Mimmo Locasciulli: Benvenuti nel futuro
servizio tratto dagli articoli di: Giampiero Cappellaro ("L'isola che non c'era" n.10/1998) e Maurizio Gregorini ( "Italia Sera" - 9 maggio 1998 - rubrica "lo spettacolo" )
È un uomo semplice, non ci sono dubbi. E uno dei personaggi storici della canzone d'autore che conta, figlio di quel segno di un mondo diverso in cui ha ancora un senso chiedersi il perché. Mi è sempre piaciuta la sua scontrosità, il suo stare al di fuori dalla mischia: come, del resto, si vuole che sia per un artista in regola con i quattro quarti di nobiltà creativa. Il suo nuovo album, "Il futuro", è in realtà un ritorno al passato, ai suoi grandi maestri, i vari Cohen, Dylan, De Ville, Young, Costello, Waits, con il suo carico di sentimenti profondi, non sempre rassicuranti ma, in ogni caso, reali. Per noi è uno dei grandi. E tanto basta. Un album strutturato da undici canzoni, nove cover e due inediti. Un lavoro complicato se lo si accosta alla serietà di un ricercatore, alla pazienza di un musicologo, alla pignoleria di uno studioso di semantica, alla curiosità di un antropologo e alla fedeltà di un traduttore. Realizzare oggi delle belle cover è impresa difficile; certo è che "Il futuro" appare uno dei suoi dischi più felici, proprio perché Mimmo Locasciulli è riuscito ad entrare nel mondo dei suoi amati autori, omaggiandoli come solo un fedele ascoltatore sa fare. In sintesi Locasciulli s'è impossessato della tecnica poetica di autori studiati in loro ogni singola profondità, non uscendone affatto passivo, ma rendendo sue cose che ora appaiono come vere e proprie nuove canzoni.
Dopo tre anni dall'uscita di "Uomini" ecco "II futuro", un album composto quasi completamente da cover, un personale tributo ad alcuni degli artisti più importanti della nostra epoca. Come mai questa scelta? Sai, c'è chi dice che devo molto a loro, ma è un errore. In realtà gli devo tutto, perché credo che se non fossero esistiti nemmeno io sarei stato quel che sono. Comunque tutto nasce da Uomini. Avevo appena finito il disco e lo stavo facendo ascoltare ai miei discografici. I soliti convenevoli, le classiche battute di queste occasioni d'incontro poi, d'improvviso, il giudizio di uno di loro: "Sembra un disco tipico degli autori rock americani...". Mi scocca la scintilla... ma sì, è proprio vero. Negli anni precedenti, a parte l'incursione del digital-pop di Clandestina, ero sempre andato in direzioni musicali diverse. Avevo sperimentato i fiati, le fisarmoniche e, un pò, dimenticato la mia vera origine. il mio suono, i miei inizi al FolkStudio quando ponevo le chitarre elettriche su quelle acustiche, l'organo sul pianoforte...
Per quale ragione un disco in cui sono ospitate molte cover? Per anni, durante il soundceck dei miei concerti (spesso vi assiste una parte di pubblico), per non far ascoltare ciò che avrei proposto più tardi, eseguivo delle cover (non comprese però in quest'album). Canzoni di Dylan, Waits, Simon & Carfunkel e via dicendo. Così, quasi per gioco, ho deciso di fare questo album di cover, senza la presunzione di realizzare niente di straordinario, ma semplicemente qualcosa che rispondesse a un modo un po' diverso ma pur sempre totalmente mio di esprimermi, di fare la mia musica. Spero non risulti troppo irriverente, in fondo è solo un omaggio, la possibilità di esprimere la mia gratitudine a questi artisti. Il problema consisteva nel non rendere superficiali o ridicole composizioni importanti che nella loro traduzione in italiano avrebbero di certo sofferto. Così ho optato per quelle meno conosciute, anche se significative. Per quelle, insomma, che potevo rendere mie".
Come è avvenuta la scelta dei brani?
È stato un lavoro lungo ed estenuante. Sono partito da una scelta iniziale di circa quaranta canzoni per arrivare poi, dopo tre anni di lavoro, alla selezione di una quindicina di brani confacenti, come spirito e cultura, al mio progetto. Ho evitato con cura di andarmi a confrontare con grandi classici, per capirci del calibro di Blowin In The Wind, scegliendo brani meno famosi, ma ugualmente importanti. Purtroppo non ho potuto includere tutti i brani prescelti, perché per alcuni non ho avuto l'autorizzazione degli autori.
Ma come, in Italia ognuno canta quello che vuole...
Sì, ma per fare una traduzione devi avere un'autorizzazione, che ti assicuro, non è facile avere. E, purtroppo, così mi è saltato il pezzo di Paul Simon.
Qual è il brano di Simon che avevi scelto?
The Dangling Conversation, che ho tradotto, cantato, registrato e missato, ma poi ho dovuto accantonare per i motivi che ti ho detto. Purtroppo con lui c'era stato un precedente di un tributo italiano, con testi mal tradotti, che gli aveva dato molto fastidio. Ho provato in tutti i modi a convincerlo, ma non c'è stato niente da fare. E poi è rimasta fuori un'altra canzone a cui tenevo molto: Gipsy di Stevie Nicks dei Fleetwood Mac. Peccato, perché la mia versione, senza sembrare troppo presuntuoso, è bellissima ma al momento di consegna- re il master, non sono riuscito ad avere in tempo questa benedetta autorizzazione perché Stevie Nicks era in tour con il gruppo.
Non è un rischio, nell'Italia canzonettara "omologata" di oggi, fare un disco di canzoni "pesanti", di grande contenuto e sentimento?
Ti rispondo in maniera differente. Credo che l'Italia sia un'isola a parte nel mondo e che molta della musica che ascoltiamo qui in nessun altro posto avrebbe ragione d'esistere. E la colpa non è solo degli artisti, ma di tutto il sistema che "provincializza" brutalmente la nostra proposta musicale. Di contro, non credo di essere con Il futuro così "fuorì. È che la collocazione è l'ultimo dei miei pensieri e, semmai, m'interessa fare una cosa forte, matura, magari vera...
Hai avuto problemi per l'approvazione delle tue versioni da parte degli autori?
"Posso dire che il più esigente è stato Neil Young. Gli ho mandato il fax con la traduzione della mia versione (cosa che ho dovuto fare con tutti) e lui me lo ha "rispedito con ben ventuno sottolineature. In un preciso punto mi ero permesso di scrivere: ventun'anni ancora non ho, al posto di: ho appena compiuto ventun'anni. Niente, non me l'ha passata, e inoltre ha preteso che il titolo restasse lo stesso, Powderfinger, appunto. Certo, ottenere una licenza non è semplice: dipende sempre da come la tua sensibilità riesce a filtrare altrui, da come sposi la tua espressività con la loro: in poche parole se gli piaci. Ma mettiamola così: io mi sono avvicinato con lo spirito di un uomo che in tanti anni ha costruito la sua casa, vi ha messo dentro i mobili che gli piacevano, quel quadro o tappeto specifico. Un uomo che poi s'è affezionato alla crepa del muro, al rubinetto che fischia e ha poi deciso d'andare a casa d'altri per riportare qualche idea dentro casa sua, fondendola col proprio ambiente. Intendo dire che simile rapporto non può essere a senso unico: puoi prendere, ma devi restituire con gli interessi, che in questo caso sono il senso del tuo mondo, della tua appartenenza. Ma la cosa più importante di questo disco è che per la prima volta non ho avuto mediazione alcuna con produttori o ingegneri del suono. Vi ho lavorato molto tempo e ciò che si ascolta è esattamente ciò che intendevo si sentisse. Se piacerà o no, è un altro discorso".
Come è avvenuta la scelta dei brani?
È stato un lavoro lungo ed estenuante. Sono partito da una scelta iniziale di circa quaranta canzoni per arrivare poi, dopo tre anni di lavoro, alla selezione di una quindicina di brani confacenti, come spirito e cultura, al mio progetto. Ho evitato con cura di andarmi a confrontare con grandi classici, per capirci del calibro di Blowin In The Wind, scegliendo brani meno famosi, ma ugualmente importanti. Purtroppo non ho potuto includere tutti i brani prescelti, perché per alcuni non ho avuto l'autorizzazione degli autori.
Ma come, in Italia ognuno canta quello che vuole...
Sì, ma per fare una traduzione devi avere un'autorizzazione, che ti assicuro, non è facile avere. E, purtroppo, così mi è saltato il pezzo di Paul Simon.
Qual è il brano di Simon che avevi scelto?
The Dangling Conversation, che ho tradotto, cantato, registrato e missato, ma poi ho dovuto accantonare per i motivi che ti ho detto. Purtroppo con lui c'era stato un precedente di un tributo italiano, con testi mal tradotti, che gli aveva dato molto fastidio. Ho provato in tutti i modi a convincerlo, ma non c'è stato niente da fare. E poi è rimasta fuori un'altra canzone a cui tenevo molto: Gipsy di Stevie Nicks dei Fleetwood Mac. Peccato, perché la mia versione, senza sembrare troppo presuntuoso, è bellissima ma al momento di consegna- re il master, non sono riuscito ad avere in tempo questa benedetta autorizzazione perché Stevie Nicks era in tour con il gruppo.
Non è un rischio, nell'Italia canzonettara "omologata" di oggi, fare un disco di canzoni "pesanti", di grande contenuto e sentimento?
Ti rispondo in maniera differente. Credo che l'Italia sia un'isola a parte nel mondo e che molta della musica che ascoltiamo qui in nessun altro posto avrebbe ragione d'esistere. E la colpa non è solo degli artisti, ma di tutto il sistema che "provincializza" brutalmente la nostra proposta musicale. Di contro, non credo di essere con Il futuro così "fuorì. È che la collocazione è l'ultimo dei miei pensieri e, semmai, m'interessa fare una cosa forte, matura, magari vera...
Hai avuto problemi per l'approvazione delle tue versioni da parte degli autori?
"Posso dire che il più esigente è stato Neil Young. Gli ho mandato il fax con la traduzione della mia versione (cosa che ho dovuto fare con tutti) e lui me lo ha "rispedito con ben ventuno sottolineature. In un preciso punto mi ero permesso di scrivere: ventun'anni ancora non ho, al posto di: ho appena compiuto ventun'anni. Niente, non me l'ha passata, e inoltre ha preteso che il titolo restasse lo stesso, Powderfinger, appunto. Certo, ottenere una licenza non è semplice: dipende sempre da come la tua sensibilità riesce a filtrare altrui, da come sposi la tua espressività con la loro: in poche parole se gli piaci. Ma mettiamola così: io mi sono avvicinato con lo spirito di un uomo che in tanti anni ha costruito la sua casa, vi ha messo dentro i mobili che gli piacevano, quel quadro o tappeto specifico. Un uomo che poi s'è affezionato alla crepa del muro, al rubinetto che fischia e ha poi deciso d'andare a casa d'altri per riportare qualche idea dentro casa sua, fondendola col proprio ambiente. Intendo dire che simile rapporto non può essere a senso unico: puoi prendere, ma devi restituire con gli interessi, che in questo caso sono il senso del tuo mondo, della tua appartenenza. Ma la cosa più importante di questo disco è che per la prima volta non ho avuto mediazione alcuna con produttori o ingegneri del suono. Vi ho lavorato molto tempo e ciò che si ascolta è esattamente ciò che intendevo si sentisse. Se piacerà o no, è un altro discorso".
Il futuro è la traduzione che De Gregori ha fatto di The Future, un pezzo di Leonard Cohen. Ricordo, a proposito di quest'ultimo, un'intervista in cui diceva che questo brano non era poi così negativo...
Beato lui... per me Il Futuro è un pezzo duro, amaro e drammaticamente vero.
Personalmente ho una grande considerazione del futuro, in senso generale, e amo pochissimo il passato, di cui posso conoscere tutto tramite la storia, la lettura. Poi bisogna distinguere quale tipo di futuro. Se parli del futuro prossimo...
allora cambia tutto. Noi viviamo in mezzo a una rivoluzione senza rendercene conto. Televisione, Internet, un sistema di comunicazione deviato... e la gente, che sta sempre più in casa, subisce tutto. È la rivoluzione della "noncomunicazionè, dove non c'è passaggio di messaggio. E il risultato è una incultura, una ignoranza, una cattiva educazione. Quindi, se guardo al futuro prossimo sono molto preoccupato, altroché.
Anche il resto del disco non brilla per ottimismo...
Non è pessimismo, ma la presa di coscienza della pochezza del tempo che viviamo. Emblematiche sono Andiamo verso il niente (Road To Nowhere di David Byrne) e Serie di sogni (Series Of Dreams di Bob Dylan), perché "corriamo verso il niente" e "niente diventa realtà". Anche se questa non è l'unica componente del disco. C'è l'amore stralunato di China la testa (Tom Waits), il sarcasmo pungente di Sono i soldi che amo, l'invettiva di Vita da scemo di Costello, il racconto cinematografico di Powderfinger, cantato in coppia con uno "sconosciuto", tale Cereno Diotallevi, un talento (!!)... e due pezzi nuovi miei in sintonia con il resto. Nel Il cielo era lì sembra quasi di percepire una forma d'emozione nel cantato. Eh sì, questo è un brano che mette davvero i brividi. L'originale di Willy De Ville, Heaven Stood Still, è un autentico miracolo di emozioni, la forza drammatica che trasmette una grande canzone d'amore. Nel tradurla sono rimasto impressionato dalla profondità del sentimento: in un rigo capisci che tutta la speranza della sua vita è una notte da ricordare... Come fai a non commuoverti per tale grandezza?
Dal punto di vista sonoro c'è il ritorno alla classicità dei tuoi primi dischi. È dipeso dalla scelta di produrti in prima persona?
Quello di non avere un fonico è la grande libertà che mi sono concesso. Dopo anni e anni dove lasciavo il compito ad altri, finalmente ho provato con questo album a mettere le mani sulle manopole. Così non me la devo prendere con nessuno e il suono è quello che dico io. Penso di non sbagliare dicendo che i riferimenti più evidenti sono proprio quelli dei miei primi album, i più spon tanei e diretti, senza troppe manipolazioni. E devo dire che in questo mi hanno aiutato anche i musicisti che hanno lavorato con me. In primis il mio trio base, composto dalla sezione ritmica romana per eccellenza: Massimo Buzzi e Mario Scotti, rispettivamente basso e batteria, e un giovane formidabile chitarrista, Paolo Giovenchi. A loro debbo un certo tipo di sonorità, perché n bastano gli arrangiamenti e le canzoni per fare un grande album: servono buoni musicisti, dotati di tocco e sensibilità.
Non hai pensato che sarebbe stato più unitario fare un album di brani tradotti solo di Dylan o Cohen o di un altro unico autore?
No, perché con più autori hai tante sfaccettature, tante idee, varie soluzioni. Il denominatore comune è sempre uno solo: la propria voce. Tu puoi fare quello che vuoi ma, alla fine, la gente accende la radio o lo stereo e la prima cosa che riconosce è la voce, ti identifica con quella.
In questo disco è limitato l'intervento di Greg Cohen.
Greg è sempre nel mio cuore, ma in questo disco c'è più basso elettrico che contrabbasso. Poi lui aveva tantissimi impegni quando ho cominciato a registrare e comunque, nel pezzo di De Ville c'è, non poteva non esserci.
Si fa un gran parlare della figura del cantautore. Secondo te esiste ancora?
Per fortuna sì. malgrado ci sia chi si ostina a parlare della morte del cantautore. 1 giornali più titolati non fanno che strillarlo, tanto che alla fine qualcuno ci crede pure. Ritengo che, ad esempio, negli ultimi siano anche nati cantautori moderni e bravissimi come Jovanotti, Gianluca Grignani e, fra le donne, Carmen Consoli. E invece leggi che la musica italiana è solo un certo tipo di band.
Eppure c'è una parte della critica che promuove a pieni voti questa nuova ondata di rock italiano.
Guarda che non ho preconcetti con il "progresso" perché, tanto per fare un nome, il pezzo di Fankie Hi-Nrg è bellissimo. Quelli che ben pensano lo annovererei tra i brani più belli degli ultimi anni. Purtroppo, di questa nuova ondata, come dicevi tu, mi sembrano poche le "cosè che hanno un peso. È il modo di comporre che mi lascia perplesso e, forse, manca anche un pò di cuore. lo credo nel progresso, nel dover guardare avanti e nell'aiuto che questo ti può dare, ma non nell'essenzialità fine a se stessa.
C'è un album della tua discografia a cui sei più affezionato?
Ce ne sono tre, veramente. In assoluto l'album che amo di più è il primo, quello del "FolkStudio". Voce e chitarra, sgraziato, forse per questo indimenticabile come il primo amore. Un disco a cui sono visceralmente legato anche per i motivi che mi legavano a Cesaroni, proprietario del FolkStudio e recentemente scomparso.
Gli altri due album che mi piace ricordare sono Intorno a trent'anni e Tango dietro ìangolo. Intorno a trent'anni è il disco della maturità, della prima grande affermazione. Tango dietro l'angolo mi ha aperto le porte dell'Europa, mi ha regalato molte soddisfazioni.
C'è ancora spazio per gli artigiani della canzone che fanno più coscienza che opinione, che lasciano poco spazio all'apparenza, ma impegnano di più il cuore e la mente, in piena libertà d'espressione?
È una domanda impegnativa, posso rispondere solo per me stesso.
Ho la fortuna di non dover render conto a nessuno della mia ispirazione, faccio ancora il medico e questo mi consente d'inventare musica ancora "quasi" solo per passione Io posso affrontare con serenità il rischio successo-insuccesso, altri non hanno questa possibilità.
Beato lui... per me Il Futuro è un pezzo duro, amaro e drammaticamente vero.
Personalmente ho una grande considerazione del futuro, in senso generale, e amo pochissimo il passato, di cui posso conoscere tutto tramite la storia, la lettura. Poi bisogna distinguere quale tipo di futuro. Se parli del futuro prossimo...
allora cambia tutto. Noi viviamo in mezzo a una rivoluzione senza rendercene conto. Televisione, Internet, un sistema di comunicazione deviato... e la gente, che sta sempre più in casa, subisce tutto. È la rivoluzione della "noncomunicazionè, dove non c'è passaggio di messaggio. E il risultato è una incultura, una ignoranza, una cattiva educazione. Quindi, se guardo al futuro prossimo sono molto preoccupato, altroché.
Anche il resto del disco non brilla per ottimismo...
Non è pessimismo, ma la presa di coscienza della pochezza del tempo che viviamo. Emblematiche sono Andiamo verso il niente (Road To Nowhere di David Byrne) e Serie di sogni (Series Of Dreams di Bob Dylan), perché "corriamo verso il niente" e "niente diventa realtà". Anche se questa non è l'unica componente del disco. C'è l'amore stralunato di China la testa (Tom Waits), il sarcasmo pungente di Sono i soldi che amo, l'invettiva di Vita da scemo di Costello, il racconto cinematografico di Powderfinger, cantato in coppia con uno "sconosciuto", tale Cereno Diotallevi, un talento (!!)... e due pezzi nuovi miei in sintonia con il resto. Nel Il cielo era lì sembra quasi di percepire una forma d'emozione nel cantato. Eh sì, questo è un brano che mette davvero i brividi. L'originale di Willy De Ville, Heaven Stood Still, è un autentico miracolo di emozioni, la forza drammatica che trasmette una grande canzone d'amore. Nel tradurla sono rimasto impressionato dalla profondità del sentimento: in un rigo capisci che tutta la speranza della sua vita è una notte da ricordare... Come fai a non commuoverti per tale grandezza?
Dal punto di vista sonoro c'è il ritorno alla classicità dei tuoi primi dischi. È dipeso dalla scelta di produrti in prima persona?
Quello di non avere un fonico è la grande libertà che mi sono concesso. Dopo anni e anni dove lasciavo il compito ad altri, finalmente ho provato con questo album a mettere le mani sulle manopole. Così non me la devo prendere con nessuno e il suono è quello che dico io. Penso di non sbagliare dicendo che i riferimenti più evidenti sono proprio quelli dei miei primi album, i più spon tanei e diretti, senza troppe manipolazioni. E devo dire che in questo mi hanno aiutato anche i musicisti che hanno lavorato con me. In primis il mio trio base, composto dalla sezione ritmica romana per eccellenza: Massimo Buzzi e Mario Scotti, rispettivamente basso e batteria, e un giovane formidabile chitarrista, Paolo Giovenchi. A loro debbo un certo tipo di sonorità, perché n bastano gli arrangiamenti e le canzoni per fare un grande album: servono buoni musicisti, dotati di tocco e sensibilità.
Non hai pensato che sarebbe stato più unitario fare un album di brani tradotti solo di Dylan o Cohen o di un altro unico autore?
No, perché con più autori hai tante sfaccettature, tante idee, varie soluzioni. Il denominatore comune è sempre uno solo: la propria voce. Tu puoi fare quello che vuoi ma, alla fine, la gente accende la radio o lo stereo e la prima cosa che riconosce è la voce, ti identifica con quella.
In questo disco è limitato l'intervento di Greg Cohen.
Greg è sempre nel mio cuore, ma in questo disco c'è più basso elettrico che contrabbasso. Poi lui aveva tantissimi impegni quando ho cominciato a registrare e comunque, nel pezzo di De Ville c'è, non poteva non esserci.
Si fa un gran parlare della figura del cantautore. Secondo te esiste ancora?
Per fortuna sì. malgrado ci sia chi si ostina a parlare della morte del cantautore. 1 giornali più titolati non fanno che strillarlo, tanto che alla fine qualcuno ci crede pure. Ritengo che, ad esempio, negli ultimi siano anche nati cantautori moderni e bravissimi come Jovanotti, Gianluca Grignani e, fra le donne, Carmen Consoli. E invece leggi che la musica italiana è solo un certo tipo di band.
Eppure c'è una parte della critica che promuove a pieni voti questa nuova ondata di rock italiano.
Guarda che non ho preconcetti con il "progresso" perché, tanto per fare un nome, il pezzo di Fankie Hi-Nrg è bellissimo. Quelli che ben pensano lo annovererei tra i brani più belli degli ultimi anni. Purtroppo, di questa nuova ondata, come dicevi tu, mi sembrano poche le "cosè che hanno un peso. È il modo di comporre che mi lascia perplesso e, forse, manca anche un pò di cuore. lo credo nel progresso, nel dover guardare avanti e nell'aiuto che questo ti può dare, ma non nell'essenzialità fine a se stessa.
C'è un album della tua discografia a cui sei più affezionato?
Ce ne sono tre, veramente. In assoluto l'album che amo di più è il primo, quello del "FolkStudio". Voce e chitarra, sgraziato, forse per questo indimenticabile come il primo amore. Un disco a cui sono visceralmente legato anche per i motivi che mi legavano a Cesaroni, proprietario del FolkStudio e recentemente scomparso.
Gli altri due album che mi piace ricordare sono Intorno a trent'anni e Tango dietro ìangolo. Intorno a trent'anni è il disco della maturità, della prima grande affermazione. Tango dietro l'angolo mi ha aperto le porte dell'Europa, mi ha regalato molte soddisfazioni.
C'è ancora spazio per gli artigiani della canzone che fanno più coscienza che opinione, che lasciano poco spazio all'apparenza, ma impegnano di più il cuore e la mente, in piena libertà d'espressione?
È una domanda impegnativa, posso rispondere solo per me stesso.
Ho la fortuna di non dover render conto a nessuno della mia ispirazione, faccio ancora il medico e questo mi consente d'inventare musica ancora "quasi" solo per passione Io posso affrontare con serenità il rischio successo-insuccesso, altri non hanno questa possibilità.
POWDERFINGER
Testo e Musica di NEIL YOUNG
Testo italiano di M. LOCASCIULLI
Mamma guarda c’è un battello
Che risale lungo il fiume
Ha un lampeggiante rosso e una bandiera
E un uomo pronto a saltare
È chiaro che non vengono mica
Per la posta da consegnare
Ed è a meno di un miglio da qua
Mi chiedo dove si fermerà
Guarda che fucili che hanno
E che onde che fa
Mio padre se n’è andato
E mio fratello è a caccia su in montagna
Da quando ha perso la moglie
Il guardiano non ragiona più
Ed io sono rimasto solo
A pensare a che fare
E ventuno anni ancora non ce l’ho
Dove andare proprio non lo so
E più la barca si avvicina
Più mi manca il coraggio che ho
Col fucile di mio padre tra le mani
Mi sentivo sicuro
Diceva sempre "Quando vedi rosso
Scappa lontano"
E allora ho visto il primo colpo partire
E ho spianato il mirino
E tutto è diventato nero
La faccia mi è scoppiata nel cielo
E non ho avuto nemmeno un minuto
Per capire perché
Guardami dalla polvere e dal fuoco
Salvami con la forza del pensiero
Ricordati di me per il ragazzo che ero
Che non doveva finire qua
Con tante cose lasciate a metà
Raccontalo al mio amore
Ogni giorno che mi mancherà
©1998 Sub Editore per l’Italia Fortissimo Gruppo editoriale
Che risale lungo il fiume
Ha un lampeggiante rosso e una bandiera
E un uomo pronto a saltare
È chiaro che non vengono mica
Per la posta da consegnare
Ed è a meno di un miglio da qua
Mi chiedo dove si fermerà
Guarda che fucili che hanno
E che onde che fa
Mio padre se n’è andato
E mio fratello è a caccia su in montagna
Da quando ha perso la moglie
Il guardiano non ragiona più
Ed io sono rimasto solo
A pensare a che fare
E ventuno anni ancora non ce l’ho
Dove andare proprio non lo so
E più la barca si avvicina
Più mi manca il coraggio che ho
Col fucile di mio padre tra le mani
Mi sentivo sicuro
Diceva sempre "Quando vedi rosso
Scappa lontano"
E allora ho visto il primo colpo partire
E ho spianato il mirino
E tutto è diventato nero
La faccia mi è scoppiata nel cielo
E non ho avuto nemmeno un minuto
Per capire perché
Guardami dalla polvere e dal fuoco
Salvami con la forza del pensiero
Ricordati di me per il ragazzo che ero
Che non doveva finire qua
Con tante cose lasciate a metà
Raccontalo al mio amore
Ogni giorno che mi mancherà
©1998 Sub Editore per l’Italia Fortissimo Gruppo editoriale
BIOGRAFIA
Mimmo Locasciulli è nato a Penne, in Abruzzo nel 1949. Alla fine degli anni sessanta, dopo esperienze con gruppi beat e rock si avvicina alla musica folk e folk- rock grazie alle frequentazioni con musicisti europei ed americani incontrati a Perugia, sede di una prestigiosa università per stranieri, dove egli studia Medicina. Nel 1971 si trasferisce a Roma ed entra nel cast del Folkstudio, il locale in cui hanno mosso i primi passi anche Antonello Venditti e Francesco De Gregori. Nel 1975 proprio per l'etichetta "Folkstudio" viene pubblicato il suo primo album ("Non rimanere là") cui seguiranno, nel corso degli anni, altri 12 LP (di cui "Quattro canzoni di M.L.", Intorno a trentanni" e "Sognadoro", prodotti da De Gregori). Dal 1981 al 1983 Locasciulli collabora assiduamente con Francesco De Gregori partecipando in qualità di pianista e di artista ospite alla famosa "Tournée del pulmino" del 1981, alla successiva tournèe di Titanic e collaborando, al piano ed alle tastiere, alla realizzazione degli album "Titanic" e "La donna cannone". Nel 1985 partecipa al Festival della Canzone Italiana, categoria "Campioni",con la canzone "Buona Fortuna". Nell'estate dello stesso anno, nel corso della tournèe estiva, realizza un album "live'" cui partecipa, in qualità di ospite, il cantautore Enrico Ruggeri. Per l'occasione i due scrivono, cantano ed incidono insieme la canzone "Confusi in un playback" da cui prenderanno il titolo sia l'album, sia il fortunato tour teatrale che i due artisti intraprenderanno nel finire dell'85. Nel 1987 apre il concerto di Tom Waits in occasione del Premio Tenco assegnato al cantautore californiano, interpretando insieme a Ruggeri la versione italiana di "Foreign affair". Nasce un apporto di amicizia e di collaborazione con Greg Cohen, che di Tom Waits è musical director e contrabbassista e questa collaborazione, tuttora attiva, porta alla realizzazione di quattro album di Locasciulli ("Adesso glielo dico", "Tango dietro l'angolo", "Delitti perfetti", e "Uomini"), realizzati in Italia e negli Stati Uniti con musicisti italiani ed americani (tra cui Marc Ribot, The Uptown Horns, Lenny Pickett, Michael Blair, Charlie Giordano, Willie Schwarz ed altri) e di otto tour in Italia ed in Europa (Austria, Germania. Svizzera, Francia) tra il 1989 ed il 1995. Nel 1992 compone le musiche per l'opera teatrale "Jack lo sventratore" di Vittorio Franceschi, presentata in anteprirna al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Nel 1994 compone l'intera colonna sonora del film di Enzo Monteleone "La vera vita di Antonio H.", interpretato da Alessandro Haber, presente e premiato alla Mostra dei Cinema di Venezia dello stesso anno. "Uomini", disco in cui Locasciulli ritrova le sue prime atmosfere folk-rock, contenente tra l’altro "Il suono delle campane" - scritta e cantata con De Gregori -, viene pubblicato nel Maggio 1995. A tre anni esatti da "Uomini" vede la luce "Il Futuro", album di cover - tributo ai più grandi compositori rock contemporanei, da Dylan a Tom Waits, da Leonard Cohen a Randy Newman, da Elvis Costello a David Byrne ecc.. Anche in questo album Locasciulli e De Gregori (celato sotto lo pseudonimo di Cereno Diotallevi) cantano un brano in duo e per l’occasione scelgono la bellissima "Powderfinger" di Neil Young. All’attività di cantautore Locasciulli alterna quella di produttore: Stefano Delacroix ("Ribelli" , "La legge non vale"), Goran Kuzminac ("Fragole e pugnali"), Claudio Lolli ("Viaggio in Italia") ed Alessandro Haber ("Haberrante", "Qualcosa da dichiarare") sono le sue più recenti produzioni, pubblicate (con distribuzione Sony Music) per la sua etichetta Hobo. Nel Giugno 2002 viene pubblicato il quattordicesimo album dal titolo “Aria di famiglia”, doppio CD commercializzato al prezzo di uno contenente 20 tra le più belle composizioni di Locasciulli (tutte rivisitate negli arrangiamenti) più quattro inediti e più la colonna sonora del film “La vera vita di Antonio H”. Nel disco sono presenti Artisti ospiti quali Enrico Ruggeri (con cui Mimmo ha scritto il brano “Aria di famiglia” ed insieme al quale reinterpreta “Confusi in un Playback”, Paola Turci, insieme alla quale canta “Il suono delle campane”, Andrea Mirò con cui duetta in “Due amiche”, Paolo Fresu, tromba e flicorno in “Ballando” e “Una vita che scappa”, Greg Cohen (contrabbasso) e Francesco De Gregori in qualità di chitarrista acustico.