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Broken Arrow - Rassegna Stampa


David Briggs muore nel novembre del 1995 e che la produzione del nuovo album sia accreditata al solo Young (è la prima volta, e sarà l'ultima) va interpretato come un omaggio all'amico scomparso. Senza musicisti esterni e con solo dieci giorni di lavorazione, ne viene un disco urgente e istintivo come nella tradizione del Cavallo Pazzo, ma anche abbastanza routinario, in definitiva uno dei titoli meno riusciti tra quelli cointestati a Neil Young & Crazy Horse. È tutto molto prevedibile: le chitarre rugginose, il suono grezzo, le lunghe cavalcate elettriche, le distorsioni in risonanza, le melodie spaziali. Quel che in altri dischi sembrava inebriante, qua è stracciato e spossante. Logorroico e involuto, Broken Arrow gira su se stesso e si ricicla all'inverosimile, benché non manchino alcuni momenti di alta tensione: gli ultimi minuti ipnotici di “Loose Change”, quando la sezione ritmica pare cristallizzarsi in un singhiozzo, la roboante “Big Time”, un classico fatalmente minore, e la sentita “Music Arcade”, per sola voce e chitarra acustica. 
Mucchio Selvaggio Extra 2004


Doppiata la boa dei 50 anni, Neil Young continua l’esplorazione del suono elettrico. Con i fidi Crazy Horse, con i quali suona dai tardi anni Sessanta, affida alla chitarra e a una voce sempre più tormentata e sempre più affascinante il compito di raccontare tormenti ed estasi, gioie e dolori. Dopo lo straordinario Sleeps With Angels del ’94, dopo l’eccellente Mirror Ball dello scorso anno, si compie così una trilogia che non è esagerato definire classica. Classica musica rock, nel senso più nobile del termine. In questo suo straordinario percorso d’artista, così lontano dalle mode, si ritrovano coraggio espressivo e brutale sincerità, oltre che una personale rilettura dei canoni della musica popolare di questi anni. 
Famiglia Cristiana

[…] fa venire il sospetto che Young sia diventato talmente fiducioso nella propria autocompiacenza al punto di poter gestire la propria carriera con la leggerezza di chi, ormai, dà per scontato che non verrà mai stroncato.  
Spin
   
 
Non è affatto un disco da buttare, ma lascia un po’ perplessi se si considera che contiene solo due brani davvero superlativi (“Big time” e “Music arcade”) per il resto risultando agli occhi di molti soltanto un tentativo un po’ opaco di riprodurre lo spirito dei bei tempi di Zuma.  
Marco Grompi, “Neil Young”

 
Broken Arrow vede il nostro di nuovo in compagnia dei Crazy Horse, che per me sono la sua spalla ideale, si apre con due pezzi alla Neil Young vecchia maniera, con tempi dilatati e furiosi assoli di chitarra, che fanno presagire grosse cose, poi pian piano il disco prende altre pieghe e lentamente si spegne, comunque una ascoltatina se la merita, se non altro per gli otto minuti di...  
web

 
Proprio come la vecchia canzone dei Buffalo Springfield, che ormai risale a trent'anni fa: così Neil Young ha intitolato il disco nuovo registrato insieme ai Crazy Horse. E con precedenti quali Weld e Sleeps With Angels c'era da aspettarsi un gran disco, cosa che Broken Arrow invece non è. Strano, siccome le ultime avventure "elettriche" del personaggio sembravano averlo rinvigorito e proiettato verso una seconda giovinezza, tanto da spingere i lanciatissimi Pearl Jam ad allearsi temporaneamente con lui. Spiega eloquentemente che cosa non funziona in Broken Arrow l'episodio conclusivo: una fiacca e arruffata versione dal vivo dello standard “Baby What You Want Me To Do” di Jimmy Reed. Il gruppo suona con indolenza, Neil Young pare svagato e l'originale verve "errenbì" del brano si stempera in un'anonima opacità rock. Sono proprio quelli - ignavia, indeterminatezza, negligenza - i difetti che danneggiano Broken Arrow, smorzando le velleità epiche dell'iniziale “Big Time” e rendendo quasi caricaturale il country rock abbozzato in “Changing Highways”. Le stimmate del suono "younghiano" sono tutte al loro posto, dalle strazianti sequenze di accordi chitarristici al fragile timbro vocale passando per l'inconfondibile soffio melodico dell'armonica, ma non valgono da sole a conferire al disco la "santità" del classico. Esemplare, da questo punto di vista, è “Loose Ch’ange”: tipico tema rock in minore esposto come pretesto per avventurarsi poi in un estenuante jam collettiva. Lo stesso procedimento che in altre occasioni aveva generato archetipi quali “Cortez The Killer” e “Like A Hurricane” produce qui musica destinata ad avvitarsi su sé stessa senza scopo né idee. Salvano l'album dal naufragio l'intensità emotiva di “Scatterei”, ballata desolata ma non desolante, e “This Town” che nella sua sintetica sobrietà dice più cose a proposito di Neil Young di quante ne comunichi il resto di Broken Arrow. 
musicclub.it

 
I Crazy Horse si unirono di nuovo a Young per Broken Arrow (Reprise, 1996), che è, fondamentalmente, una versione più convenzionale di Dead Man: ogni "canzone" è un pezzo ambient che vaga per un universo psicologico. Young riafferma la propria leadership verso le nuove generazioni (inventò lo "slo-core" nel 1968, dopotutto). Metà dell'album può essere considerata un capolavoro: “Big Time”, “Slip Away” e “Loose Change”. L'altra metà è sostanzialmente un EP di avanzi da un progetto molto più ambizioso (“Changing Highways” è il più soddisfacente). 
Piero Scaruffi

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