4 Way Street (1971) pt.2
“Dopo
esserci scolati un’intera bottiglia di Bourbon per uno e assaltato
un’enorme torta di panna e miele a casa di Joni Mitchell in onore
del suo compleanno, io (Crosby) Stills e Nash imbracciammo le nostre
chitarre e – sballati come pigne – incrociammo i nostri destini
per un pezzo di strada”. Iniziò così, per un rubicondo scherzo
del destino, l’avventura di una delle superband – alla quale si
aggiungerà un giovane scapestrato e rocchettaro canadese, Neil Young
- che più di tutte ha “costituito” il vangelo basale degli anni
settanta del flower power, delle utopie trippy, il piede di porco
sonoro che nelle “immaginazioni costipate d’analgesiche visioni”
avrebbe dovuto scardinare le saracinesche di un mondo chiuso.
4
Way Street è l’album doppio che ha fatto “viaggiare” stando
fermi milioni e milioni di “auto-utopisti” e il coagulo di due
stili che si sono messi a confronto, amalgamandosi perfettamente; da
una parte i tre moschettieri del folk country (David Crosby, Stephen
Stills e Graham Nash – l’unico inglese) e dall’altra la
riottosità del rock imbelle di Neil Young – già a quei tempi e
col senno di poi anticipatore inconsapevole di un vocabolo – il
grunge – che sbotterà un ventennio o giù di lì più tardi. Il
fenomenale disco riporta le registrazioni di concerti del quartetto
tenutisi a Chicago, New York e Los Angeles, e viene diviso in due
parti; acustico nella prima dove set solitari e ricami a macramè di
sonorità vocali mettono brividi e nella seconda è pressoché
l’elettricità di marca Younghiana a farla da padrona.
All’inizio
questo disco fatica un po’ a “volare in proprio”, è
l’abitudine che un po’ viene in ritardo anche perché certe cose
allora non ne circolavano, ma appena il du, du, du, du della “Suite:
Judy Blue Eyes” lascia la scena ad un applauso liberatorio, tutto
comincia a roteare per il verso giusto. Ognuno fa la sua parte prima
di unirsi nella coralità. Nash con la sofficezza sociale di “Teach
Your Children”, “Chicago” (al piano) e “Right Between The
Eyes”, poi Stills nelle oniricità aperte “49 Bye-byes”, “Carry
On” e “Love The One You’re With”; l’onda acida e hippyes la
fornisce David Crosby “Triad”, “Long Time Gone” e infine
arriva la struggenza e l’oscuro pessimismo di Neil Young che lascia
una grafia elettro-acustica indelebile con “On The Way Home”,
“Cowgirl In The Sand”, “Don’t Let It Bring You Down”,
“Southern Man” e “Ohio”.
I
quattro artisti nell’insieme innalzano l’apoteosi dell’emozione
al punto di fissare, immobilizzare e imprimere, in questo doppio
album, quel frangente temporale americano ai posteri dei posteri,
lasciandolo in eredità – dopo questo disco che riassume l’unica
tournee del quartetto che si sciolse per incomprensioni e rivalità
subito dopo – come a prefigurare una certa fine, la stupenda magia
di una canzone “Find The Cost Of Freedom”, un diamante acustico e
a quattro voci sublime e mozzafiato che, a sigillo di fine ascolto
concentra in quelle quattro e semplicissime strofe l’illusione, la
miseria e la nobiltà di una generazione di “fiori” che non
avranno mai più un bulbo da cui rinascere. “Scopri il prezzo della
libertà, sepolta nel terreno, Madre Natura ti accoglierà, sdraiati
per terra”.
Massimo
Sannella
Succoso
frutto di diverse esibizioni nell’estate del 1970, 4 Way Street
(Atlantic, 1971) è la definitiva orgia creativa di quattro
musicisti-cantastorie. Sul palco, CSN&Y riescono nell’arduo
compito di racchiudere in poche ore mezzo secolo di tradizione
musicale americana, dal blues più antico e sofferto alle canzoni
folk di protesta. Più che un concerto, un vecchio spettacolo
radiofonico in presa diretta, dove “quelli che hanno la chitarra in
mano” sono esattamente come “quelli che sono seduti ad
ascoltare”.
Quando
David Crosby introduce il folk-blues del silenzio di “Triad” si
avverte un’immediata sensazione di intimità, ma, soprattutto, di
estrema sincerità. Come se fossimo davvero tutti in un sogno
westcoastiano, a nuotare nell’oceano di arpeggi di “The Lee
Shore”. Umori e contraddizioni di quattro uomini, troppo differenti
tra loro per sopravvivere a un’unità che vorrebbe assemblarli,
fonderli. E sono queste stesse contraddizioni a rendere così
straordinariamente genuino un doppio disco dal vivo come 4 Way
Street.
Arriva
il momento di Nash e di “Chicago” - invettiva melodica per
pianoforte e coro - oltre che del folk emozionato, tenero di “Right
Between The Eyes”. Poi, un cowboy dallo sguardo scostante che,
senza fare molti preamboli, inizia a ricamare accordi in polvere di
luna, cristallini nella luce di “Cowgirl In The Sand” e “Don’t
Let It Bring You Down”.
Il
cammino di Neil Young è già segnato, nella sua stessa solitudine
esistenziale, nel suo canto malinconico. Non è il doppio album di un
supergruppo, ma un progetto musicale ben definito, qualcosa che va al
di là dei singoli interpreti.
Stephen
Stills siede al piano per l’artigianale “49 Bye-byes” (in
medley con “For What Is Worth”) e per presentare il futuro
successo gospel-folk di “Love The One You’re With”. È la
celebrazione finale di una primigenia anima acustica, strappata ai
cieli dalla terrena elettricità di due sciamani.
A
svettare su tutti sono Stephen Stills e Neil Young che danno vita
alla strepitosa guerra sonica dell’inno “Southern Man” e
all’infinita jam strumentale di “Carry On”.
Nello
spettacolo si apre, così, una crepa che si approfondisce in una
coesistenza di spiriti opposti, non perfetta, ma assolutamente
miracolosa. Nash guida il boogie-blues di “Pre-Road Down”; Crosby
la maestosità di “Long Time Gone”. È, tuttavia, lo scorbutico
dal Canada a far deflagrare lo spettacolo con il vibrare rock del
capolavoro “Ohio”, scritto sull’onda delle manifestazioni alla
Kent University.
Tutti
in piedi, dunque, per la chiusura acustica corale di “Find The Cost
Of Freedom”, ma, soprattutto, per quattro musicisti sopraffini,
capaci di unirsi nei loro isolamenti creativi, in nome di un amore
viscerale e genuino per una tradizione sonica difficile da
dimenticare.
Il tour di CSN&Y si conclude il 9 luglio a Minneapolis, lasciandosi alle spalle recensioni entusiastiche e solite incomprensioni interne.
Il tour di CSN&Y si conclude il 9 luglio a Minneapolis, lasciandosi alle spalle recensioni entusiastiche e solite incomprensioni interne.
Lo
sforzo è stato titanico: dopo il giro di concerti, i quattro
decidono di accantonare la premiata ditta per dedicarsi ai rispettivi
progetti come solisti.
ondarock.it
L’impegno
civile di Young, il suo fronteggiamento su posizioni democratiche
della politica dell’establishment tenderà a spostare verso una
collocazione “radical” il senso della proposta dei soci Crosby,
Stills e Nash: in 4 Way Street gli attimi forse più palpitanti
vengono dalle note di “Ohio”, dove Neil intona con la voce
frantumata dallo sdegno: “Arrivano i soldati di latta e Nixon, alla
fine siamo rimasti soli, quest’estate ho sentito il rullo dei
tamburi, quattro morti in Ohio, i soldati ci stanno abbattendo e
dobbiamo occuparcene seriamente, avremmo dovuto farlo molto tempo
fa”.
da
Enzo Gentile, introduzione a “Neil Young” (Arcana 1982)