Crosby Stills & Nash: i concerti di Lucca & Monza, 2005
di Ernesto De Pascale da www.ilpopolodelblues.com
Entrano
sul palco come se non si fossero mai incontrati prima e Stills guida
subito Crosby, Nash e tutta la band in una sicura e rockeggiante “Carry
On”. Inizia così un concerto di due ore e trenta caratterizzato dai
cavalli di battaglia dei tre ma che ha dato modo a Stephen Stills di
presentare alcuni brani dal suo nuovo album e a David e Graham di
rinverdire il fresco ricordo dell’album da loro pubblicato lo scorso
novembre. I tre hanno una band mista alle spalle, Stills si è portato
appresso i fidi Joe Vitale alla batteria e lo straordinario hammondista
Mike Finnigan (suona in “Electric Ladyland” di Hendrix, per inciso)
mentre Crosby ha al suo fianco Jeff Pevar che supplirà all’andamento
erratico di Stills e il figlio, Raymond, sempre abile a seguire brani
più armonicamente complessi. Per tutta la durata del concerto gli occhi
sono soprattutto puntati su Stills, quello che da più tempo manca da
queste parti. Nash e Crosby paiono consapevoli che resta lui, l’energia
irrazionale e il talento incommensurabile
dei tre, la carta che fa la differenza. Stephen è lento a mettersi in
moto: parte bene ma ha, nella sua amabile imprevedibilità, problemi di
tutti i tipi, oltre a difficoltà nel cantare. Dall’album solista Stills
si riscatterà con il bel blues al piano di “Ol’Man trouble” (scritta da
Booker T) mentre Crosby e Nash si alternano proponendo con classe
“Southern cross”, la rispolverata “Mlitary Madness” (già reinserita
nella scaletta invernale del tour in duo), fino a ritrovarsi in tre in
“Find the coast of freedom” (manca una voce, peccato…) per ripartire poi
con “Chicago” che prende nuove motivazioni. È il finale a riservare i
momenti migliori con ”Almost Cut my Hair” davvero grande in cui Stills,
Pevar e Finnigan si scambiano gli assoli inseguendosi. Fa riflettere la
figura di Graham Nash: una volta ammesso alla corte americana dei
nostri, oggi comandante della nave a tutti gli effetti: una rivincita
fra inglesi o americani o solo i tempi che cambiando, riscrivono le
dinamiche dell’esistenza?
dal Blog Iddiokristo
Ieri, a Lucca, non e' stata solo questione di nostalgia. Volevo raccontare il concerto di Crosby Stills Nash al quale ho assistito appunto ieri sera, a Lucca, ma l'urgenza di altre notizie mi ha bloccato. Mentre si diffondevano rapidamente le immagini e i commenti relativi agli attentati di Londra, parlare di musica mi sembrava quantomeno futile. Alla fine ho trovato il nesso. Aggiungere il mio alla marea di commenti sui fatti di Londra avrebbe significato poco. Al contrario, puo' volere dire qualcosa il racconto, anche se solo accennato, di un' emozione. E' vero: forse buona parte del pubblico presente all' appuntamento di ieri al Lucca Summer Festival era un po' patetico. Non siamo piu' cosi' giovani e non abbiamo cambiato il mondo. Evidentemente. Pero' c'erano anche tanti ragazzi. E c'era mia figlia, per la quale il passaggio dagli adorati Killers agli stagionati CSN magari e' stato un po' ostico: ma alla fine ha dovuto ammettere di essersi divertita. E chissa' (teach your children no?) ... Poi c'erano loro tre. Grande professionismo, grande stile, grande presenza in scena, grande energia (specialmente Nash), e soprattutto grande musica. Fra blues e rock, l'inconfondibile accordo delle loro voci. Winchester cathedral da brivido. La malinconica
Helplessly Hoping. La struggente Guinnivere. La trascinante Chicago. La virtuosistica Wooden ships. E tutte le altre, cavalli di battaglia noti e meno noti (da Carry on a Marrakesh Express a Deja vu a Find the cost of freedom), accompagnati comunque dai cori del pubblico, ritmati dai battimani e dalle grida. FIno all' entusiasmo inevitabile di Woodstock (il mio motto, da sempre: I don't know who I am, but life is for learning) e ovviamente di Teach your children. Ora io, ieri sera, stavo bene. Stamattina le edizioni straordinarie dei vari telegiornali e l'inseguimento delle notizie piu' aggiornate su Internet mi hanno, ovviamente, depresso. Non volevo piu' scrivere questo post. Ma no. Nemmeno quando per eta' sarebbe stato legittimo, mi riusciva abbandonarmi al facile nichilismo adolescenziale e post adolescenziale. Figurarsi ora. La musica e' una gran cosa: ti fa sentire ancora in grado di reagire, per quanto orrido e incomprensibile sia questo mondo.Non cambiera' le cose. Ma nemmeno le bombe devono e possono cambiare noi: illusioni e utopie incluse. Alla faccia dei terroristi. Non mi sento di dire altro. Gia' troppi parlano e straparlano. Se potete, andate alle altre due date italiane ( 8 luglio a Stra', 9 luglio a Monza): ne vale la pena. E magari vi tirerete su di morale (i tre tipi sono meglio comunque degli sfiatati cantanti nostrani che strimpellavano al Live8 di Roma: e anche piu' efficaci).
di Michele Manzotti
di Michele Manzotti
Nemmeno
la musica può regalare l'immortalità. Ma la longevità sì, e i casi sono
tanti. Tra questi anche coloro che sono stati protagonisti assoluti di
una stagione tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70 dall'altra
parte dell'Oceano Atlantico. Provenivano da esperienze importanti (come
Buffalo Springfield e The Byrds) e formarono quello che una volta veniva
chiamato supergruppo. Stiamo parlando di David Crosby, Stephen Stills e
Graham Nash e la loro consacrazione avvenne, come nel caso di altri
artisti, sul palco del Festival di Woodstock. Il loro primo album
insieme superava il country e il rock'n'roll, li riuniva e li
trasformava con l'aiuto di melodie ispirate e rese celebri da intrecci
vocali dalla perfezione armonica. Poi li raggiunse Neil Young e il
quartetto incise dischi come Dejà Vu e 4 Way Street, rimasti nella
storia del rock. Come sempre succede le favole sono destinate a
chiudersi: Young può vantare forse la più soddisfacente carriera solista
del quartetto, mentre gli altri hanno comunque continuato a fare buona
musica. Spesso in tre, a volte in due come nel caso di David Crosby e
Graham Nash (il sodalizio più duraturo) che nel marzo 2005 avevano
suonato anche in Italia. Ma l'estate dei concerti spesso regala
situazioni inaspettate ed ecco una gran folla riempire Piazza Napoleone a
Lucca per Crosby, Stills e Nash che inauguravano ufficialmente
l'edizione 2005 del Summer Festival. Il tour, organizzato dopo l'uscita
di due dischi (l'antologia del gruppo e Man Alive di Stills), era
suddiviso in una parte acustica e una elettrica, anche se quest'ultima
predominava in numero di brani. Questo anche per mettere in evidenza
l'eccezionale formazione che li accompagnava sul palco, a partire da
Mike Finnigan all'organo Hammond, già in Electric Ladyland
di
Jimi Hendrix, per proseguire con Jeff Pevar alla chitarra, che
normalmente suona con David Crosby, e il figlio di quest'ultimo, James
Raymond alle tastiere. Il gruppo era completato dal batterista Joe
Vitale e dal bassista David Santos, una sezione ritmica efficace nel
supporto, ma mai preponderante. C'era infatti da evidenziare le voci dei
tre protagonisti, oltre ai loro brani. Voci, e questo è uno dei
miracoli, ancora belle e funzionali ai pezzi proposti. Che non erano
solo gli hit conosciuti da tutti (l'inizio, entusiasmante, ha inanellato
Carry On, Marrakesh Express, Long Time Gone), ma anche le canzoni
dell'ultimo disco di Stills, come Ole Man Trouble del bluesman Booker T.
Jones, e altre di Crosby e Nash, su tutte Cathedral e Milky Way
Tonight. Se dobbiamo descrivere i tre artisti, diciamo che Stills è
tornato al blues e lo evidenzia con la sua intonazione un po' roca. Nash
è rimasto il più "ordinato" dei tre, tanto da stare nel mezzo della
scena e fungere da maestro di palcoscenico, oltre a essere colui che
dialoga maggiormente con il pubblico. Crosby non sembra, apparentemente,
soffrire dei problemi di salute che lo affliggono da tempo e sfodera
una voce dei tempi migliori, in alcuni momenti cristallina, senza una
sbavatura di frequenza. E poi lo spirito di Woodstock non muore, anzi is
well, alive and living in per usare un termine tipico della lingua
inglese: la canzone Military Madness fa riferimento a chi combatte le
guerre in nome di Dio, e Crosby sottolinea come attualmente ci sia una
scimmia nella Casa Bianca ("abbiamo provato a mandarlo via, abbiamo
provato"). Nash ha preso una bandiera arcobaleno e con le due dita in
segno di vittoria ha detto "peace" al pubblico festante. Tanti i momenti
belli: la dolcezza di Helplessy Hoping e Find the coast of Freedom, la
psichedelia di Dejà Vu, l'attualità di Chicago, la forza strumentale di
Wooden Ships che ha chiuso il concerto. E poi i bis: la Woodstock
composta dall'amica Joni Mitchell e Teach your Children di Nash cantata
da tutto il pubblico e molto più efficace della versione del Live Aid
del 1985 che può essere reperita in Dvd. Woodstock, musica, pace, amore:
i valori e le sensazioni con cui ci siamo congedati dal concerto. Il
giorno dopo ci siamo svegliati con le bombe di Londra. Forse la "scimmia
nella Casa Bianca" non si è ancora resa conto dei danni che sta
provocando.
di Paolo Zara da FolkBullettin