitario, lunatico, malinconico. Nella sua vita ha conosciuto dolore e sofferenza, la tossicodipendenza, la malattia di suo figlio, la morte di tanti amici, come Danny Whitten primo chitarrista del suo gruppo, i Crazy Horse, ucciso da un’overdose di eroina nel ’72.
Kurt Cobain, stando all’anagrafe, poteva essere figlio di Young. Era uno dei tanti ragazzi americani cresciuti senza una vera famiglia e senza certezze, e paradossalmente la sua forza stava proprio nella capacità di buttar fuori tutto questo marasma esistenziale. Conosceva anche la malattia, Cobain, l’ulcera lo tormentava, il dolore fisico era strettamente associato ai ricordi delle sue prime esibizioni. Rispolverando l’antico legame tra sofferenza e creatività, aveva sottolineato in un’intervista come, da quando aveva risolto i problemi legati all’ulcera, non aveva più scritto una canzone. Forse è l’esperienza del dolore quella che avvicina Young a Cobain. Chi ha ascoltato bene le canzoni del nuovo disco dice che Young non scriveva con questa intensità dai tempi di Rust Never Sleeps o di Zuma. Sanno di rammarico e di malinconia pezzi come “Change your mind” (“Cambia idea”) o come la stessa “Sleeps With Angels”. Cobain stesso, con i suoi lunghi capelli biondi e il volto ancora adolescente, ci appariva facilmente come un povero angelo caduto. Vengono in mente le parole buttate giù da Douglas Copeland, l’autore di Generazione X, nella sua “Lettera da un fan” pubblicata da una rivista inglese. “Stavo guidando sull’autostrada verso San Francisco – scrive Copeland – quando ho sentito alla radio che ti eri ucciso con un colpo alla testa. In città, ho fermato la macchina e ho cercato di capire che cosa sentivo. Quello che sentivo è che non ti ho mai chiesto di spingermi a occuparmi di te. Eppure è successo. A dispetto delle mode. A dispetto di tutte le circostanze. E adesso sei nella mia immaginazione per sempre. Ho immaginato che tu adesso sia in paradiso. Ma a che cosa ti serve, ora, il fatto di sapere che un tempo tanta gente ti adorava?”. A nulla, ovviamente, non serve più a nulla.
L’unità
NEIL YOUNG: DEDICATO A KURT E AI GIOVANI CHE SE NE VANNO
Qualche settimana fa, Neil Young ha annunciato di non voler concedere interviste a proposito del disco nuovo, Sleeps With Angels (Wea), che esce domani. "Come si può parlare di argomenti simili, sapendo che diventeranno inchiostro per vendere più copie?", è stato tutto ciò che ha detto. Gli "argomenti" altri non sono che la tragica fine di Kurt Cobain, alla cui memoria Sleeps With Angels è evidentemente - benché non esplicitamente - dedicato. Dice un verso della canzone omonima: "C' è sempre qualcuno che lo pensa/mentre riposa con gli angeli stanotte". Il maturo rocker canadese ha seguito con sofferenza il dramma del giovane leader dei Nirvana, tant'è vero che ammette di aver tentato di mettersi in contatto con lui nel lasso di tempo intercorso tra la convalescenza successiva all'"incidente" romano e la sua scomparsa. Avrebbe voluto esortarlo a cambiare idea, “Change your mind”, come appunto lo si ascolta cantare con tono accorato in uno degli episodi-chiave del disco, una maratona rock lunga oltre un quarto d'ora, che ricalca il tradizionale canovaccio del tour de force chitarristico su cui già erano stati modellati antichi classici quali “Cortez the Killer” e “Like a hurricane”. Il rammarico per non essere riuscito a parlargli deve essere stato moltiplicato poi dalla lettura dell'ultimo messaggio scritto da Cobain, nel quale spiccava un verso tratto proprio da una canzone di Neil Young, “Hey Hey My My”: It's better to burn out than fade away, meglio incenerirsi che appassire. E Neil Young assicura che d'ora in avanti non eseguirà mai più quel brano in pubblico. Tra i due, insomma, vi era un' inconsapevole sintonia umana e intellettuale. È dunque per rispetto e buon gusto che Young preferisce tacere, lasciando che sia la musica a parlare. Sleeps With Angels espone in modo eloquente lo stato d'animo dell'autore, d'altra parte: è un disco che comunica sentimenti dolenti (il cordoglio per una giovane passante, vittima di una sparatoria tra gang rivali “Drive by”), gravato da un oneroso fardello spirituale (“Blue Eden”), accordato quasi ovunque sul registro della malinconia. Comincia con una ballata immersa in un' atmosfera decadente, “My heart” ("quando come alberi i sogni si abbattono al suolo/non so cosa l'amore possa fare"), e si conclude con una nenia spettrale, “A dream that can last” ("mi sento come se fossi morto e salito in paradiso/le dispense sono quasi vuote, ma le strade sono lastricate d'oro"). Nel pathos che ne condiziona l'umore, Sleeps With Angels ricorda un altro tenebroso capitolo della vicenda artistica di Neil Young, Rust Never Sleeps, mentre sul piano squisitamente musicale riverbera invece le tinte crepuscolari di Zuma: ambedue dischi nei quali al fianco del cantautore di Toronto erano schierati i Crazy Horse, come accade anche in questa circostanza. Ma se in altri casi quel sodalizio ha generato rock assai energico (Ragged Glory, l'album del 1991, e il live intitolato Weld), in Sleeps With Angels, fatta eccezione per “Change your mind” e l'anticonsumista “Piece of Crap”, l'intensità è più emotiva che fisica. Ecco allora che per raggiungere il risultato desiderato, Young e il gruppo si avvalgono di una strumentazione eclettica per le loro abitudini: fisarmonica, flauto, vibrafono, marimba... Apparentemente frammentaria a un primo, distratto ascolto, Sleeps With Angels è un' opera a cui verrà riconosciuto senz' altro lo status di "classico", rappresentando il degno coronamento della seconda giovinezza artistica di cui Neil Young beneficia da qualche anno a questa parte. Un personaggio che dunque tiene fede al proprio cognome: è proprio lui, infatti, il più giovane tra i "senatori" del rock, nello spirito se non per l'anagrafe, che fissa per l'anno venturo il suo cinquantesimo compleanno. Rispettato dalle generazioni venute dopo la sua, come al solo Iggy Pop accade di essere, e influente sulle stesse quanto Lou Reed, a differenza di quest'ultimo Young non ha avuto bisogno di evocare il passato per giustificare il proprio presente. Ecco perché non era a Woodstock '94 insieme a Crosby, Stills e Nash.
Alberto Campo, Repubblica 1994
DORMI CON GLI ANGELI E NEIL TI CULLA UN PO'
Il cantautore canadese in viaggio tra nostalgia e futuro.
Ci sono personaggi che attraversano la musica d'autore perdendosi e ritrovandosi. Neil Young è fra questi. Da quando si è lasciato dietro la militanza al fianco di David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash per intraprendere la carriera solista, è stato protagonista di indimenticabili successi, alternati a inspiegabili cadute e repentini ritorni di gloria.
Il cantautore canadese torna a far parlare di sé, così come può far piacere a chi lo segue da tempo, con Sleeps With Angels, ultimo prodotto discografico quanto mai fascinoso e degno d'attenzione.
È opinione comune – anche se Neil Young non lo ha mai ammesso ufficialmente – che la title-track e l'opera intera siano dedicate alla fugace e indimenticabile fiammella del rock 'n' roll degli anni Novanta: Kurt Cobain. Fiammella s'è detto, perché la parola riassume la connivenza spirituale che ha legato Young al giovane cantante dei Nirvana. Quando Cobain decise di farla finita con un colpo di pistola alla tempia, lasciò un biglietto su cui c'era scritto: «È meglio spegnersi in fretta che consumarsi lentamente». La frase è un verso di una fra le più celebri canzoni di Neil Young, “My My Hey Hey”, che dice anche che «il rock 'n' roll è qui per restare».
Cobain invece ha preferito andarsene con il suo segreto, dopo aver dato linfa vitale al rock 'n' roll per almeno dieci anni ancora. Neil Young deve aver raccolto il suo messaggio e ispirandosi a questa triste vicenda ha scritto “Sleeps With Angels” (Dormi con gli angeli).
Il titolo farebbe pensare a un piagnisteo, a un brano strappalacrime dagli effetti catartici per chi, della difficile impresa musicale portata avanti dai Nirvana, ha trovato le sue buone motivazioni per continuare a credere che il rock non sia diventato un crogiuolo di ovvietà e luoghi comuni. E invece no. “Sleeps With Angels” è una canzone dai suoni convulsi, fatta a pezzi e ricomposta da una chitarra ruvida e da un basso distorto, su cui si intreccia una voce corale, appena sussurrata. Ma forse per Kurt Cobain non ci sarebbe stata canzone che avrebbe potuto raccontare meglio la sua storia.
È un Neil Young atipico a mostrarsi in quest'ultimo prodotto, alla soglia dei cinquant'anni e quantomai desideroso di ricompattare i suoi tanti percorsi musicali, le sue tante trame su un unico telaio acustico, la componente ricorrente e mai smarrita in tanto peregrinare. A “Wester Hero” tocca raccogliere con semplicità countryeggiante questa eredità, raccontando di un eroe occidentale, una figura senza tempo, simbolo di quell'opulenza sfacciata fatta di armi e denaro. Ma quando si ha l'impressione di capire in che direzione Young si stia muovendo ecco che “Change Your Mind”, 14 minuti e 40 secondi di canzone, rimette in discussione il suo approccio all'opera. Il cantautore canadese si lascia andare con la chitarra, insieme ai Crazy Horse, a suoni espansi, hendrixiani, ad una libertà espressiva tipica di una spontanea jam. Sonorità distorte in crescendo, arginate da basso e batteria. La voce si assenta per lasciar parlare gli strumenti, tutto suona passionale ed avvolgente, l'atmosfera è Sixties e melodica in chiusura. Young si conferma così artista imprevedibile dalle mille trovate, e che ci regala un ennesimo capolavoro che va ad aggiungersi al capitolo del suo risveglio qualitativo, da Freedom in poi.
Ma il meglio deve ancora venire. Ed è il bluesacio effetto cartavetro di “Blue Eden”, con un esuberante protagonismo di strumenti che mettono da parte la voce. Distorto ed assai intimista l'attacco di “Safeway Cart”, che procede sussurrata e notturna, incalzante e fascinosa, condotta per mano da un basso, che suona addirittura melodico.
Con “Train Of Love” si ha l'impressione di risorgere, di tornare a sperare, fiduciosi come il piano che accompagna questo percorso di luce, dopo l'intimismo sofferto delle canzoni precedenti. “Trans Am” invece dà un ruolo primario alla voce, un parlato musicale alla Lou Reed, con una chitarra dai giri nostalgici.
Con “Piece Of Crap” è tempo di rock 'n roll e di questa canzone Young ne ha fatto anche il singolo nonostante, per le stramberie punk, non rappresenti l'album. Umori e suoni folkeggianti la fanno invece da padroni in “A Dream That Can Last”, fra i brani più indefinibili di un lavoro di per sé lontano da etichette. Molto simile a “My Heart” in apertura quadra il cerchio di Sleeps With Angels.
C'è molto in quest'album del Neil Young della bellissima e triste ballata “Philadelphia” della colonna sonora di Streets Of Philadelphia, il film capolavoro di Jonathan Demme. Concluso l'ascolto si ha l'impressione di aver aperto una finestra sull'universo interiore di questo grande artista.
Sleeps With Angels è un viaggio nostalgico ed allo stesso tempo futuribile nelle mille espressioni del suo universo musicale.
Chicca Maralfa, Gazzetta del Mezzogiorno 1994
Continua il rapporto con i Crazy Horse, e questo è un bene. E non è il sound chitarre-basso-batteria come quello di Ragged Glory, qui il suono è elastico e cangiante, con l'uso di tastiere, pianoforte, fiati, armonica. Un solo produttore (Briggs), una sola band, un solo momento ispirato (iniziato dalla morte di Kurt Cobain), eppure, dei dischi realizzati con i Crazy Horse, Sleeps With Angels è sicuramente il più vario e composito. La lunghissima, lisergica “Change Your Mind”, la minacciosa title-track e l'ansiogena “Piece Of Crap” rappresentano gli episodi più densi ed elettrici, ma è nella lugubre filastrocca di “My Heart”, nella spettrale “Blue Eden”, nelle dolcezze gemelle di “Western Hero” e “Train Of Love” e nella stordita “Trans Am” che risiede lo spirito dell'album, fatto più di riverberi che di distorsioni, di fantasmi più che di persone reali, di rassegnazione all'ineluttabilità dei destini più che di rabbia repressa. Una specie di capolavoro fosco e disagevole.
Mucchio Selvaggio Extra 2004
Sleeps With Angels (Reprise, 1994) è un concept album ambizioso mascherato da collezione di confessioni umili. Ci sono due livelli di interpretazione semantica. Il primo trae origine dalla nenia iniziale “My Heart” (pianola da saloon, vibrafono, marimba), è amplificato da “Western Hero” (il nucleo melodico dell'album), ed infine ritorna al termine del disco, contraddicendo così l'altra interpretazione, che è incentrata sulla meditazione amorosa da 15 minuti “Change Your Mind”, la jam blues intrisa di feedback “Blue Eden” e la tetra, oscura “Safeway Cart”. Mentre Young lancia il suo incantesimo ambiguo, all'ascoltatore è offerta l'abituale dose di rumore (“Sleeps With Angels”). La qualità più intrigante dell'album è la sua completa opacità: Young non è mai stato così imperscrutabile. Forse la morte stessa è il tema di queste storie.
Piero Scaruffi