Stephen Stills: Man Alive! - Rassegna Stampa
Era dal 1991, da Stills Alone, un discreto album acustico, che Stephen Stills non faceva un disco come solista. E le prove precedenti, Thoroughfare Gap del 1978 ed il pessimo Right By You del 1984, non facevano certo ben sperare. Man Alive ! invece ci riporta indietro di trenta e passa anni, al primo album solista del nostro, l'omonimo Stephen Stills, a Stills 2 ed anche al capolavoro Manassas. Stills torna ad essere sè stesso, mischia le carte, propone generi diversi ma cosegna un disco vero, senza cadute di tono, senza canzoni brutte, senza arrangiamenti di cattivo gusto. Man Alive ! nasce da quasi venti anni di pensamenti e ripensamenti e, pur essendo stato inciso di recente ( a parte qualche canzone ), ci riporta allo Steve Stills che abbiamo sempre amato. Ci sono almeno cinque canzoni di grande spessore ed il resto non è certo di qualità inferiore. Basterebbero Different Man con Neil Young o la strepitosa , tra musica latina ed amosfere jazzate, Spanish Suite a fare la differenza, ma poi abbiamo il blues Piece of Me, il cajun Acadienne, la caraibica Feed The People, l'errebi Ole Man Trouble. Come avete potuto capire ci troviamo di fronte ad un disco vero. Stephen riunisce attorno a sè un gruppo di fidi collaboratori : Joe Vitale, Mike Finnigan, George " Chocolate " Perry, George Terry, Russ Kunkel, Gerald Johnson, Jimmy Zavelo e poi aggiunge qualche ospite importante : oltre a Young abbiamo Herbie Hancock, dominatore della Spanish Suite e Graham Nash. Ain't It Always apre le danze in modo consueto. Una ballata rock tesa e decisamente classica. Non un brano innovativo ma decisamente godibile ed intenso che si avvale di un bel gioco di voci, del cantato di Stephen e dell'organo di Mike Finnigan in decisa evidenza. Più interessante Feed The People dove Stephen mischia sonorità caraibiche con intuizioni rock, e ci regala una canzone fresca e godibile, molto orecchiabile, sulla linea delle cose più easy di Jimmy Buffett. Una canzone che potrebbe ridargli il successo. Hearts Gate è molto espressiva e gioca le sue carte su una melodia profonda, una vocalità intensa ed un arrangiameno scarno: Stills voce e chitarra, come non lo sentivamo da tempo. Da sola vale più di tutto Stills Alone. Round The Bend è rock allo stato puro : chitarre in grande spolvero, ritmica solida, ed una ballata tosta di impianto quasi sudista con Neil Young che duetta alla chitarra con il protagonista nella miglior rock song del disco. I Don't Get It, sempre elettrica, mostra un altro volto della musica del nostro : dal punto di vista mnelodico è ben costruita e l'arrangiamento è esessenziale. Accattivante il ritornello che la fa piacere al primo ascolto. Around Us mischia rock e solarità, non è particolarm,ente originale, ma è cantata bene e suonata con gusto. Un cenno a parte per Old Man Trouble , una soul ballad di antiche tradizioni, scritta da Booker T Jones. Qui Stills tira fuori il meglio dalla sua voce ancora potente e porta a termine una canzone di grande spessore che conferma la ritrovata vena dell'esecutore . Different Man è un traditional riveduto e corretto da Stills : nuovo arrangiamento e nuove liriche, con Neil Young che doppia la voce del nostro. Una splendida performance per una canzone che riesce ad emozionare profondamente. Piece of Me sta in un'area folk blues, è ancora acustica e mantiene alta la tensione. Wounded World è una robusta composizione di estrazione rock blues, elettrica e pulsante. Stills e la sua band, molto buono il lavoro di Finnigan alle tastiere, confermano il buon momento. Drivin' Thunder è un up tempo rock di impianto classico, con la band che gira in modo perfetto. Acadienne, il brano che non ti aspetti, è una canzone cajun in tutto e per tutto, che il nostro ha scritto ed interpretato con molta voglia. Un cajun waltz che potrebbe stare a pennello in un disco di Zachary Richard o del primo Daniel Lanois, ma è invece Stephen Stills che canta come un consumato cajun ed arrangia il brano con gusto ben coadiuvato a Nash, Finnigan, Vitale e tutta la gang. Un cenno a parte per Spanish Suite. Più di undici minuti, splendidi, in cui il nostro mischia influenze latine ( il nostro non è nuovo a queste cose ), con una base abbastanza jazzata. Intro latino, Steve canta in spagnolo, e la canzone che si sviluppa come una tipica latin ballad con l'autore che interpreta la struggente melodia. Poi il brano cambia registro : la tromba di Steve Madeo apre la melodia, Steve canta in inglese. Dopo circa quattro minuti il ritmo aumenta, la melodia diventa ancora più bella ed intensa e i musicisti entrano lentamente, uno dopo l'altro,sino a che Herbie Hancopck non diventa il leader e porta la canzone verso una tematica più jazzata, intrattenendo l'ascoltatore con una serie di assoli da capogiro. Una canzone di grande respiro che conferma la ritrovata vena del suo autore, dopo un lungo periodo di stasi creativa.
Gli
amici e i compagni di una vita ci sono quasi tutti: Neil Young e Graham
Nash, Joe Lala e Russ Kunkel, Joe Vitale e persino Herbie Hancock.
All'appello manca giusto David Crosby, ma forse la sua assenza ha
permesso a Stephen per non sentirsi obbligarlo a tirare in ballo la
storica sigla C.S.N.& Y. Soprattutto per quello che invece è
"soltanto" il suo nuovo album in studio, il primo da Stills Alone, 14
anni fa. Se poi vogliamo anche considerare che Stephen Stills non
incideva con una band intorno a sé dai tempi di 'Right By Now' (1984),
ecco che questo suo ritorno giustifica il crescente interesse intorno al
suo nuovo progetto discografico. Ebbene, Man Alive! appare fin dalle
prime battute ben determinato e attrezzato a soddisfare le migliori
aspettative. Chitarre e tastiere danno al rock di Ain't It Always
quell'andamento incalzante che appartiene alle pagine più incisive del
repertorio di Stills. E se le armonie vocali che introducono la
successiva Feed The People hanno la forza di suggestione dei classici
targati C.S.N.& Y., Hearts Gate ha dal canto suo il pregio di
restituirci il lato più cantautorale del musicista texano. Giusto
qualche attimo prima di ricomporre in 'Round The Bend il sodalizio con
Neil Young e dare ancora una volta libera stura a tutta l'energia e al
dinamismo dei loro duetti chitarristici. Laddove Drivin' Thunder torna a
dividere a metà i crediti della composizione e Different Man a ribadire
le comuni passioni per le radici blues della loro musica. Acadienne e
Spanish Suite in chiusura di programma sono rispettivamente un felice
omaggio alla musica cajun e un itinerario ad ampio raggio in quella
riserva latin che costituisce da sempre una delle vene più ricche
dell'ispirazione di Stills. L'"uomo", insomma, è più che mai "vivo" e
vitale come vuole il titolo. E l'artista è in gran spolvero.
Quanti... secoli senza un disco da solista di Stephen Stills? Oddio, non che se ne sia sentita la mancanza nei quindici anni da “Stills Alone”, siccome il nostro uomo in proprio non ha regalato prove memorabili nemmeno nei tempi eroici a ridosso della prima, grande epopea con Crosby, Nash e Young. Al massimo qualche canzone graziosa nel contesto di lavori dignitosi e nulla più, eppure premiati all’inizio da un enorme successo di pubblico. Era un’altra epoca e che “Man Alive!” - titolo fuorviante e copertina orrenda - non esca per una major, bensì per una piccola etichetta covo di reduci, la dice lunga su quanto poco rilevante sia oggi Stills commercialmente. Ironico che il suo potenziale mercantile si sveli subito elevato e che artisticamente l’album sia solido come non ci si sarebbe mai aspettati. Pur vero che qualche sforbiciata gli avrebbe giovato soprattutto verso il fondo - “Drivin’ Thunder” è fastidiosamente rutilante, “Acadienne” caruccia ma da cartolina, la “Spanish Suite” soccombe all’eccesso di ambizioni sebbene l’ospite Herbie Hancock vi faccia la sua porca figura -, il disco è il suo migliore almeno dai Manassas, di cui riprende qualche eco latina, in qua. Una piccola festa di blues elettrico e reggae, funky, gospel e rock bell’acuminato.
Eddy Cilìa
Paolo Carù, Buscadero
L'uomo
è vivo, titola con squisita autoironia il signor Stills il suo primo
disco in 14 anni: medesimo understatement del «canzoni per
sopravvissuti» di Nash, o del «guardare avanti», premiata ditta Crosby,
Stills, Nash & Young. I compagni di suono della California ruggente e
libertaria ci sono quasi tutti, in questo bel lavoro, l'apporto più
significativo lo fornisce il vecchio coyote Neil Young. 13 brani, fra
robusti ed ineguagliati tintinnii acustici con splendide armonizzazioni
vocali, zampate rock da leone stagionato, ma ben in forze, e un atout
finale di assoluta bellezza: i 12 minuti della Spanish Suite, con Herbie
Hancock al piano. Con le ombre benedicenti di Miles Davis da un lato, e
di Ry Cooder dall'altro. Gran disco, insomma, e bentornato.
Guido Festinese, Il Manifesto
di Elio Bussolino
No!
il tempo sembra non essere passato per il caro vecchio Steve al punto
che questo nuovo album, “Man Alive “, talmente tanto atteso che Stills
ci aveva fatto dimenticare la data di pubblicazione, potrebbe essere
stato inciso anche 25 anni fa. “Man Alive“ è il miglior disco di Stills
dai tempi di “Illegal Stills“. Nel panorama attuale suona fresco,
contemporaneo, frizzante, al confronto di certi suoi capolavori solisti –
se riascoltati – invece sfigura. Mancano i grandissimi pezzi di una
volta (e chi li scrive più?…) e l’effetto vent’anni. In comprenso – e
questa è una grande buona nuova per Il Popolo del Blues – è un gran bel
disco di Blues con qualche variazione altrove. Non c’è tempo però oggi
per preoccuparsi di queste cose e conta solo attendere la tournée
italiana per capire quale Stills abbiamo ascoltato su disco: se
l’istrionico autore, l’artista super sensibile di talento o l’ubriacone
che mi invitò a un giro di sette Martini in due la mattina alle 12
all’aereoporto di Fiumicino nel luglio 1980. Così con l’inconfondibile
voce cartavetrata Stephen passa attraverso blues, grooves latini,
ballate strappacuore e si porta con sé quell’indolenza che in CSN & Y
faceva la differenza. I brani migliori sono quelli dove il blues esce
prepotentemente (“Ol’man Trouble” di Booker T. Jones) o fa solo capolino
(“i don’t get") e l’eclettico “Spanish Suite “ registrata di certo
nella prima metà dei settanta (il percussionista Willie Bobo è morto nel
1977…) che fa un po’ pensare che tanta carne al fuoco che ascoltiamo in
“Man Alive “ sia solo materiale di antica provenienza. Neil Young è il
valore aggiunto all’intera raccolta con due contributi importanti: il
tradizionale “Different man “, molto roots nel suo incedere circolare e
“Around us” una vero brano in cui i due si guardano negli occhi e tirano
fuori il meglio di se stessi. Tutto il resto è letteratura intorno a
questo “Man Alive“. Confermiamo che l’uomo sia vivo e il resto si spera
poterlo raccontare tra poco, dopo gli show. Con il grande Mike Finnigan
all’hammond in gran spolvero (suona in “Electric Ladyland” di Jimi
Hendrix, ecco la connection…), Russ Kunkel dietro ai tamburi, Joe
Vitale, i sudisti George Terry, George Perry, Joe Lala e Gerald Johnson a
fare da contorno e a rinverdire vecchie esperienze, l’album scorre
comunque bene e vive meglio senza paragoni. Che lascerebbero inoltre il
tempo che trovano.
Ernesto De Pascale, www.ilpopolodelblues.comQuanti... secoli senza un disco da solista di Stephen Stills? Oddio, non che se ne sia sentita la mancanza nei quindici anni da “Stills Alone”, siccome il nostro uomo in proprio non ha regalato prove memorabili nemmeno nei tempi eroici a ridosso della prima, grande epopea con Crosby, Nash e Young. Al massimo qualche canzone graziosa nel contesto di lavori dignitosi e nulla più, eppure premiati all’inizio da un enorme successo di pubblico. Era un’altra epoca e che “Man Alive!” - titolo fuorviante e copertina orrenda - non esca per una major, bensì per una piccola etichetta covo di reduci, la dice lunga su quanto poco rilevante sia oggi Stills commercialmente. Ironico che il suo potenziale mercantile si sveli subito elevato e che artisticamente l’album sia solido come non ci si sarebbe mai aspettati. Pur vero che qualche sforbiciata gli avrebbe giovato soprattutto verso il fondo - “Drivin’ Thunder” è fastidiosamente rutilante, “Acadienne” caruccia ma da cartolina, la “Spanish Suite” soccombe all’eccesso di ambizioni sebbene l’ospite Herbie Hancock vi faccia la sua porca figura -, il disco è il suo migliore almeno dai Manassas, di cui riprende qualche eco latina, in qua. Una piccola festa di blues elettrico e reggae, funky, gospel e rock bell’acuminato.
Eddy Cilìa