Crosby Stills & Nash (1969)
A cura di Enzo Gentile da (da I 100 dischi per capire il Rock, Editori Riuniti)
Dici Crosby, Stills &
Nash e pensi agli spazi aperti evocati dalle melodie, alla musica “on
the road”, al suono della west coast di cui i tre furono tra più noti
rappresentanti. Anzi, sono: con l’aggiunta del “quarto incomodo” Neil
Young, il gruppo è nel bel mezzo di una delle loro periodiche reunion,
concretizzatasi sotto forma di tour negli Stati Uniti. Come è stato
scritto , i CSN sono stati uno dei primi supergruppi del rock. Prendi
tre-quattro musicisti di diverse estrazioni e mettili assieme: David
Crosby, reduce dal folk-rock psichedelico dei Byrds; Stephen Stills, che
arriva dal country-rock dei Buffalo Springfield; Graham Nash,
l’inglese, proveniente dal pop-rock degli Hollies. Aggiungi un quarto
membro “volante”, uno del calibro di Neil Young, per definizione
l’eclettico del rock. Mischia ben bene e il cocktail sarà simile a
quello che si può immaginare: un gruppo che fonde insieme tutte queste
tradizioni. Un gruppo che, però, avrà successo soprattutto per una
questione, per così dire, “chimica”, che la somma del valore assoluto
dei singoli fattori non può garantire: quelle tre-quattro voci producono
un impasto unico, diventato un simbolo della musica popolare
contemporanea. CSN(&Y) furono e sono una reazione che in alcuni
momenti ha funzionato, in altri no: la storia del gruppo è fatta di
unioni e rotture. “Crosby, Stills & Nash”, il disco di esordio
(1969) è uno degli esempi migliori di questa concatenazione di elementi.
Basta l’apertura di “Suite: Judy blue eyes” per capire di che pasta
sono: il pezzo, scritto da Stills, è un pop-rock acustico, con un
stupendo impasto di voci che si fondono per oltre 7 minuti, chiudendo su
atmosfere latineggianti. Il disco continua mostrando tutte quelle che
diventeranno le caratteristiche del supergruppo: le armonie vocali,
ovviamente; la maturità stilistica e le venature ora pop, ora rock, ora
psichedeliche. Risaltano anche i diversi pesi nell’economia del gruppo:
gli autori che hanno fornito le migliori cose sono sempre stati David
Crosby (autore delle eteree “Guinnevere” e “Long time gone”) e Stephen
Stills, mentre a Nash è sempre toccato il compito di proporre i pezzi
più “radiofonici” (come “Marrakesh express”). Anche se il vero
capolavoro dell’album è “Wooden ships”, cofirmata da Stills, Crosby e
Paul Kantner dei Jefferson Airplane, stupenda e acida ballata
anti-guerra. Un anno dopo questo album, uscì l’altrettanto bello “Deja
vù” (1970) che segnò l’entrata di Young. Durò poco: nel 1971 uscì il
live “4 way street”, pubblicato dopo il primo scioglimento del gruppo.
Che si ritrovò per un tour nel 1974 (senza pubblicare materiale
originale, ma solo la raccolta “So far”) e poi di nuovo nel 1977 (ma
senza Young), dando alla luce "CSN". Tra pause e ripartenze, la saga del
trio-quartetto continuerà fino ai giorni nostri, anche se le successive
uscite discografiche non saranno mai più a questi livelli. Gli album
seguenti, tra cui il recente “Looking forward” (1999, inciso con Young)
non sono mai stati convincenti fino in fondo. Anzi, in più di
un’occasione hanno spesso lasciato abbondantemente a desiderare.
Gianni Sibilla, Rockol
Dal divano alle astronavi: le ristampe di Crosby Stills Nash e Daylight Again.
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