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Live at Fillmore East 1970 - Rassegna Stampa


Tanto rumore per nulla, o quasi. Della pubblicazione di materiali dagli immensi archivi di Neil Young si favoleggia da anni, e adesso vede finalmente la luce il primo risultato concreto, questo Live at Filmore East, ennesima uscita discografica del rocker canadese, la quarta in poco più di un anno (due dischi di studio, Prairie Wind e Living With War, e il DVD documentario Heart of gold).
Le voci che circovalano sull'apertura degli archivi erano le più diverse: si era parlato di un box di diversi CD, oppure della pubblicazione di dischi totalmente inediti: i fan sanno che gli archivi di materiale di Young sono sterminati, e ci si potrebbe campare di rendita. Il modello, a giudicare da questo CD, è piuttosto quello delle ultime “Bootleg series” che Bob Dylan ha ormai fatto arrivare al 7° volume: concerti inediti e materiali storici, magari già diffusi tra i fan, ma restaurati e ri-impacchettati ufficialmente.
Questo primo risultato, però, è davvero deludente, e conferma le bizzarrie di Young, uno che spesso fa di testa sua non solo andando contro le richieste della discografia (e lo si può capire) ma anche contro la logica. Il valore storico di questo documento non si discute: registrato tra il 6 e il 7 marzo 1970, testimonia il periodo di nascita dei Crazy Horse, la band che accompagnerà Young per buona parte della sua carriera. Young aveva da poco pubblicato il primo disco solista e mise inseime una vera e propria super-band: Danny Whitten (chitarrista, che morirà di overdose ispirando Tonight's The Night), Ralph Molina (batteria), Billy Talbot (basso) e Jack Nitzsche (piano). Però di quei due concerti affiorano solo sei brani, sebbene 2 siano chilometriche e bellissime versioni di “Down by the river” e “Cowgirl in the sand”. Certo, la confezione è carina, ed è inclusa anche una versione in DVD audio con galleria fotografica e le recensioni originali del tempo. Ma poi, perchè stampare sulla copertina “Neil Young archives – performance series – disc 02”? Si presume che il criterio sia quello cronologico, ma allora perchè iniziare dal volume 2? Insomma, un bel disco, un grande concerto, ma un'operazione che avrebbe potuto essere gestita meglio, molto meglio e che così com'è suscita l'acquolina senza placare la fame. Speriamo che il resto del pasto arrivi in fretta e che sia più soddisfacente. 
Gianni Sibilla


YouTube sta diventando l'archivio a portata di click per chiunque navighi su internet, tanto che il Time l'ha messo anche in copertina ultimamente, e addirittura il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro riferirà grazie a YouTube, il maggior portale video di Internet, "le decisioni prese dal Consiglio dei Ministri". Ma c'è qualcun altro che invece ha deciso di ripescare nei suoi cassetti e dare finalmente alle stampe i propri, di archivi...:
Erano decenni che i fans di Neil Young aspettavano questo momento, e finalmente, dal 14 Novembre scorso qualcosa si è mosso. Il songwriter canadese ha deciso di tirar fuori i suoi preziosi Archives partendo da un progetto parallelo: le "performance series"; in pratica la stessa cosa che Bob Dylan ha fatto con i Bootleg Series volumi 4-5-6, cioè pubblicare dei live inediti o comunque apparsi solo su registrazioni pirata.
Il primo lavoro che Neil Young ci presenta, e se non facesse così non sarebbe nemmeno lui, è però il disco 02 che contiene il concerto con i Crazy Horse al Fillmore East di Bill Graham del 6 e 7 Marzo 1970: infatti, probabilmente il Loner ha voluto inaugurare questa serie dedicandola al suo vecchio compare Danny Whitten, chitarrista della formazione dei Crazy Horse presente in questo concerto.
Per la cronaca il Disc 03, uscito a Marzo, contiene un concerto acustico a Toronto (il Massey Hall), a cui seguirà, a Settembre il cofanetto "in studio" del primo volume degli Archives e in conclusione un Disc 01 con un altro live, il tutto con brani che vanno cronologicamente fino al 1972. Per poi, si spera, passare nei prossimi anni agli altri volumi.
Dopo questa doverosa presentazione del progetto Archives è giusto spendere delle parole sul concerto vero e proprio. Le sei canzoni presenti, sono le uniche che la casa discografica è riuscita a conservare in multitraccia, ed è per questo che canzoni come Cinnamon Girl e tutto il set acustico sono assenti.
Il disco parte con la frizzante “Everybody Knows This Is Nowhere”, la title track del disco che i Crazy Horse stavano portando in tour proprio quell'anno; ma le canzoni davvero interessanti sono altre: “Winterlong” (pubblicata solo nel '77 nella raccolta Decade), “Wonderin” (già edita nel 1983, ma con vesti sonore ben diverse), “Down By The River” (lunga cavalcata elettrica, mai apparsa in questa veste in un disco live) e sopratutto “Cowgirl In The Sand”: 15 minuti di potenti assoli intrecciati tra la Gibson Les Paul di Neil Young e la Gretsch di Danny Whitten. Brano tra i più importanti di tutta la storia del rock (i Sonic Youth, per inciso, la considerano la più formidabile performance chitarristica di sempre).
A completare la tracklist c'è “Come On Baby Let's Go Downtown” (della coppia Whitten-Young, all'epoca inserita nel disco d'esordio dei Crazy Horse) in una versione molto simile, tratta dagli stessi concerti, a quella apparsa nel capolavoro younghiano del '75 Tonight's The Night.
L'album è uscito anche in edizione digipack con dvd: all’interno il concerto in versione 5.1 accompagnato da una serie di diapositive dei live montate di seguito. Negli extra sono poi presenti le schede dei membri della band, una Easter Egg che spiega il perchè di alcune scelte sugli Archivi e altre succose opzioni. Chi vi scrive non può che consigliare questa versione, quella che più si avvicina all'idea di Young degli Archives: un progetto multimediale dalla qualità audio perfetta. 
Andrea Belcastro, storiadellamusica.it


Mentre le case discografiche per rimpinguare le casse ricorrono alle “deluxe edition“ (riproposizione di album rimasterizzati con aggiunta di bonus e/o esibizioni live, il tutto con packaging ammiccanti) vede finalmente la luce il primo atto d’una, speriamo numerosa, serie: gli archivi musicali di Neil Young. È cosa di lunga gestazione, che ha cambiato più volte ideazione nel corso del tempo; anni fa sembrava addirittura dovesse venir pubblicato un unico cofanetto con 20 cd, e non è affatto escluso che alla fine della serie tale traguardo, seppur in più riprese, non venga raggiunto o superato. Registrate il 6 e 7 marzo 1970 al Fillmore East (mitico locale di Bill Graham, assieme al Fillmore West dall’altra parte degli States) di New York, pochi mesi dopo la tournè di Young in Europa assieme a Crosby, Stills e Nash (il “Carry On Tour“), le sei tracce elettriche presenti nell’album sono ciò che ha resistito al tempo, poiché il progetto originale della casa discografica prevedeva la pubblicazione d’un doppio album live; a tal proposito vennero registrati tutti e quattro i concerti delle due giornate (al tempo era cosa frequente fare due concerti in un giorno, cosa oggi inimmaginabile) per un totale di quarantotto canzoni. I concerti erano totalmente imperniati sulla musica, Young infatti non volle venisse usato appieno l’impianto luci del locale per non sviare l’attenzione dalla musica stessa, e visto il risultato ben fece. I Crazy Horse al massimo del loro splendore, e i duetti di chitarra fra Young e Danny Whitten (chitarra ritmica) aprono le porte della psichedelia, dilatando brani già di per sé ottimi: su tutti spicca la conclusiva “Cowgirl in the sand”, portata oltre la soglia dei sedici minuti, antitesi alla versione acustica presente in 4 Way Street (il live di C.S.N.&Y. entrato nella storia) - poche canzoni nella storia hanno goduto di versioni così diverse ed eccelse. La band che accompagnava Neil in quelle date è tuttora viva e ben più che vegeta, ma il suono prodotto in quelle due date è purtroppo da lungo tempo irripetibile, poiché Danny Whitten se ne sarebbe andato di lì a poco a causa d’una overdose, cosa che avrebbe causato una profonda crisi in Young e la conseguente pubblicazione di Tonight’s The Night. Se personalmente dovessi salvare un album live di Young salverei Weld (sempre con i Crazy Horse), il cui suono raggiunge apici molto più duri e al limite della distorsione, essendo permeato da quello che nel tempo sarebbe divenuto l’inconfondibile e selvaggio suono della chitarra elettrica di Young, ma di certo questo Live at Fillmore East è disco degno di gran attenzione. All’interno dei 43 minuti di concerto troviamo tre brani che viaggiano fra l’altamente godibile ed il pregevole: Winterlong (pubblicata sinora solo sull’antologia Decade), “Come on baby let’s go dowtown” (scritta da Whitten, con probabile riferimento alla droga) e “Wonderin’”, l’ottima “Everybody knows this is nowhere” che apre l’esibizione e due capolavori cui va dato più spazio. Il primo risponde al nome di “Down by the river” (tuttora cavallo di battaglia del canadese solitario): dodici minuti che infiammano anche solo ascoltandola uscire da uno stereo, figurarsi quindi in quella serata, fra saette, attese, incontri ed improvvisazioni che escono dagli strumenti di Young e Whitten… e l’apoteosi finale della citata “Cowgirl in the sand”: sedici minuti in cui i sostantivi usati per “Down by the river“ si elevano a potenza, lasciandoti lì immobile ad ascoltare, e riascoltare, e poi rimetterla per avere conferma che sia vero. Il cd è uscito anche in versione con dvd audio, contenente il concerto (attenzione: solo audio con suono di gran qualità) alcune foto e qualche altra quisquiglia tutt’altro che fondamentale. Avendo visto Young in versione elettrica assieme ai Crazy Horse anni fa a Brescia, mi spiace che nel dvd non vi sia il filmato del concerto, ma ascoltandolo capisco da dove deriva quel furore sul palco, un furore che a distanza di decenni è aumentato (cosa non frequente) e m’ha dato modo di assistere a versioni più dilatate ancora, portate al limite, sino a fare di Young quello che si avvicina di più (pur da non eccelso chitarrista) al sacro fuoco che Hendrix sprigionava (Steve Ray Vaughn è altra cosa, molta più tecnica ma meno furore); e vederlo suonare e “sentire“ la chitarra col piede, dopo diciotto minuti dell’esecuzione d’una cover di Jimi, faceva scattare nella mente quella magica sera in cui a Monterey Hendrix diede fuoco alla sua chitarra. M’accorgo che sto andando fuori dal seminato, indi chiudo augurandovi un buon ascolto di quest’album, che nel corso del tempo era circolato più volte sotto forma di bootleg e di cui ora è finalmente possibile fruire con un’ottima qualità sonora. 
Toni Piccini, ilcibicida.com

La scritta che campeggia in alto a sinistra sulla copertina del cd è quella che da anni volevamo leggere: Neil Young Archives. Ben lungi dall'essere la messe di inediti che dovrebbero sbucare prima o poi dal Broken Arrow ranch, è comunque un primo passo; per non smentirsi però, invece di diradare il fumo che da tempo avvolge tutta l'operazione Archivi, il canadese aumenta la confusione e pubblica direttamente il Volume 2 delle Performances Series, con la riproposizione del set elettrico degli shows al Fillmore East di New York del marzo '70. Probabilmente questa decisione deve intendersi come un omaggio a Danny Whitten, Billy Talbot e Ralph Molina, ovvero i Crazy Horse (con in più Jack Nitsche al piano), i musicisti che insieme a lui hanno creato un suono che anche ai giorni nostri vanta numerosi imitatori anche tra le band più giovani. Il primo e il terzo volume dovrebbero (condizionale d'obbligo) contenere due esibizioni acustiche a Toronto: quella al Riverbend del febbraio '69 e quella alla Massey Hall (19 gennaio '71) che, prevista per l'uscita già due anni fa, finì nel dimenticatoio. Solo sei pezzi in scaletta, ma con finalmente una registrazione live ufficiale di “Down By The River”, uno dei capolavori del song-book younghiano: un vero delitto che si sia dovuto aspettare il settimo disco dal vivo di Young per averla tra le mani. “Everybody Knows This Is Nowhere” dava il titolo al primo disco con il marchio Neil Young & Crazy Horse, targato 1969: suono potente come ci si aspetta e brillante missaggio di John Nowland (a proposito, tutto il lavoro era pronto già da una decina d'anni! L'edizione in dvd audio, contenente anche una bella galleria fotografica dell'evento, è veramente superba). “Winterlong”, all'epoca inedita, finirà in Decade, tripla raccolta del '77, disco precursore degli Archivi. Introducendo “Wonderin'” (altra inedita del periodo, confluirà in Everybody's Rockin' tredici anni dopo) il canadese dice: "questa farà parte del prossimo album, quando lo registreremo.". Quel disco, anche per via dei problemi che Whitten iniziava ad avere con le droghe, non fu mai completato, ma dopo pochi giorni uscì Dejà Vu di CSN&Y e dopo alcuni mesi toccò a After The Gold Rush (in cui comunque i Crazy Horse rivestono enorme importanza), il suo miglior disco di sempre. Proprio i problemi del biondo chitarrista (che morì alla fine del '72) allontanarono Young dai Crazy Horse, e solo cinque anni più tardi con l'ingresso di Frank Sampedro in formazione ci fu la rinascita del Cavallo Pazzo. “Come On Baby Let's Go Downtown” è scritta e cantata proprio dal talentuoso (è sua la stupenda “I Don't Wanna Talk About It”) Whitten: già incisa dai Crazy Horse per il loro omonimo disco d'esordio, verrà ripescata per Tonight's The Night. “Cowgirl In The Sand” è un infuocato quarto d'ora tutto duelli tra le chitarre degli stessi Young e Whitten. Il missaggio di questa canzone (a cura di Peter K. Siegel) risale proprio al '70. “Wonderin'”, “Down By The River” e “Everybody Knows This Is Nowhere” componevano la facciata elettrica (oltre alle tre acustiche) di un doppio live del '71 mai pubblicato. Chi lamenta la mancanza di “Cinnamon Girl” e altri pezzi eseguiti nei quattro set di quei 6 e 7 marzo, sappia che la casa discografica perse le registrazioni multitraccia: quello che si è salvato è qui, dopo trentasei anni, in tutto il suo splendore, compresa la voce di James Taylor che accompagna in sottofondo il vociante pubblico che lascia il Fillmore East e si tuffa nella notte newyorkese. 
Luca Vitali

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