Buffalo Springfield: frecce spezzate
di Fabrizio Pezzoli, tratto dalla rivista Late For The Sky, n. 45, marzo 2000
Certe coincidenze nella vita a volta si affastellano a incastro nel punto preciso in cui esistenze diverse si incrociano per un fugace momento, sollecitando inconsapevoli affinità elettive che producono per un determinato periodo di tempo uno stato di grazia irripetibile. Successe anche ai Buffalo Springfield, con una serie di coincidenze sostenute dalla volontà testarda dei giovani protagonisti della storia. L'istinto non è mai disgiunto dal talento. I Buffalo Springfield furono una fucina di idee, un laboratorio di suoni e di rime, un capitolo introduttivo a quello che poco dopo sarebbe diventato un movimento e uno stile inconfondibile (la musica californiana degli anni Settanta). Per quanto velleitari, in bilico fra tradizione e modernità, in anticipo sui tempi, furono un preludio imprescindibile per altri gruppi e singoli artisti formatisi in seguito e assunti a maggiori glorie. Riassunto in cifre, il resoconto della loro esistenza induce in inganno e non rende giustizia alla gloria che meritano. Due anni di vita. Tre album in studio (e un pacco di antologie). Trentacinque canzoni in tutto. Poco più di un'ora e mezza di musica. Cento minuti scarsi. Ma non poteva andare diversamente. Furono solo un inizio. L'instabilità degli esordi, gli umori personali, il fermento generazionale in cui esplosero come il bocciolo verde e peloso di un papavero rosso, fecero sì che la loro esperienza si concludesse in due brevi ma intense estati californiane. Già durante la Summer of Love del 1967, quella inaugurata in giugno dal Festival di Monterey, i Buffalo Springfield erano orfani di Bruce Palmer (il bassista canadese più volte rimpatriato dalle autorità federali per mancanza di permesso di lavoro) e subivano le defezioni periodiche di un bizzoso Neil Young a caccia dei suoi fantasmi (anche lui con problemi di visti e di tessere, specie quella dell'inflessibile sindacato musicisti americani). Neil andava e veniva talmente spesso che a Monterey i suoi comprimari lo sostituirono temporaneamente con David Crosby. Tra parentesi, Crosby si esibì con gli Springfield solo al famoso festival hippy, ma il fatto non fece che peggiorare i suoi rapporti con i Byrds, che lo congedarono di lì a pochi mesi. La storia degli Springfield era incominciata solo due anni e mezzo prima, nell'autunno del 1965.
In quel periodo il recupero della musica popolare e l'ondata del folk rigorosamente acustico non stavano più solo lambendo le prime spiagge degli ambienti musicali nordamericani, ma si erano già diffuse a marea in ogni ambito studentesco. Già alcuni alfieri tentavano nuove strade di rinnovamento e di ricerca musicale. Bob Dylan aveva appena dato uno scossone al nuovo, confortante stile con la svolta i Newport e i meravigliosi scandali di Bringin' It All Back Home e di Highway 61 Revisited. I Byrds seguivano a ruota il maestro ed elevavano il folk-rock a piattaforma di lancio per avventure spaziali in altri ambiti musicali. Nel 1965 i circuiti del folk erano ancora la terra promessa di tanti giovani poeti con la chitarra, sebbene il terreno fosse fertile per una sana semina innovatrice. Una prima scossa tellurica era già stata provocata dai Beatles, con l'isterico tour americano del 1964 e il trascinante film-documentario A Hard Day's Night, la visione del quale centrifugò miriadi di cellule cerebrali. L'energia e l'entusiasmo giovanili chiedevano spazio alla mesta e rigorosa modestia della tradizione. Il rock premeva alle porte del folk.
Hot Dusty Roads
Ottobre 1965. Da Toronto un ventenne Neil Young, canadese tenace e dotato, capita a New York per una prolifica toccata e fuga di gavetta. L'imberbe Young ha già suonato in svariati complessi adolescenziali e l'ultimo gruppo, gli Squires, si è scilto solo pochi mesi prima. Il canadese sta girando il circuito folk delle grandi metropoli del Nord in compagnia di Ken Koblum, anch'egli ex Squires. Nei locali tipici della Grande Mela i due conoscono Richie Furray (Yellow Springs, Ohio) e Stephen Stills (Dallas, Texas), membri degli Au Go Go Singers, con i quali legano particolarmente. Furay si fa perfino insegnare alcune canzoni da Young, e questo la dice lunga sull'intensità dell'incontro. Ma è solo il primo incrocio. Quattro mesi dopo (febbraio 1966), con la fame dell'esordiente e l'imprevedibilità del genio, Young parte dal Canada a bordo di un carro funebre Pontiac e, in compagnia di Bruce Palmer, suo compagno nei defunti Mynah Birds, fa rotta verso la California in cerca di Stills e di Furay. Pochi giorni di ricerche affannose portano allo storico, casuale incrocio di due automezzi sul Sunset Boulevard, a Los Angeles. Per un pelo la storia non fallisce il suo corso. Dopo alcuni giorni di vane ricerche i due canadesi stanno puntando verso San Francisco con le pive nel sacco, ma fortuna vuole che Stills e Furay, a bordo della loro auto, notino il carro funebre di Young, proveniente dalla direzione opposta.
Ottobre 1965. Da Toronto un ventenne Neil Young, canadese tenace e dotato, capita a New York per una prolifica toccata e fuga di gavetta. L'imberbe Young ha già suonato in svariati complessi adolescenziali e l'ultimo gruppo, gli Squires, si è scilto solo pochi mesi prima. Il canadese sta girando il circuito folk delle grandi metropoli del Nord in compagnia di Ken Koblum, anch'egli ex Squires. Nei locali tipici della Grande Mela i due conoscono Richie Furray (Yellow Springs, Ohio) e Stephen Stills (Dallas, Texas), membri degli Au Go Go Singers, con i quali legano particolarmente. Furay si fa perfino insegnare alcune canzoni da Young, e questo la dice lunga sull'intensità dell'incontro. Ma è solo il primo incrocio. Quattro mesi dopo (febbraio 1966), con la fame dell'esordiente e l'imprevedibilità del genio, Young parte dal Canada a bordo di un carro funebre Pontiac e, in compagnia di Bruce Palmer, suo compagno nei defunti Mynah Birds, fa rotta verso la California in cerca di Stills e di Furay. Pochi giorni di ricerche affannose portano allo storico, casuale incrocio di due automezzi sul Sunset Boulevard, a Los Angeles. Per un pelo la storia non fallisce il suo corso. Dopo alcuni giorni di vane ricerche i due canadesi stanno puntando verso San Francisco con le pive nel sacco, ma fortuna vuole che Stills e Furay, a bordo della loro auto, notino il carro funebre di Young, proveniente dalla direzione opposta.
Expecting to fly
Il giorno dopo l'incontro per strada i quattro sono già chiusi in una saletta di registrazione a provare. Il batterista lestamente trovato è Dewey Martin, ex membro dei Dillards. Il materiale è già abbondante: alle composizioni di Stills si aggiungono quelle di Young; poi ci sono i pezzi di Furay, meno profilico, ma complementare. Il nome del gruppo è presto trovato: dei rulli compressori che stanno eseguendo un lavoro di asfaltatura sulla strada di fornte alla casa di Furay e Stills in Fountain Avenue recano sui fianchi la targhetta di una marca che diverrà ben più famosa in ambito musicale. I Buffalo Springfield incominciano così ad esibirsi nei locali di maggior richiamo della metropoli, trovando in breve tempo un buon ingaggio al Whisky A Go Go. Leggenda vuole che i soldi per il primo impianto di amplificazione professionale vengano generosamente anticipati da Chris Hillman dei Byrds. Il primo concerto importante è all'Holliwood Bowl come gruppo d'apertura dei Rolling Stones. Le loro esibizioni portano presto alla costituzione di un fedele seguito di fans, grazie anche alle caratteristiche del gruppo e dei singoli elementi che lo compongono. Dal vivo gli Springfield sanno animare l'evento. La scena è più o meno la seguente. Stephen Stills (cappello da cowboy e cravattino di cuoio) e Neil Young (basettoni incredibili, zazzera incolta da pellerossa e giacca di pelle di daino a frange lunghe), prima e seconda chitarra solista, improvvisano volentieri dei veri e propri duelli nel bel mezzo dei brani, scatenando l'entusiasmo del pubblico. Richie Furay (giacchetta aderente o camicia country operata), chitarra ritmica e spesso voce solista, non sta fermo un momento sul palco: si avvicina all'asta del microfono solo per cantare, dopodiché saltella all'indietro per i break solistici dei due soci alle chitarre elettriche. Il suo modo di muoversi sul palco, saltellando sulle punte dei piedi e aggredendo il microfono all'ultimo istante ma sempre in tempo per le sue parti vocali, gli fa guadagnare l'appellativo di "dynamic performer". Bruce Plamer, l'altro canadese, martella il basso volgendo sempre le spalle al pubblico (teme come la peste i funzionari dell'Immigrazione); il pubblico non si accorge che a volte il suo basso ha solo tre corde o che spesso sono quattro corde Mi basso di chitarra elettrica accordate all'uopo, anziché un set regolare di corde di basso. Dewey Martin alla batteria occupa il centro arretrato del palco; il suo battere ritmico ha uno stile alquanto funky che presta l'orecchio alla musica nera e al sound di Memphis. Insomma, una band innovativa e fuori dagli schemi. Lo stile delle canzoni varia parecchio da un brano all'altro, gli arrangiamenti sono fantasiosi, le esibizioni elastiche e i generi plurimi. Come definire i Buffalo Springfield? Certamente folk-rock, ma più rock che folk, però anche soul e rythm'n'blues, e visceralmente country, con degli stupendi interventi di chitarre acustiche amplificate. Il loro eclettismo (forse ispirato dai Lovin' Spoonful) li rende parecchio interessanti. Stills è il più rock e blues, con sotterranee influenze latine, e i suoi brani hanno un andamento ritmico eversivo che prelude all'entusiasmo hippy e alla solarità West Coast che si stanno diffondendo alla costa pacifica al resto degli Stati Uniti. Young è più introspettivo, talvolta surreale, fine cesellatore di ballate e melodie uniche che partendo da un substrato acustico folk scioccano a volte per l'arrangiamento ricercato. Furay è il romantico del gruppo e canta melodico come i Monkees e i Beach Boys e non potrebbe fare altrimenti con il timbro vocale che si ritrova. Nel repertorio, la scelta della voce solista alterna il candore espressivo di Furay al timbro roco di Stills e più di rado al falsetto nasale di Young, mentre in ogni canzone l'apporto corale determina scelte che variano dall'intreccio a tre voci, in stile country, al coro di sostegno o di contrasto, in stile R&B e rock'n'roll. L'impasto strumentale e vocale è sempre vario, variato e variabile. L'imprevedibilità nelle esibizioni dal vivo dei Buffalo Springfield è un fattore che se da un lato li distingue dagli altri gruppi, dall'altro li rende sfuggenti e difficilmente inquadrabili. I loro brani non sono mai scontati o banali. Pur pagando un inevitabile pegno al sentimentalismo adolescenziale, i temi trattati parlano spesso di desideri inespressi e solitudini personali, perplessità esistenziali e riflessioni sui rapporti interpersonali. Anche parlando d'amore, Young e Stills trattano l'argomento in modo alternativo, adeguato alle confusioni generazionali in atto. Tanto Stills è franco e diretto, tanto Young è oscuro e simbolista. Young è disincantato, spesso cinico, spiazzante, ermetico, inafferrabile, eppure insostituibile. Furay fa del candore e dell'innocenza la sua bandiera, ma con sincerità spontanea. Stills elucubra, riflette, spesso in bilico fra la semplice felicità dell'esistere e l'incapacità di farlo sempre in buon rapporto con gli altri, cercando nel ritmo quello che la sola melodia non riesce talvolta a liberare. In sala d'incisione ogni brano viene rifinito collettivamente dando voce prioritaria all'autore.
La prima prova su vinile esce nel dicembre 1966 ed è un piccolo capolavoro di intenti. Buffalo Springfield (Atco), con la produzione di Charles Greene e di Brian Stone, contiene il meglio della gavetta e presenta al pubblico un gruppo già sicuro di sé, sia nel mix strumentale sia in quello vocale. La copertina si rifà vagamente ai Beatles di A Hard Day's Night, con volti in primo piano che emergono dal buio (Palmer praticamente irriconoscibile, Young sardonico e spiritato). Tra i brani migliori spicca il talento di Stills, con il trascinante bluegrass-rock di Go And Say Goodbye, il countri-rock di Hot Dusty Roads, il folk elettrico di Everybody's Wrong. Stills ammira molto Fred Neil e talvolta si sente, come in Sit Down I Think I Love You, impreziosita dal coro a tre voci. La sua anima rock ed elettrica vibra particolarmente in Leave e nei riff circolari di Pay The Price. Young si defiola al canto, lasciando la voce solista a Furay e limitandosi a cantare Burned (seduto al piano) e Out Of My Mind (in cui descrive la confusione derivante dalla popolarità). Per il resto interviene ad arte alla chitarra elettrica con precise linee melodiche soliste e partecipa ai cori. Il suo contributo compositivo è certamente il più innovativo e spiazzante, con la melodica invettiva di Nowadays Clancy Can't Ever Sing, il modern folk di Flying On The Ground Is Wrong e la voluta banalità testuale di Do I Have To Come Right Out And Say It. La voce di Furay dà un marcato segno sonoro all'album e fa da collante ai brani, caratterizzati dalla brevità tipica delle canzoni del periodo. Un discorso a parte merita For What It's Worth di Stills. Scritta come reazione ai violenti incidenti avvenuti fra studenti e polizia sul Sunset Strip, uscì come singolo nel gennaio 1967 ed ebbe talmente successo (n. 7 delle Top 100) che la casa discografica decise di ripubblicare subito l'album a fine gennaio, inserendola al primo posto della prima facciata.