Neil Young: Heart Of Gold (2006) - Rassegna Stampa pt.3
Nashville, capitale assoluta della musica country, e non solo. Il 18 e 19 agosto 2005 il regista premio Oscar per Il silenzio degli innocenti Jonathan Demme è dietro la macchina da presa per il concerto che Neil Young tiene nello storico Ryman Auditorium.
Per capire il valore aggiunto di questo grande evento musicale è necessario tenere presente un antefatto: nella primavera dello scorso anno al leggendario interprete di "Harvest Moon" venne diagnosticato un aneurisma cerebrale. L'operazione, che avrebbe poi avuto esito positivo, fu programmata per il martedì successivo alla registrazione del concerto. Questo episodio personale (cui si era aggiunta la recente perdita del padre) ha contribuito in maniera imprescindibile alla creazione del suo ultimo album, "Prairie Wind", e a regalare un'atmosfera del tutto unica al concerto che ne porta peraltro il nome.
Per Neil Young è l'occasione di fare una rilettura della propria vita: alla luce di ricordi, sensazioni, incontri, quella che appare soltanto un'eccellente performance musicale si trasforma in un altrettanto eccellente intenso percorso esistenziale. Non è un caso che la strepitosa band che lo accompagna sia formata sostanzialmente da collaboratori storici, amici e parenti, tutti insieme riuniti lì per lui e lui lì per loro e per l'immenso e caloroso pubblico presente.
Perle del repertorio classico e nuove canzoni si susseguono, alternandosi con brevi ma essenziali interventi del cantante. Demme sembra carpire con estrema naturalezza riflessioni sul passato, sulla famiglia e sul tempo che passa, dando all'opera un taglio volutamente semplice e classico, dallo stile quasi "invisibile", come se si volessero mettere da parte facili virtuosismi per far spazio alle poche parole e alle tante note.
Dopo il buon successo di "The Manchurian Candidate", l'autore di "Philadelphia" cambia totalmente registro, realizzando un documentario musicale, impresa in cui si era già cimentato nel 1984 (il film era Stop Making Sense, protagonisti i Talking Heads).
Quello che ne viene fuori stavolta è un caloroso omaggio e allo stesso tempo un ritratto a tutto tondo di un "cantastorie" che ha segnato il panorama musicale degli ultimi trent'anni come pochi altri e la cui immutata sensibilità e profonda umanità non finiscono mai di emozionare.
La frase: "Grazie Nashville...sono molto contento di essere qui stasera con tutti voi..."
Stefano Del Signore
Il cuore d'oro di Neil
Partiamo da un aneddoto personale che ho già raccontato un altra volta: ben oltre trent'anni fa andai al cinema Quattro Fontane di Roma a vedere per la prima volta Woodstock. Fu travolgente. Entrai nel cinema esattamente mentre iniziava la presentazione di Crosby, Stills, Nash e Young. E la mia vita non fu più la stessa. Oggi sono andato al Quattro Fontane per vedere l'anteprima di "Heart of gold", film su Neil Young diretto da Jonathan Demme. Non posso dire che l'effetto sia stato lo stesso, ma ho ricordato con piacere entrando in quella che oggi è una multisala, il mio primo "rock movie", mentre guardavo e ascoltavo, con profonda soddisfazione, il film di Demme. E ho pensato che il tempo, ogni tanto, non passa invano. Ho pensato che Neil è sempre un grande, un grandissimo, e che se dovessi dire quali sono i quattro songwriters più importanti della storia del rock americano mi verrebbe da dire solo Dylan, Paul Simon, Bruce Springsteen e Neil, "the loner". Che qui non è solitario, anzi è circondato da molti amici per suonare per intero il meraviglioso "Praire Wind" e alcuni dei suoi immortali classici, nello scenario del Ryman Auditorium di Nashville. Il film esce venerdì ed è la più gloriosa celebrazione dell'arte di Neil Young che vi possa capitare di ascoltare e vedere. Demme è un grande regista, ama la musica e si vede. E Neil è splendidamente vecchio, meravigliosamente vecchio, capace di far piangere chi ascolta la sua musica, capace di divertire e divertirsi. Capace di raccontare storie come nessun altro sa fare.
Per capire il valore aggiunto di questo grande evento musicale è necessario tenere presente un antefatto: nella primavera dello scorso anno al leggendario interprete di "Harvest Moon" venne diagnosticato un aneurisma cerebrale. L'operazione, che avrebbe poi avuto esito positivo, fu programmata per il martedì successivo alla registrazione del concerto. Questo episodio personale (cui si era aggiunta la recente perdita del padre) ha contribuito in maniera imprescindibile alla creazione del suo ultimo album, "Prairie Wind", e a regalare un'atmosfera del tutto unica al concerto che ne porta peraltro il nome.
Per Neil Young è l'occasione di fare una rilettura della propria vita: alla luce di ricordi, sensazioni, incontri, quella che appare soltanto un'eccellente performance musicale si trasforma in un altrettanto eccellente intenso percorso esistenziale. Non è un caso che la strepitosa band che lo accompagna sia formata sostanzialmente da collaboratori storici, amici e parenti, tutti insieme riuniti lì per lui e lui lì per loro e per l'immenso e caloroso pubblico presente.
Perle del repertorio classico e nuove canzoni si susseguono, alternandosi con brevi ma essenziali interventi del cantante. Demme sembra carpire con estrema naturalezza riflessioni sul passato, sulla famiglia e sul tempo che passa, dando all'opera un taglio volutamente semplice e classico, dallo stile quasi "invisibile", come se si volessero mettere da parte facili virtuosismi per far spazio alle poche parole e alle tante note.
Dopo il buon successo di "The Manchurian Candidate", l'autore di "Philadelphia" cambia totalmente registro, realizzando un documentario musicale, impresa in cui si era già cimentato nel 1984 (il film era Stop Making Sense, protagonisti i Talking Heads).
Quello che ne viene fuori stavolta è un caloroso omaggio e allo stesso tempo un ritratto a tutto tondo di un "cantastorie" che ha segnato il panorama musicale degli ultimi trent'anni come pochi altri e la cui immutata sensibilità e profonda umanità non finiscono mai di emozionare.
La frase: "Grazie Nashville...sono molto contento di essere qui stasera con tutti voi..."
Stefano Del Signore
Il cuore d'oro di Neil
Partiamo da un aneddoto personale che ho già raccontato un altra volta: ben oltre trent'anni fa andai al cinema Quattro Fontane di Roma a vedere per la prima volta Woodstock. Fu travolgente. Entrai nel cinema esattamente mentre iniziava la presentazione di Crosby, Stills, Nash e Young. E la mia vita non fu più la stessa. Oggi sono andato al Quattro Fontane per vedere l'anteprima di "Heart of gold", film su Neil Young diretto da Jonathan Demme. Non posso dire che l'effetto sia stato lo stesso, ma ho ricordato con piacere entrando in quella che oggi è una multisala, il mio primo "rock movie", mentre guardavo e ascoltavo, con profonda soddisfazione, il film di Demme. E ho pensato che il tempo, ogni tanto, non passa invano. Ho pensato che Neil è sempre un grande, un grandissimo, e che se dovessi dire quali sono i quattro songwriters più importanti della storia del rock americano mi verrebbe da dire solo Dylan, Paul Simon, Bruce Springsteen e Neil, "the loner". Che qui non è solitario, anzi è circondato da molti amici per suonare per intero il meraviglioso "Praire Wind" e alcuni dei suoi immortali classici, nello scenario del Ryman Auditorium di Nashville. Il film esce venerdì ed è la più gloriosa celebrazione dell'arte di Neil Young che vi possa capitare di ascoltare e vedere. Demme è un grande regista, ama la musica e si vede. E Neil è splendidamente vecchio, meravigliosamente vecchio, capace di far piangere chi ascolta la sua musica, capace di divertire e divertirsi. Capace di raccontare storie come nessun altro sa fare.
Roberta Ronconi
Proiezione fantasma, il film di Jonathan Demme salta l'uscita in sala
Proiezione fantasma, il film di Jonathan Demme salta l'uscita in sala
Era stato presentato al Sundance Festival (dove si era guadagnato l'applauso più entusiasta) e lo scorso 9 maggio a Terni in anteprima nazionale al festival Cinema &/è Lavoro, e fino a qualche giorno fa era in programmazione per uscire nelle sale italiane oggi, distribuito dalla Uip; ma Neil Young: Heart of Gold salta a pié pari la proiezione sul grande schermo e arriva direttamente nei negozi (per la Paramount Classics) nel formato home video.
Il film-concerto diretto da Jonathan Demme (Il silenzio degli innocenti, Philadelphia) ritrae Neil Young insieme a tre dozzine di musicisti che si sono alternati al fianco del leggendario folkman sul palco del Ryman Auditorium di Nashville durante l'anteprima mondiale del tour Prairie Wind avvenuta lo scorso 18 e 19 agosto 2005. Demme, che non è nuovo a questo tipo di operazioni (sua è la regia di Stop Making Sense dei Talking Heads), ha dichiarato: "Credo che quando si filma la musica dal vivo ci sia il cinema nella sua forma più pura: non ci sono le illusioni del cinema, non ci sono trucchi, è tutto legato al processo creativo della musica stessa e alla possibilità della macchina da presa di raccontare quello che c'è oltre la musica".
Il genere del film-concerto (appartenente al filone "rock-movie") ebbe fortuna negli anni '70 e vanta alcuni dei più bei documentari musicali mai fatti, come The Last Waltz, diretto nel 1978 da Martin Scorsese a testimoniare l'ultima esibizione dal vivo dei The Band (durante la quale, guarda caso, tra gli ospiti c'era anche un giovane ma già celebre Neil Young), Pink Floyd a Pompei di Adrian Maben, Baby Snakes (di e con Frank Zappa), Let's Spend The Night Together (sui Rolling Stones), di Hal Ashby e il più recente Nirvana Live! Tonight! Sold Out!! di Kevin Kerslake.
Heart of Gold è un documentario incentrato su due concerti del cantautore canadese al Ryman Auditorium di Nashville tenutisi il 18 e il 19 agosto 2005, capitale della musica country. La ripresa di questi concerti assume un'importanza particolare perché fatta in momento importante della vita di Neil Young: a pochi giorni da un'importante operazione fortunatamente conclusasi con esito positivo.
Il film-concerto diretto da Jonathan Demme (Il silenzio degli innocenti, Philadelphia) ritrae Neil Young insieme a tre dozzine di musicisti che si sono alternati al fianco del leggendario folkman sul palco del Ryman Auditorium di Nashville durante l'anteprima mondiale del tour Prairie Wind avvenuta lo scorso 18 e 19 agosto 2005. Demme, che non è nuovo a questo tipo di operazioni (sua è la regia di Stop Making Sense dei Talking Heads), ha dichiarato: "Credo che quando si filma la musica dal vivo ci sia il cinema nella sua forma più pura: non ci sono le illusioni del cinema, non ci sono trucchi, è tutto legato al processo creativo della musica stessa e alla possibilità della macchina da presa di raccontare quello che c'è oltre la musica".
Il genere del film-concerto (appartenente al filone "rock-movie") ebbe fortuna negli anni '70 e vanta alcuni dei più bei documentari musicali mai fatti, come The Last Waltz, diretto nel 1978 da Martin Scorsese a testimoniare l'ultima esibizione dal vivo dei The Band (durante la quale, guarda caso, tra gli ospiti c'era anche un giovane ma già celebre Neil Young), Pink Floyd a Pompei di Adrian Maben, Baby Snakes (di e con Frank Zappa), Let's Spend The Night Together (sui Rolling Stones), di Hal Ashby e il più recente Nirvana Live! Tonight! Sold Out!! di Kevin Kerslake.
Heart of Gold è un documentario incentrato su due concerti del cantautore canadese al Ryman Auditorium di Nashville tenutisi il 18 e il 19 agosto 2005, capitale della musica country. La ripresa di questi concerti assume un'importanza particolare perché fatta in momento importante della vita di Neil Young: a pochi giorni da un'importante operazione fortunatamente conclusasi con esito positivo.
(senza fonte)
Con stivaloni e giacca viola l’elegia country di Neil Young
Con stivaloni e giacca viola l’elegia country di Neil Young
Il consiglio è: andate a vederlo subito. Quando uscirà, il 9 giugno, tra i fondi di magazzino estivi, potrebbe restare in sala lo spazio di un mattino. E sarebbe un peccato, perché Heart of gold, il film/concerto di Jonathan Demme cucito addosso a Neil Young, sfodera una qualità visiva che ne fa un documentario non solo per fan sfegatati o nostalgici cinquantenni, nella prospettiva del toccante L'ultimo valzer di Martin Scorsese, che celebrò lo scioglimento del gruppo The Band. Del resto, i nomi coinvolti sono una garanzia: da un lato il regista americano di film come Qualcosa di travolgente e Il silenzio degli innocenti; dall'altro il cantautore canadese di ballate evergreen come Old man e appunto Heart of gold.
Il 19 agosto del 2005, reduce da un delicato intervento al cervello che lo salvò da un probabile aneurisma, Young riunì una band semiacustica per esibirsi nel tempio della country music, il Ryman Auditorium di Nashville. Concerto memorabile, arricchito di partecipazioni inattese: un'orchestra d'archi, un coro di gospel, una sezione di fiati, più Emmylou Harris, star del genere, in amichevole ruolo di corista.
D'accordo, nel frattempo Neil Young, autentico camaleonte del rock, pare già aver ripudiato la svolta country per far di nuovo ruggire le chitarre elettriche nell'arrabbiatissimo, pure un po' comiziante, Living with war, tutto pensato in chiave anti Bush. Eppure chi preferisce sonorità più rilassate e morbide, magari con tocchi suadenti di violino, banjo e pedal steel, e testi meno politicamente aggressivi, avrà di che gioire ascoltando/vedendo questo Heart of gold.
Risale ai tempi di Philadelphia la collaborazione tra i due artisti, diversi per sensibilità, eppure accomunati da una certa idea dell'America. Nel prologo, vediamo il cantante e i suoi musicisti intervistati mentre percorrono in auto le vie di Nashville, che, a onor del vero, non è la città becera e reazionaria irrisa da Altman. Subito dopo si entra nel Ryman Auditorium, dal cinema mostrato in tanti film, da La ragazza di Nashville a Honky Tonk man, e non se ne esce più. Perché è sul quel palco glorioso, caro all'iconografia sudista, che il nordico Young, reaganiano pentito, infila l'uno dietro l'altro i brani del suo cd Prairie wind. Più una serie di classici, da The needle and the damage done a Comes a time, da Human highway a This old guitar.
L'aria che si respira nella sala da concerto, dolcemente catturata dalle dieci cineprese di Demme, sa di riunione di famiglia, di ritorno a casa, a partire dalla scelta degli abiti, pensati da uno stilista di Nashville (Manuel) per rendere più caldo e southern il colpo d'occhio. Basettoni, panama in testa, giacca damascata viola e stivali da cowboy, il sessantenne e meditabondo Young parla a bassa voce, ricorda con accenti toccanti il padre appena scomparso, presenta la moglie Pegi, racconta che la sua chitarra Martin appartenne al leggendario Hank Williams, canta alla sua maniera nasale, rispolverando ogni tanto il copiatissimo falsetto. Magari sfoggia qualche chilo di troppo, come alcune di quelle vecchie glorie con le quali condivise la stagione di Déjà vu, ma l'effetto non è mai patetico; emerge, al contrario, il senso di una riappacificazione anche emotiva con le radici popolari della musica country, si direbbe il piacere di tornare in sella dopo aver visto da vicino la morte.
Poi naturalmente ci sono le canzoni, specie le gemme che scaturirono da Harvest, a ciascuna delle quali l'operatrice Ellen Kuras regala un colore, una tonalità cromatica, in modo di rendere l'esibizione qualcosa di diverso. Per dirla con Demme & Young, un «dream concert».
Michele Anselmi, Il Giornale
Il 19 agosto del 2005, reduce da un delicato intervento al cervello che lo salvò da un probabile aneurisma, Young riunì una band semiacustica per esibirsi nel tempio della country music, il Ryman Auditorium di Nashville. Concerto memorabile, arricchito di partecipazioni inattese: un'orchestra d'archi, un coro di gospel, una sezione di fiati, più Emmylou Harris, star del genere, in amichevole ruolo di corista.
D'accordo, nel frattempo Neil Young, autentico camaleonte del rock, pare già aver ripudiato la svolta country per far di nuovo ruggire le chitarre elettriche nell'arrabbiatissimo, pure un po' comiziante, Living with war, tutto pensato in chiave anti Bush. Eppure chi preferisce sonorità più rilassate e morbide, magari con tocchi suadenti di violino, banjo e pedal steel, e testi meno politicamente aggressivi, avrà di che gioire ascoltando/vedendo questo Heart of gold.
Risale ai tempi di Philadelphia la collaborazione tra i due artisti, diversi per sensibilità, eppure accomunati da una certa idea dell'America. Nel prologo, vediamo il cantante e i suoi musicisti intervistati mentre percorrono in auto le vie di Nashville, che, a onor del vero, non è la città becera e reazionaria irrisa da Altman. Subito dopo si entra nel Ryman Auditorium, dal cinema mostrato in tanti film, da La ragazza di Nashville a Honky Tonk man, e non se ne esce più. Perché è sul quel palco glorioso, caro all'iconografia sudista, che il nordico Young, reaganiano pentito, infila l'uno dietro l'altro i brani del suo cd Prairie wind. Più una serie di classici, da The needle and the damage done a Comes a time, da Human highway a This old guitar.
L'aria che si respira nella sala da concerto, dolcemente catturata dalle dieci cineprese di Demme, sa di riunione di famiglia, di ritorno a casa, a partire dalla scelta degli abiti, pensati da uno stilista di Nashville (Manuel) per rendere più caldo e southern il colpo d'occhio. Basettoni, panama in testa, giacca damascata viola e stivali da cowboy, il sessantenne e meditabondo Young parla a bassa voce, ricorda con accenti toccanti il padre appena scomparso, presenta la moglie Pegi, racconta che la sua chitarra Martin appartenne al leggendario Hank Williams, canta alla sua maniera nasale, rispolverando ogni tanto il copiatissimo falsetto. Magari sfoggia qualche chilo di troppo, come alcune di quelle vecchie glorie con le quali condivise la stagione di Déjà vu, ma l'effetto non è mai patetico; emerge, al contrario, il senso di una riappacificazione anche emotiva con le radici popolari della musica country, si direbbe il piacere di tornare in sella dopo aver visto da vicino la morte.
Poi naturalmente ci sono le canzoni, specie le gemme che scaturirono da Harvest, a ciascuna delle quali l'operatrice Ellen Kuras regala un colore, una tonalità cromatica, in modo di rendere l'esibizione qualcosa di diverso. Per dirla con Demme & Young, un «dream concert».
Michele Anselmi, Il Giornale