David Crosby & Graham Nash: gli eterni ribelli (Repubblica, 2004)
David Crosby e Graham Nash, l’inglese e l’americano, tornano con un nuovo disco
Insieme hanno scritto pagine indelebili della storia della musica moderna, ora sono tornati, con un nuovo disco. In mezzo ci sono 28 anni, ma non importa, il fascino che suscitano questi “beautiful loosers” rimane intatto. A partire dagli anni 90 si è sviluppata un’onda nostalgica che ha portato grandi gruppi del rock e della canzone d’autore degli anni 70 a riunirsi, non solo per celebrare se stessi ma anche per cercare nuovi percorsi musicali e vivere una sorta di seconda giovinezza. Gli eroi di Woodstock erano caduti nel dimenticatoio durante gli anni 80: superati, noiosi, presuntuosi. E poi basta col pacifismo e le utopie. Questi hippie avevano stufato e insieme a loro le loro note, travolte da una musica più immediata, più essenziale: per molti un ritorno alle origini, per altri un segno di decadenza. Ma gli 80 erano così, i sogni erano finiti, contava solo il successo, nel decennio più capitalista e sfrontato non c’era più posto per questi artisti démodé. I gusti erano cambiati e per gli artisti c’era poca scelta: o ti adeguavi o eri finito. Così qualcuno andò in letargo e qualcun altro tentò di trasformarsi in qualche divo della dance music; quelli che vivevano di rendita sugli anni 70 erano pochissimi, forse Bob Dylan era uno dei pochi a poterselo permettere, i seventies erano out. Ma quando in un tripudio di luci gli Ottanta si avviavano stancamente verso la fine, per la musica avvenne come per il crollo del muro di Berlino: nessuno l’aveva previsto, ma questo avvenimento travolse tutto. Ci piace pensare che la storia venga trainata da qualche legge cosmica per cui tutto risulta legato in qualche modo, tutto torna. Musicalmente successe che qualcuno prese in mano una sana chitarra elettrica e ricominciò a suonarla come si deve, senza più batteria elettrica e ballerine . La scena di Seattle aprì i battenti: Nirvana, Pearl Jam, R.E.M., ma un po’dovunque si respirò una nuova aria, come dimenticare i micidiali Guns’n Roses? Un nuovo suono stava emergendo e come ai tempi di Woodstock si mischiavano speranze e disillusioni. Ma questa volta erano molto più forti le seconde e così via con chitarre ruvide e un suono disperato come quello di Kurt Cobain, che fu il primo a contribuire alla (ri)valorizzazione di un mito della generazione passata: Neil Young, ora riconosciuto come l’inventore del grunge. Così grazie anche ai Pearl Jam, tornò di moda pure un celebre motto di una canzone younghiana, “Rock’n roll will never die”. Anche altri generi, come il progressive-rock, il vero sconfitto degli anni 70 e il folk d’autore vennero in qualche modo riscoperti conquistando nuove leve e il passaggio al compact disc, come supporto audio di massa, generò un duplice moto: da un lato fiorirono le ristampe di vecchi hit ora rimasterizzati in digitale, dall’altro partì la caccia al vinile dei vecchi e nuovi collezionisti. In questo vortice di reunion o comunque di piacevoli riscoperte, entrano anche Crosby, Stills, Nash & Young che si ripresentano nel 1998 con un ottimo album intitolato Looking Forward. Ora Crosby e Nash tornano a firmare un disco in coppia , (28 anni dopo Whistling down the wire) e sono tornati soprattutto in un tour europeo che settimana scorsa li ha portati anche in Italia, dove hanno riscosso grande successo registrando ovunque il tutto esaurito. Più si allontanano i tempi di Woodstock e più questi sopravvissuti di quell’epoca ci appaiono come dei saggi da (ri)ascoltare, degli oggetti misteriosi e affascinanti, così lontani dai canoni di gradimento odierni. Il leggendario baffo di Crosby strappa un sincero sorriso: loro non sono mai cambiati e tutto quanto è intorno che è tristemente cambiato. David Crosby col suo look genuino un po’country, un po’ western ci ricorda quel lato “buono” dell’America che molti sembrano avere dimenticato, quell’American Dream che per quella generazione significava soprattutto California. Crosby e Nash, insieme a Stills e a Young hanno cantato l’America che scendeva in piazza per rivendicare i propri diritti e per manifestare contro la follia bellica del Vietnam. Le loro ballate politiche (Chicago, Ohio, Military Madness, Find the coast of Freedom) divennero dei manifesti e i loro concerti erano soprattutto degli happening, così un cronista del Rolling Stone in una recensione del 1969: Il pubblico è impazzito [...] Forse sono le armonie, impeccabili e precise come quelle degli Everly Brothers, morbide come quelle di Simon & Garfunkel, melodiche come quelle dei Buffalo Springfield dei giorni migliori. Oppure i racconti, i passaparola su quell’atmosfera da Woodstock che si crea ovunque suonino, poiché emanano buone vibrazioni uscendone come spiriti liberi e gentili. Nello stesso articolo Stills spiega la sua ricetta: è facile fare un concerto e abbagliare tutti con gran clamore, ma a noi interessa mandare segnali continui, cenni che facciano avvicinare la gente per dirti grazie amico. Musicalmente furono tra i principali interpreti della West Coast, una musica che molti preferirono ad altre influenze più estreme, più sofisticate di quei fertilissimi anni. Il loro suono era pulito, greve. Il loro marchio di fabbrica le armonie vocali, i cori, quelle voci così diverse eppure fatte una per l’altra. Ma c’era anche il loro lato elettrico, fatto di memorabili schitarrate. Furono tra i primi gruppi a introdurre l’abitudine di fare un set acustico ed uno elettrico durante i loro concerti, il loro memorabile disco live Four Way Street ne fornisce una splendida testimonianza. Come scrive Marco Grompi, autore di un bel libro su Neil Young: In un certo senso loro finiranno per rappresentare il sound di Woodstock, equamente diviso tra tintinnii acustici e sfuriate elettriche. Il festival degli hippie è ormai lontano, ma la loro musica senza tempo ha ancora qualcosa da dirci. E anche i due folk-singer non sono rimasti a guardare ma ancora si battono per un mondo migliore, così, per esempio, si sono resi autori di un’intensa campagna a favore del candidato democratico Kerry. Le loro liriche, come ai tempi d’oro, alternano storie d’amore ad atti di denuncia nei confronti della società e della politica americana. Per capire quanto sia tagliente la loro critica, basta citare una riflessione fatta da Nash in un bell’articolo che l’inserto il Venerdì di Repubblica gli ha voluto dedicare: Oggi non c’è più informazione, esistono solo i media che sono in mano a una dozzina di persone. Può immaginare cosa conti per loro la verità. La guerra del Vietnam passa per essere stata la prima guerra vissuta in diretta. In realtà è stata anche l’ultima. Dopo non ci sono state più notizie attendibili: Panama, Grenada, prima e seconda guerra del Golfo. Fa più informazione la musica, una riga di Dylan ha più senso dell’intero palinsesto di una tv di Murdoch. Qualche anno fa Crosby fece un tour che passò anche per l’Idroscalo di Milano. Andai a vederlo. Un acquazzone estivo rischiò di annullare il concerto, ma si tenne lo stesso, sotto il diluvio, e Crosby commosso ringraziò coloro che avevano sfidato le intemperie climatiche o chissà forse divine. Diluviava, come a Woodstock. Ma la musica non si fermò.
a cura di Marco Agosta
Premiata ditta Crosby & Nash nuovo cd e campagna antiBush
Ci
sono band che fanno dischi ogni otto mesi. Loro no. L'ultimo disco
insieme Crosby & Nash lo hanno tirato fuori 28 anni fa (Whistling
Down The Wire, 1976). Sembra preistoria. Ma a loro non pesa. Anzi dicono
che i tempi rilassati sono i tempi dell'artista vero. Ora i due si sono
rimessi in pista. Alzando la posta. Buttandosi a capofitto persino in
una finta, ma significativa campagna elettorale presidenziale con tanto
di slogan, foto promozionali, bandierine, autobus in giro per l'America,
al grido di "Votate Crosby!". E in alternativa "Votate Nash!". Per il
loro nuovo doppio cd, che uscirà in Italia il 27 agosto, titolo
semplice, Crosby & Nash, ma contenuti forti, con punte fortissime
(l'arringa di Crosby contro la Enron, il colosso del gas naturale,
dell'elettricità e delle telecomunicazioni al centro di un grande
scandalo finanziario, e contro tutte le corporazioni fameliche che
prende corpo in They Want It All e che nei recenti concerti, ai quali si
è unito anche Stephen Stills, ha scatenato la folla). Artisti veri si
nasce e si resta, malgrado nel frattempo sia successo veramente di
tutto. Dischi solisti per entrambi, reunion di studio con Stills e
Young, trapianti di fegato (Crosby), arresti e detenzioni (sempre
Crosby), traslochi per "saturazione da stato imperialista" (Nash che si è
trasferito alle Hawaii, ascoltate la nuova Penguin In A Palm Tree, e
che di Bush non ne poteva più già prima che diventasse presidente),
figli ritrovati e semi impiantati (ancora Crosby che prima si ritrova in
casa James Raymond e poi scopre che tutta la stampa americana va
raccontando in giro che il suo seme è misteriosamente finito,
scongelato, nell'utero della cantautrice Melissa Etheridge). Infine,
gambe fratturate (quelle di Nash in barca a vela) e altri mestieri (Nash
che pubblica il bellissimo libro di fotografie Eye To Eye). Ma la
sostanza non cambia. C'è ironia: "Avevamo pensato di intitolarlo Your
Sister's Tits", dichiara Nash sul suo sito, "ma David non era d'accordo
perché avrebbe preferito Your New Tits, abbiamo litigato per le tette e
così abbiamo rinunciato al titolo". C'è impegno: "Sapete cosa c'è dentro
la Yucca Mountain, in Nevada? Solo scorie nucleari. Con una sola,
schifosissima firma del cavolo il nostro caro governo ha deciso che
quella roba resterà lì per 30.000 anni". E così viene fuori Don't Dig
Here. Però siamo alle solite. Qualcuno potrebbe pensare che la dolcezza
di Jesus In Rio, sia solo un delicato anacronismo, e che si sente
lontano un miglio che On The Other Side Of Town Nash l'ha scritta 25
anni fa, quando suo figlio Jackson aveva appena un anno di vita. Ma è
bene pensarci su prima di mollare Crosby & Nash. Il loro nuovo cd
non sarà Déjà Vu, ma certamente non è solo un déjà vu. Crosby & Nash
non è una di quelle cose che sanno di polvere e che al massimo possono
andar bene a chi è cresciuto con Teach Your Children. Non è solo per
giovani vecchietti. Charlie è un pugno-carezza, Michael è dedicata allo
scomparso chitarrista di culto Michael Hedges. Tutte canzoni tese, anche
dove in apparenza non ci sono spigoli. E Live On dimostra che far
funzionare le armonie vocali non è da tutti. E non lo sarà mai.
Enrico Sisti, La Repubblica 23 agosto 2004