Mirror Ball - Rassegna Stampa
Il cinquantenne più amato del rock
Young collabora con i Pearl Jam, mostrando di godere della stima dei colleghi più giovani. E il rigore con il quale ha gestito la carriera emerge anche in questo ostico (ma bellissimo) album.
Della generazione dei cinquantenni, Neil Young è il più amato tra i trentenni che hanno inventato il grunge. Lui lo sa, come dimostra il fatto che questo disco sia stato registrato a Seattle, patria del genere, con la collaborazione dei popolari Pearl Jam. Che cosa abbia reso Young tanto popolare è questione che ha a che fare con la personalità più che con la musica. Avendo seguito per più di vent'anni percorsi solitari e mai scontati, avendo mostrato grande rispetto per se stesso e per la musica, riveste ora il ruolo di custode della tradizione rock. Oggi i Rolling Stones danno il nome a un'auto e una carta di credito: come pretendere che conservino anche il rispetto degli ascoltatori? Young scelte di comodo non ne compie: ne è una prova questo Mirror Ball, povero nella confezione, ostico nello stile, difficile da affrontare. Ma di straordinaria intensità: il canto doloroso, tipico di Young, si fa strada tra chitarre lancinanti e suoni di notevole potenza. Un godimento sempre più raro per chi si ostina ad amare la musica rock.
Famiglia Cristiana
Dopo i Sonic Youth (solo un tour, però), Young incontra i Pearl Jam, ma il passaggio di consegne di consegne tra due generazioni fallisce in larga parte. I Pearl Jam assicurano impatto e volume ma non dimostrano l'agilità selvatica dei migliori Crazy Horse, e tutto si risolve a un monolite saturo e scontato, sì epico e powerful, ma carente di smalto, di brillantezza. Young mantiene comunque la guida, e solo “Peace And Love” figura co-firmata da Eddie Vedder. “I'm The Ocean”, se presa singolarmente, è una delle canzoni più notevoli degli ultimi anni, ma nel contesto dell'album sembra soffocare per mancanza d'aria. Le tastiere di Brendan O'Brien, che produce l'unica session effettuata a Seattle in quattro giorni, donano tiepide coloriture a una serie di performance che sembrano rifiutarle, preferendo tessiture ripetitive con chitarre a pioggia, batteria frastornata di botte e testi criptici. Gli unici momenti di distensione, “What Happened Yesterday” e “Fallen Angel”, solo voce e pump organ, durano appena due minuti. Su un totale di cinquantacinque.
Mucchio Selvaggio Extra 2004
Mirror Ball pubblicato nel 1995 rappresenta un album cruciale per tutta la musica anni ’90. Neil Young abbandona momentaneamente la sua band storica, i Crazy Horse, e collabora con uno dei gruppi più importanti e in auge del periodo: i Pearl Jam. L’album è in perfetta linea con i tempi, definito dalla critica senza mezzi termini un “lavoro grunge”. Canzoni impregnate da potenti riff, nei brani è comunque presente una “linea country” che smussa e arrotonda gli spigoli creati dalla musica del gruppo di Seattle. Canzoni migliori: “Act of love”, “Big green country”, “Downtown” (canzone che ricorda molto i R.E.M.) e “Throw your hatred down”. L’album conferma che Young, nonostante l’anagrafe, è ancora una delle più grandi icone del rock... e che nonostante i trent’anni passati dall’inizio della sua carriera, il rock si rispecchia ancora perfettamente in lui.
Nicola Sezzi
La grandezza di un musicista, e in questo caso di Neil Young sta nel non fossilizzarsi in stereotipi musicali. Mirror Ball è il disco che conferma questa regola.
L’immagine ancora saldamente radicata nella mente di molti è quella del cantautore triste e solitario di Harvest (1972), del cantautore pacato di Comes A Time (1978), o del vecchio bisonte che combatte la ruggine di Rust Never Sleeps (1979). Anche se tuttavia già nel corso degli anni ’70 Young aveva ripetutamente cercato di ridefinire il proprio ruolo e la propria statura umana e artistica attraverso scelte radicali ed estreme, a volte tutt’altro che popolari. Non bisogna dimenticare che all’epoca l’uscita di dischi ora osannati come Times Fades Away, On The Beach, e soprattutto Tonight’s The Night furono salutati come dei funerali artistici del canadese. Negli anni ’80 e successivamente, il compito è stato quello di demolire riuscendoci quella popolarità che gli derivava da un passato così glorioso. E disco dopo disco Neil non sbaglia un colpo, Freedom, Weld, Harvest Moon, diventano sfide personali per dimostrare a se stesso che è ancora in grado di fare buona (o meglio, ottima) musica.
Questo lavoro, potente, elettrico e carico di adrenalina è un’altra ennesima sfida, data soprattutto dal fatto che non si affida ai soliti amici Crazy Horse, ma ad un gruppo molto in auge: i Pearl Jam. Mirror Ball mette in sintonia due diverse generazioni, incastrandosi perfettamente l’uno nell’altro, come se da sempre la band di Seattle fosse il gruppo di Young.
Tutti gli undici brani del disco sono scritti da Young. Il brano di apertura “Song X” è di presa immediata, potente e fresco, un valzer tipicamente younghiano. “Act Of Love” splendido , è un magma sonoro incandescente, con tre chitarre elettriche che impazziscono inseguendosi e disegnando un suono sporco e ruvido, la voce del canadese è acuta e la parte strumentale dei Jam è semplicemente perfetta.
“I’m The Ocean” altro brano elettrico ed epocale, il suono è poderoso, i Pearl sono lanciati come una locomotiva a tutta velocità, la voce di Neil è superba, vibrante, è un brano capolavoro. “Big Green Country” è più morbido dei tre precedenti, ma scorre come un fiume in piena, trasportato nella corrente dalle chitarre dei Jam che bene sanno fare la band al servizio del canadese. “Truth Be Known” altro grande scenario sonoro. Nostalgica e piena di pathos la chitarra elettrica è quella di Young e si sente nel modo di suonare unico e personale. È una ballata vecchio stampo adatta comunque al tempo reale. Unica e secondo capolavoro dell’album.
“Downtown” è il brano più stonesiano del disco (non dimentichiamoci che Young è un loro grande fan). La canzone è possente, solida e piena di feeling. La voce esile di Neil lascia spazio alle jam chitarristiche dei PJ per un altro grande brano. La settima composizione dell’album “What Happened Yesterday” dura appena trenta secondi, è un frammento triste ed intenso, per poi passare a un diluvio sonoro che è “Peace And Love” con la voce di Eddie Vedder (finora relegato ai cori). Il brano è sempre molto elettrico e malinconico, i riff chitarristici danno uno spessore a questa canzone da renderla superlativa e grande composizione. “Throw Your Hatred Down” ricorda le cavalcate sonore chitarristiche che solo il nostro canadese ci ha saputo regalare. L’esecuzione è da manuale, con il motivo centrale ripetuto più volte e quindi più facilmente memorizzabile. Il penultimo brano “Scenery” è un ricamo intrecciato. Le tre chitarre si rincorrono e si incrociano, creando un fondo emozionale prima di lasciarci con l’ultimo brano del disco che porta il titolo di “Fallen Angel”, novanta secondi di organo a canne con la melodia che ci richiama “I’m the ocean”. Finale breve ed intenso che probabilmente è dedicato allo scomparso Cobain.
Un disco di puro rock, esaltante e coinvolgente. Un altro grande disco dell’intramontabile canadese, con i Pearl Jam non come bonus, ma come colonna portante dell’intera opera.
Una collaborazione fra vecchio e nuovo per creare una musica poderosa e sana per le nostre orecchie e la nostra mente.
Silvano Bottaro, storiadellamusica.it
Mirror Ball pubblicato nel 1995 rappresenta un album cruciale per tutta la musica anni ’90. Neil Young abbandona momentaneamente la sua band storica, i Crazy Horse, e collabora con uno dei gruppi più importanti e in auge del periodo: i Pearl Jam. L’album è in perfetta linea con i tempi, definito dalla critica senza mezzi termini un “lavoro grunge”. Canzoni impregnate da potenti riff, nei brani è comunque presente una “linea country” che smussa e arrotonda gli spigoli creati dalla musica del gruppo di Seattle. Canzoni migliori: “Act of love”, “Big green country”, “Downtown” (canzone che ricorda molto i R.E.M.) e “Throw your hatred down”. L’album conferma che Young, nonostante l’anagrafe, è ancora una delle più grandi icone del rock... e che nonostante i trent’anni passati dall’inizio della sua carriera, il rock si rispecchia ancora perfettamente in lui.
Nicola Sezzi
La grandezza di un musicista, e in questo caso di Neil Young sta nel non fossilizzarsi in stereotipi musicali. Mirror Ball è il disco che conferma questa regola.
L’immagine ancora saldamente radicata nella mente di molti è quella del cantautore triste e solitario di Harvest (1972), del cantautore pacato di Comes A Time (1978), o del vecchio bisonte che combatte la ruggine di Rust Never Sleeps (1979). Anche se tuttavia già nel corso degli anni ’70 Young aveva ripetutamente cercato di ridefinire il proprio ruolo e la propria statura umana e artistica attraverso scelte radicali ed estreme, a volte tutt’altro che popolari. Non bisogna dimenticare che all’epoca l’uscita di dischi ora osannati come Times Fades Away, On The Beach, e soprattutto Tonight’s The Night furono salutati come dei funerali artistici del canadese. Negli anni ’80 e successivamente, il compito è stato quello di demolire riuscendoci quella popolarità che gli derivava da un passato così glorioso. E disco dopo disco Neil non sbaglia un colpo, Freedom, Weld, Harvest Moon, diventano sfide personali per dimostrare a se stesso che è ancora in grado di fare buona (o meglio, ottima) musica.
Questo lavoro, potente, elettrico e carico di adrenalina è un’altra ennesima sfida, data soprattutto dal fatto che non si affida ai soliti amici Crazy Horse, ma ad un gruppo molto in auge: i Pearl Jam. Mirror Ball mette in sintonia due diverse generazioni, incastrandosi perfettamente l’uno nell’altro, come se da sempre la band di Seattle fosse il gruppo di Young.
Tutti gli undici brani del disco sono scritti da Young. Il brano di apertura “Song X” è di presa immediata, potente e fresco, un valzer tipicamente younghiano. “Act Of Love” splendido , è un magma sonoro incandescente, con tre chitarre elettriche che impazziscono inseguendosi e disegnando un suono sporco e ruvido, la voce del canadese è acuta e la parte strumentale dei Jam è semplicemente perfetta.
“I’m The Ocean” altro brano elettrico ed epocale, il suono è poderoso, i Pearl sono lanciati come una locomotiva a tutta velocità, la voce di Neil è superba, vibrante, è un brano capolavoro. “Big Green Country” è più morbido dei tre precedenti, ma scorre come un fiume in piena, trasportato nella corrente dalle chitarre dei Jam che bene sanno fare la band al servizio del canadese. “Truth Be Known” altro grande scenario sonoro. Nostalgica e piena di pathos la chitarra elettrica è quella di Young e si sente nel modo di suonare unico e personale. È una ballata vecchio stampo adatta comunque al tempo reale. Unica e secondo capolavoro dell’album.
“Downtown” è il brano più stonesiano del disco (non dimentichiamoci che Young è un loro grande fan). La canzone è possente, solida e piena di feeling. La voce esile di Neil lascia spazio alle jam chitarristiche dei PJ per un altro grande brano. La settima composizione dell’album “What Happened Yesterday” dura appena trenta secondi, è un frammento triste ed intenso, per poi passare a un diluvio sonoro che è “Peace And Love” con la voce di Eddie Vedder (finora relegato ai cori). Il brano è sempre molto elettrico e malinconico, i riff chitarristici danno uno spessore a questa canzone da renderla superlativa e grande composizione. “Throw Your Hatred Down” ricorda le cavalcate sonore chitarristiche che solo il nostro canadese ci ha saputo regalare. L’esecuzione è da manuale, con il motivo centrale ripetuto più volte e quindi più facilmente memorizzabile. Il penultimo brano “Scenery” è un ricamo intrecciato. Le tre chitarre si rincorrono e si incrociano, creando un fondo emozionale prima di lasciarci con l’ultimo brano del disco che porta il titolo di “Fallen Angel”, novanta secondi di organo a canne con la melodia che ci richiama “I’m the ocean”. Finale breve ed intenso che probabilmente è dedicato allo scomparso Cobain.
Un disco di puro rock, esaltante e coinvolgente. Un altro grande disco dell’intramontabile canadese, con i Pearl Jam non come bonus, ma come colonna portante dell’intera opera.
Una collaborazione fra vecchio e nuovo per creare una musica poderosa e sana per le nostre orecchie e la nostra mente.
Silvano Bottaro, storiadellamusica.it