David Crosby: If I Could Only Remember My Name (1971)
Dopo
una carriera costellata di successi con i Byrds prima e con Stills,
Nash e Young poi, David Crosby per il suo primo disco solista si
circondò di amici musicisti, quasi temesse di camminare da solo. Era il
1971, quando tutti gli artisti principali che avevano dipinto quegli
affreschi musicali della "love generation", forse consapevoli che il
tempo dei sogni ad occhi aperti stava finendo, come in una veglia
funebre organizzata intorno a un falo' notturno, si riunirono all'amico
David Crosby, per consegnare ai posteri l'ultimo colpo di coda di quella
corrente lisergica a cui molti giovani si erano abbeverati come acqua
fresca in periodo di siccita'. Graham Nash, i "Dead" Jerry Garcia, Bill
Kreutzman, Mickey Hart, Phil Lesh, gli "Airplane" Jorma Kaukonen, Paul
Kantner, Grace Slick, Jack Casady, un membro dei "Quicksilver" David
Freiberg, e ultimi di questa prestigiosa lista, ma non certo per
importanza, Neil Young e Joni Mitchell, tutti insieme unirono le voci
insieme a quella di Crosby per formare un unico coro, e sempre insieme
partorirono quell'ultimo, disilluso pensiero su quanto poteva essere e
non era stato. In pratica un ensemble composto dai più grossi nomi della
musica alternativa californiana della seconda metà degli anni ’60,
raccolti in un 1971 in cui quell’ondata musicale, legata in vario modo
ad una confusa idea di ribellione e di protesta sociale che li aveva
visti protagonisti, andava perdendo la propria spinta propulsiva. L'era
del flower power volgeva al termine, i sogni mostravano le loro prime
crepe nel muro fatto di sogni rivoluzionari che andavano piano piano
incrinandosi, mostrando quanto utopistico fosse un mondo fatto solo di
"pace, amore, & musica". I tempi stavano di nuovo cambiando e questo
disco ne è lo specchio. "If I could only remember my name" e' così il
testamento musicale di un'epoca, spazzata via da un vento portatore di
nuovi ideali che soppiantano quelli preesistenti, al punto da farli
apparire gia' vetusti nonostante siano passati solo pochi anni dalla
loro gioiosa ondata rivoluzionaria. Dal primo all'ultimo solco di questo
disco si respira un'atmosfera complice, un'atmosfera che sa di club
privato, ad uso e consumo di pochi intimi, quando la festa e' finita e a
spegnere le luci per ultimi rimangano solo gli amici piu' fedeli,
ignari che quel tramonto premonitore fotografato in copertina possa
segnare la fine di un'epoca. Un sospiro corale di voci amiche soffia un
brano ancora, e quel che riecheggia e' "If I could only remember my
name"."Music is love", ad opera di Crosby/Nash, riprende una bozza già
preparata, che partendo da un inizio dai toni quasi pastorali della
chitarra acustica accompagnato da leggeri battiti di mani, cuore ritmico
pulsante, che segnano il tempo di questa ballata, si sviluppa in una
progressione musicale in cui il coro recita ripetutamente le parole
“music is love” come in una litania corale fra Crosby e Nash. in
perfetto equilibrio tra folk e psichedelia; il testo e' un chiaro
esempio di cosa volesse essere hippie fin dentro le ossa. Cowboy Movie,
registrata praticamente dal vivo in un’unica sessione, invece, e' tutta
farina del sacco di Crosby e richiama fortemente soprattutto nell’intro
gli umori ambigui di Wooden Ships e Almost Cut My Hair. Il cantato e'
nostalgico e graffiante al tempo stesso, il ritmo e' contrassegnato da
un andamento da blues nervoso costellato da tante piccole deviazioni
elettriche che si sovrappongono e si intrecciano tra loro e stoppano la
melodia con un certa regolarita', una peculiarita' questa che impedisce
alla melodia stessa di liberarsi con la conseguenza di rendere piu'
serena la struttura stessa del brano. Grazie proprio a questi
singhiozzanti sbalzi ritmici la canzone si mantiene sotto un luce densa
di inquietudine, a stento repressa, tanto che il finale e' un crescendo
adrenalinico in cui la voce di Crosby cresce in tonalita' perdendo
quella limpidezza di partenza e alternandosi alle unghiate
chitarristiche profonde di Kaukonen, che donano al brano quel crescendo
di elettricita', punto di forza di questa melodia. Si passa poi a
"Tamalpais High", sempre di Crosby: un arpeggio psichedelico sottile e
David che canticchia una melodia senza frasi ci accompagnano in un
paesaggio sognante, camuffando colori e smussando spigoli sonori; la
parte finale, invece, e' contraddistinta da un solismo chitarristico,
che si mantiene volutamente sottotraccia, quasi timoroso di rubare la
scena al protagonista, o forse per non distorcere i tratti somatici di
questa delicata ballata. La successiva "Laughing" e' un classica ballata
psichedelica di Crosby che trasforma lontani echi country in un flusso
incessante di note elettriche. Si apre, o meglio continua il discorso
musicale dal brano precedente, sempre attraverso gli stessi tratti
sereni e lisergici, con una chitarra leggera come un refolo di vento nel
suo accompagnamento, contrassegnato da piccole perle luccicanti di
chitarrismo dal sapore country, piccole toccatine e fuga, che riescono a
donare alla canzone stessa piu' profondita', quasi una eco senza eco.
E' ad opera di Crosby e Young, e di tutta la banda Dead, lo strumentale
"What Are Their Names", che potrebbe benissimo trovar posto in
"Aoxomoxoa" o in "Anthem of the Sun" del Morto Riconoscente: l'acidita'
raggiunge qui le vette piu' allucinate di quel suono che si presta cosi'
bene a esecuzioni fiume in concerti-trance; spicca l'inconfondibile
marchio di Jerry Garcia, quello stile spezzettato teso a disegnare linee
infinite verso la galassia psichica. "Traction In The Rain" e' tutta di
Crosby e si sente, perche' ritorna a galla quel suo fare cosi
dolcemente sognante; il cantanto, invece, e' una dimostrazione di alta
classe, a tratti è soavemente sospirato, in altri frangenti la voce si
erge solo di poco, quel tanto che basta per dare carattere e forma alla
struttura del pezzo, ma e' l'intensita' con cui scandisce le parole che
stupisce: praticamente un recitato emotivo che non solo colpisce ma
trapassa il cuore nella sua grazia vocale. Il brano più suggestivo è
Song With No Words (Tree With No Leaves) in cui, su una splendida trama
in cui il basso di Casady pulsa a intermittenza, senza una regolarita'
ben precisa, ma disegna intrecci musicali di fondo che ben si amalgano
con le sferzate lontane di Kaukonen a cui si aggiunge il pianoforte e
una batteria leggera. Le voci eteree di Nash e Crosby non pronunciano
parole (come dice il titolo), ma si fanno esse stesse strumento musicale
che conduce la melodia della canzone nel suo errare sognante, agitato
solo dal contrappunto elettrico delle chitarre di Crosby, Garcia e
Kaukonen. Come un'atipica opera concettuale, l'album prosegue in
"Orleans", vecchia canzone tradizionale riarrangiata da Crosby in una
versione a cappella che riesce a fondere insieme trame vagamente gospel
con sulfuree note lisergiche arpeggiate in sottofondo. L'ultima canzone
e' un altro strumentale, "I'd Swear There Was Somebody Here", un mantra
evocativo fatto di solo voci che si innalzano e si combattono fra loro,
mischiando il sacro e il profano anche in ambito rock. E' il suggello di
un album epocale, che proprio in queste ultimissime melodie riecheggia i
lirismi liturgici di un rito che si sta concludendo, ma che si
rinnovera' per sempre, ricordandoci di un periodo in cui si credeva che
il sole non tramontasse mai. If I Could Only Remember My Name è così un
album molto contemplativo e “privato”, creazione di Crosby a dispetto
della numerosità di nomi illustri che hanno contribuito alla sua
realizzazione e che tuttavia hanno avuto una parte importante nel fare
di questo disco uno degli ultimi capolavori della psichedelia di quel
periodo. Liberando la canzone da ogni formalità e scavando liberamente
nelle emozioni, Crosby cesella ogni nota dando spazio
all’improvvisazione quanto alla composizione. Le canzoni di questo disco
non cercano una loro compiutezza, ma esplodono con detonazioni
elettriche o scivolano in maniera libera e leggera e più che concludersi
si esauriscono accentuando questa sensazione di non finito. C’è ancora
il sogno del rock, per intero, ma racchiuso in un album che già dal
titolo da il senso dello smarrimento che attanagliava i musicisti di
quella generazione. Crosby smonta e rimonta la forma canzone, spezza e
ricostruisce i sogni generazionali, scrive e canta alcune delle più
belle canzoni della stagione californiana sintetizzando il lavoro di
molti. "If i could…" è un disco di sintesi, una sorta di opera
collettiva, frutto di un lavoro di molti musicisti e di molti anni, che
racchiude il sogno della musica californiana, quello che è stato e
quello che avrebbe potuto essere.
Rockinfreeworld
Se
Blows Against The Empire esprime il sogno di lasciare la Terra per
andare a fondare una nuova civiltà su un altro pianeta, mentre
Sunfighter segna la riscoperta della Madre Terra e quindi un
rassegnato idillio naturalista, If I Could Only Remember My Name
(1971) di Crosby rappresenta il momento di massimo raccoglimento, di
riflusso dal pubblico al privato, dalla comune all'individuo.
Vi
partecipano Kaukonen, Slick, Casady, Kantner dei Jefferson Airplane;
Garcia, Leish, Kreutzmann, Hart dei Grateful Dead; Neil Young, Joni
Mitchell, Graham Nash e molti altri, L'influenza di tanti cervelli
creativi è tangibile, soprattutto nel forgiare il sound "neutro"
del disco, un sound che, come quello degli altri capolavori della
baia, non è assimilabile a nessun genere. La personalità di Crosby
fissa invece l'umore e in definitiva il senso stesso del disco.
Triste
e sognante, pregno della nuova filosofia della rassegnazione, è un
lungo bisbiglio esistenziale. Crosby si dondola in una trance
mistico-psichedelica, farnetica sottovoce a vocali dilatate,
colloquia con miraggi e fantasmi. Lo stile cristallino dei primi
Byrds si infrange nel sound disorganico del periodo lisergico di
Younger Than Yesterday, il favolismo magico si abbarbica allo
spiritualismo indiano. La carezza luccicante e i lunghi echi
sibilanti della chitarra-guida, sciolti sulla sabbia fine delle altre
chitarre, miniano, acquerellano, colorano l'atmosfera di mistero e di
religiosità. Le voci innalzano salmi eroici, come un coro greco che
ribadisca il monologo assorto, allucinato, stordito, di Crosby, fatto
di lunghe vocali trattenute sottovoce. L'album si apre con la lenta
progressione di Music's Love, un mantra fatto di un unico verso
("tutti dicono che la musica e` amore") ripetuto
all'infinito da un Crosby e il coro canticchiano in trance. Ancor
piu` tenui sono Laughing, un'unica lunga nota sospesa fra terra e
paradiso, un'eco che vibra e ritorna, e poco a poco svanisce nel
silenzio dell'eternita`, Traction In The Rain, una revisione del tema
di Triad bisbigliata sulle corde tintinnanti della chitarra e sulle
cascate cristalline dell'arpa, e soprattutto Song With No Words,
immersa in un'intensita` lirica straordinaria, una preghiera sommessa
e struggente nella quale il canto si libra in voli sublimi, alla
Slick, incapace di articolar parola. In chiusura l'allucinante I'd
Swear There Was Somebody Here, lamento funebre, gioco di riflessi,
trip allucinogeno, grido di gioia e di disperazione, da` la misura
dell'ambiguo equilibrismo di stati onirici e stati mistici.
Un'architettura timbrica e armonica quasi barocca, unatestarda
retorica dell'estasi, un tenue l'estetismo vocale e un forte
impressionismo pittorico fanno di questo disco un'opera unica. Quel
finale di fantasmi che faceva sperare in chissa` quali rivoluzioni
musicali segnava invece soltanto l'esaurirsi di una sorgente, la fine
di un' epoca, e la morte di un mito.
Rockinfreeworld
Con
questo "If I Could only Remember my Name" del 1971, l' era del flower
power volge al termine; i sogni di ''pace, amore, & musica'' entrano
per l' ultima volta in un gran bel disco. David Crosby, eterno hippie,
proveniva, o meglio si era fatto le ossa nel gruppo dei Byrds. Poi
insieme a Stephen Stills, ex Buffalo Springfield, e Graham Nash, ex
Hollies, aveva fondato quella premiata ditta sintetizzata con le loro
iniziali : C S & N. L' esordio fu formidabile, con l' album omonimo.
Ma i tre divennero ancora piu' grandi quando a loro si aggiunse un'
altra leggenda del rock : il canadese Neil Young, anch' egli proveniente
dalle file dei Buffalo Springfield. Il nome venne allargato in C S N
& Y, e la leggenda impresse un' altra profonda orma nell' umida e
soleggiata spiaggia californiana con il capolavoro "Deja' Vu". Allo
scioglimento del supergruppo ecco Crosby affrontare la prova solista....
ma non era solo ... tutti gli artisti principali che avevano dipinto
quegli affreschi musicali della ''love generation'', forse consapevoli
che il tempo dei sogni ad occhi aperti stava finendo, si riunirono all'
amico David Crosby, per consegnare ai posteri l' ultimo colpo di coda di
quella corrente lisergica. "Music Is love", ad opera di
Crosby/Nash/Young, ha un pastorale inizio soffuso di chitarra acustica;
leggeri battiti di mani sono il cuore ritmico pulsante che sorregge e
segna il tempo di questa ballata in perfetto equilibrio tra folk e
psichedelia grazie anche gli interventi di basso, vibrafono e congas di
Young; il testo e' un chiaro esempio di cosa significasse essere hippie
fin dentro le ossa; il cantato e' semplicemente una ripetitiva coralita'
fra Crosby e Nash. "Cowboy Movie", invece, e' tutta farina del sacco di
Crosby : il cantato e' nostalgico e graffiante al tempo stesso, il
ritmo e' contrassegnato da un andamento nervoso che stoppa la melodia
con un certa regolarita', una peculiarita' questa che impedisce alla
melodia stessa di liberarsi con la conseguenza di rendere piu' serena la
struttura stessa del brano. Con questi singhiozzanti sbalzi ritmici la
canzone si mantiene sotto una luce densa di inquietudine, a stento
repressa, tanto che il finale e' un crescendo adrenalinico in cui la
voce di Crosby cresce in tonalita' perdendo quella limpidezza di
partenza ed alternandosi alle unghiate chitarristiche profonde di
Kaukonen, che donano al brano quel crescendo di elettricita', punto di
forza di questa melodia. "Tamalpais High", sempre di Crosby : un
arpeggio psichedelico sottile e David che canticchia una melodia
sognante senza frasi; la parte finale, invece, e' contraddistinta da un
solismo chitarristico, che si mantiene volutamente sottotraccia per non
distorcere i tratti somatici di questa delicata ballata. Bellissima.
"Laughing" e' un classico di Crosby, una fra le sue piu' belle
composizioni di sempre. Si apre attraverso tratti sereni e lisergici,
con una chitarra leggera nel suo accompagnamento, contrassegnato da
piccole perle luccicanti di chitarrismo dal sapore country, piccole
toccatine e fuga, che riescono a donare alla canzone stessa piu'
profondita'; La Mitchell entra solo alla fine del testo. E' ad opera di
Crosby e Young, e di tutta la banda Dead, la parte strumentale di "What
Are their Names", : l'acidita' raggiunge qui le vette piu' allucinate di
quel suono che si presta cosi' bene ad esecuzioni fiume in
concerti-trance; spicca l' inconfondibile marchio di Jerry Garcia,
quello stile spezzettato teso a disegnare linee infinite verso la
galassia psichica e la coralita' del cantato. "Traction in the Rain" e'
tutta di Crosby e si sente, perche' ritorna a galla quel suo fare cosi'
dolcemente sognante; il pizzicato e' straordinario... il cantato e' una
dimostrazione di alta classe, a tratti e' soavemente sospirato, in altri
frangenti la voce si erge solo di poco, quel tanto che basta per dare
carattere e forma alla struttura del pezzo; ma e' l'intensita' con cui
scandisce le parole che stupisce : praticamente un recitato emotivo che
non solo colpisce ma trapassa il cuore nella sua grazia vocale. L'
arpeggio di "Song with no Word", sempre di Crosby, e' delicato ed il
cantato - come dice il titolo - e' senza parole, ma bellissimo per
quell' azzeccata melodia westcoastiana che ha in bocca il sapore forte
della malinconia; il basso di Casady pulsa ad intermittenza, senza una
regolarita' ben precisa, e disegna trame musicali di fondo che ben si
amalgano con le sferzate lontane di Kaukonen e del piano di Rolie.
"Orleans" e' una vecchia canzone tradizionale riarrangiata da Crosby in
una versione a cappella che riesce a fondere insieme trame vagamente
gospel con sulfuree note lisergiche arpeggiate in sottofondo. L' ultima
canzone del disco e' un altro strumentale, "I'd Swear there Was Somebody
here", un mantra evocativo fatto di sole voci che si innalzano e si
mescolano fra loro. E' il suggello di un album d' annata, che proprio in
queste ultimissime melodie riecheggia i lirismi liturgici di un rito
che si sta concludendo. Graham Nash, una parte dei Grateful Dead, una
dei Jefferson Airplane, un membro dei Quicksilver M. S., David Freiberg,
ed una parte dei Santana ... e poi ... Neil Young e Joni Mitchell, ...
e... e... e... Tutti insieme unirono le loro voci e gli strumenti
abitudinali per formare un unico coro-strumentale; e sempre insieme
aiutarono il parto di quell' ultimo, disilluso pensiero di David Crosby
su quanto poteva essere e non era stato. "If I Could Only Remember my
Name" e' il testamento musicale di un' epoca, non solo quella di David
Crosby. Dal primo all' ultimo solco di questo disco si respira un'
atmosfera complice, un' atmosfera che sa di club privato, ad uso e
consumo di pochi intimi; quando la festa e' finita a spegnere le luci
per ultimi rimangano solo gli amici piu' fedeli, ignari che quel
tramonto premonitore fotografato in copertina possa segnare la fine di
un' epoca. Un sospiro corale di voci amiche ha soffiato in questo disco e
quel che riecheggia e' "If I Could only Remember my Name".
da Il Rock
Basterebbero i soli crediti a fare di questo disco una leggenda. Eppure nonostante sia suonato da buona parte dei Grateful Dead e dei Jefferson Airplane, da Neil Young, da Graham Nash e Joni Mitchell, If I Could Only Remember My Name è indiscutibilmente il capolavoro personale e privato di David Crosby. Che, al tempo, aveva già fatto meraviglie con Byrds e CSN&Y. Ma qua, qua tra le pieghe di un sogno visionario, sta la sua anima più interna e creativa. Musica liquida e stellare, appesa a una linea di confine tra folk e jazz come un mistero insondabile. Leggero come un gas evanescente, "il nome che Crosby non riesce a ricordare" è adagiato su un tappeto fluttuante in zone inaccessibili alla coscienza umana. Non può e non deve essere un'apologia della droga, ma è indubbio che le sostanze assunte in quegl'anni permisero al Nostro di spingersi molto più in alto delle già conquistate otto miglia. Da lassù cascano come frammenti di pianeti incandescenti le litanie volatili di Laughing e Song With No Words, canzoni di una dimensione parallela. Uno dei più grandi dischi psichedelici di sempre e forse il miglior album solista partorito nell'era della musica dell'amore.
da "100 Album Fondamentali" di Mucchio Selvaggio
da "100 Album Fondamentali" di Mucchio Selvaggio
Ma
cosa succedeva dalle parti della west coast attorno al 1970? Tutti a
fare grande musica, dischi che se li lanciavi disegnavano traiettorie
spaziali ad altitudine otto miglia nel cielo, non un assolo che non
sapesse di viaggio, non un suono che non sembrasse quel suono. David
Crosby è oggi un quasi sessantenne signore panciuto, ma più di
trent’anni fa con i Byrds seppe regalare al rock le ali che tutti
aspettavano. Quindi, chiusa quell’avventura, collaborò con la crema
della visionarietà californiana, impegno culminato - assieme a Stills,
Nash e “cavallo pazzo” Young – con gli epocali Deja Vu (1970) e 4 way
street (1971), quest’ultimo uno dei più entusiasmanti live di ogni
tempo. Nel bel mezzo dell’avventura CSNY, Crosby trova il tempo e il
modo di esordire come solista, ma si fa per dire: in If I could only
remember my name, come al solito, è tutt’altro che solo… Difficile
resistere all’ingenuità incontenibile delle utopie, propalata fin
dall’iniziale Music is love, affidata alla penna e alle pennate di Young
e Nash: euforia aleggiante, la voce di Crosby come un velluto consunto e
un’onda increspata, il coro che intreccia straordinarie eco di
nobilissima scuola. Segue la lunga cavalcata di Cowboy Movie, torrido
blues-rock che incrocia e stempera i fasti ombrosi di Almost cut my hair
e Cowgirl in the sand, una di quelle canzoni che puoi mettere in repeat
nell’autoradio e guidare invincibile attraverso l’inferno e il
paradiso, grazie anche all’ugola del tricheco che dimostra di quanto
soul sappia ammantarsi. Se poi andiamo a snocciolare il parterre dei
musicisti tocca mettere uno dietro l’altro Jerry Garcia, Phil Lesh,
Mickey Hart e Bill Kreutzmann, ovvero i Grateful Dead nientemeno… La
terza traccia è uno strumentale, nel senso che la voce di Crosby si cala
nella parte di pseudo tromba jazz e scolpisce delicati e capricciosi
intarsi melodici sull’ineffabile struttura di Tamalpais High, e –
accidenti - lo fa maledettamente bene. Ma Tamalpais nella mia
immaginazione non è che un ponte verso quel capolavoro (dell’album, ma
non solo) che è Laughing: nella versione nudarella presente in 4 Way
Street è una piccola magia dalla sconvolgente leggerezza, malinconia
dolce che palpeggia il cuore fino al limite della sostenibilità. Qui
invece l’arrangiamento satura gli spazi, i colleghi-amici-fratelli
musicisti si mettono a fare gli straordinari (c’è anche Joni Mithchell
ai cori) rischiando l’ingorgo strumentale e azzeccando invece un
prodigioso equilibrio, dove tutto suona compiuto, semplice e naturale.
Con What are their names si passa (idealmente) al secondo lato, ed è
un’apoteosi di “grandi firme”: agli ormai consueti
Young-Garcia-Lesh-Kreutzmann si aggiungono i sedicenti PERRO Chorus,
ovvero Crosby, la Mitchell, Paul Kantner, Grace Slick, Garcia, Lesh,
David Freiberg e Nash, tutti insieme appassionatamente per una jam
rock-blues appena troppo breve, un paio di minuti in più e Garcia ci
avrebbe portati davvero nell’estasi del frutteto psichedelico da cui
sicuramente coglieva i suoi assoli. (Se non rischiassi di sembrare
appena appena smodato, direi che per assistere ad una session così
potrei dare via un orecchio o un rene). Traction è una ballata sospesa
su languori folk che rimandano ad un intimismo molto presente a se
stesso, mentre Songs with no words ripropone le evoluzioni vocali di
Crosby al limite del piacionismo, stupendamente sospese sulle acque
appena mosse tra un grande piano jazzy (è Greg Rolie, già con Santana e
It’s A Beautiful Day) e chitarre (Garcia e Jorma Kaukonen) in vena di
sdilinquimenti elettroacidi. I due brevi commiati su cui il disco va a
spegnersi vedono Crosby inopinatamente solo: il traditional Orleans -
con i brividi di una performance vocale a più strati che sembra
provenire dai segreti di una cappella gotica - e l’onirica I’d swear
there was somebody here, un addio alle traiettorie vertiginose ad otto
miglia nel cielo, uno sfumare quieto nella pace di un sogno che, da
allora in poi, sarà sempre più soltanto un sogno. Un disco eminentemente
inattuale e – in fondo – anche dispensabile, che però quando capita
consiglio sempre volentieri, quale impagabile messaggero di desueta
utopia, di commovente e ingenua devozione all’idea di musica che si
porta dentro, un’idea che per molti, oggi, sarebbe il caso di ripassare:
o almeno così direi, se non rischiassi di apparire elegiaco,
nostalgico, smodato e polemico. Inutilmente polemico.
Stefano Solventi
Anche
se sono passati più di 30 anni ricordo bene l’eccitazione che era
nell’aria quando, nell’anno di grazia 1971, nel ristretto gruppo hippie
che era tutta la mia famiglia si sparse la voce che era imminente
l’uscita del primo album solista di David Crosby. Allora funzionava
ancora il passaparola non essendoci quella folta stampa rock
specializzata che oggi provvede sin troppo zelantemente ad illuminare
ogni buco oscuro del business musicale internazionale. The Byrds erano
uno dei gruppi che più avevamo amato nella seconda metà dei ’60: ero
ancora fresco ed inebriato delle loro Rickenbakers, delle vibrazioni
mistiche, dei cori metafisici di albums come Mr.Tambourine Man (’65),
Turn Turn Turn ! (’65), ma soprattutto Fifth Dimension (’66) e Younger
The Yesterday ( ’67), due dischi stracolmi di fosforescenti
illuminazioni folk-rock che mi avevano letteralmente spalancato le porte
della percezione sensoriale insieme alle primissime opere dei Doors,
Jefferson Airplane, Grateful Dead. La psichedelia eterea, il raga-rock
dei Byrds avevano prodotto tra il ’66 ed il ’67 dei brani dall’aroma
stordente ed intenso; ma quelli più enigmatici e dilatati non erano
firmati da Roger McGuinn o Chris Hillman bensì da David Crosby: What’s
Happening?, Everybody’s Been Burned, Mind Gardens, Triad, Dolphin’s
Smile profumavano di strazianti rimpianti esistenziali, introspezioni
psichedeliche, sperimentavano con nastri alla rovescia, simulacri
preziosi di musica nuova ! Tra il ’69 ed il ’70 i due storici albums di
Crosby, Stills & Nash (il secondo, Dejà Vu con Neil Young )
confermavano l’enorme talento compositivo di Crosby : Songs come Long
Time Gone e Almost Cut My Hair fecero vibrare con il loro ribellismo
romantico in tutto il mondo un’intera generazione freak-alternativa,
quando tutti questi termini avevano ancora un senso. In realtà si
trattava solo di un lungo preludio a quell’incredibile If I Could Only
Remember My Name uscito nel 1971 che è rimasto per Crosby un picco
d’ispirazione poetico-musicale mai più eguagliato. Allora si parlò di
manifesto etico-musicale della filosofia hippie della West Coast, visto
anche l’enorme numero di artisti/amici che si strinsero intorno a colui
che ne rappresentava il vero e proprio guru. Qualche nome: Jorma
Kaukonen, Grace Slick, David Freiberg, Jerry Garcia, Phil Lesh, Jack
Casady, Joni Mitchell . La filosofia/messaggio del disco è già contenuta
per intero nel brano d’apertura: Music Is Love suona come una nenia
minimale: "tutti dicono che la musica è amore/che la musica è gratis /
spogliati dei tuoi vestiti, distenditi al sole / tutti dicono che la
musica è divertimento". Parole apparentemente ingenue e superate, ma a
ben guardare straordinariamente attuali se per un attimo provate a
considerarle un potenziale antidoto alle sconcertanti vicende
contemporanee, ad un mondo straziato come sempre da bellicismi e dalle
ipocrisie dei potenti (anzi…del potente ). Poi è musica come diretta
emanazione della natura, dei tramonti californiani, del mare, densa di
mille delicati cromatismi e sfumature chitarristiche, con la voce di
David Crosby appesa ad un filo tenue emozionale, che si doppia (Orleans,
Song with no words), che si ripete all’infinito (I’d Swear There Was
Somebody Here), intenta ad esplorare le pieghe più riposte della sua
anima generosa ed inquieta di uomo ed artista. Traction in the rain,
Tamalpais High, Laughing (con un solo interstellare da brividi di Jerry
Garcia) sono il cuore pulsante del disco, songs attraversate da un’unica
linea d’orizzonte, quella dell’utopia freak totalizzante, reduce da una
stagione irripetibile ma che sta volgendo al termine. In If I Could
Only Remember My Name essa sembra toccare la sua estrema
sublimazione/splendore prima di disperdersi nei perfidi anni ’70 che
conosceranno altre seduzioni musicali ed estetiche: "pensavo di aver
visto qualcuno che sembrava finalmente conoscere la verità. / mi ero
sbagliato, era solo un bambino che rideva nel sole, nel sole" (Laughing)
. Due perle d’immancabile ribellismo romantico crosbyano rimangono What
Are Their Names e la lunga saga immarcescibile di Cowboy Movie. Quanti
casini David ti sono successi dopo questo disco ed abbiamo più volte
temuto il peggio, ma mai le meravigliose perle di questo disco hanno
abbandonato il nostro immaginario ed il nostro cuore
Pasquale Boffoli