Comes A Time - Rassegna Stampa
ALLA
RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
“Viene
il tempo di fare ritorno alle origini...” canta Neil Young nella
sorprendente “Comes A Time”, una stupenda autocritica che
sconfessa la sua rabbia riprendendo il discorso interrotto delle sue
dolcissime e malinconiche ballate.
Neil
anima inquieta, Neil poeta-contadino, Neil allucinato-nevrotico del
passato e del futuro è tornato finalmente all'incisione con Comes A
Time, un disco sorprendente perché legato sonoramente alla prima
fase solista del canadese dell'Ontario. Infatti, ad osservare bene la
carriera solista di Neil, si vede chiaramente come After The Gold
Rush e Harvest siano (e restino) i suoi indiscutibili capolavori,
proseguiti idealmente con la vena elettrica-acustica sino a Zuma che
ha segnato la sua seconda rinascita artistica.
Ma
questo nuovo, eccellente disco (perché non dirlo subito) si
riallaccia alla spontaneità del suo esordio solistico, quel magico
Neil Young del 1969 ancor oggi poco considerato e conosciuto dal
grande pubblico.
Si
era parlato, a più riprese, di nuovi e veri album creativi che Young
aveva registrato prima della fantastica tournée europea nella
primavera del 1976: si erano anche fatti i nomi, Home Grown prima,
Human Highway poi. E invece niente. Solo una tripla antologia, ottima
lente caleidoscopica quadrifonica Decade per dare uno sguardo
panoramico alla carriera artistica di Neil, dai giorni con i Buffalo
Springfield attraverso le eroiche gesta con CSN&Y sino ai giorni
nostri. Ed ora che la sua parabola ascendente-discendente sembra
tornare al punto bonario, semplice, reale di partenza, siamo ancora
qui a parlare di lui, questo scontroso, chiuso, semi-pellerossa dei
tempi moderni, questo redivivo e reincarnato “trapper” di Topanga
Canyon... per celebrare e festeggiare il nuovo ultimo capolavoro.
Comes
A Time nella dialettica younghiana significa “viene il tempo di
tornare alle origini, alla musica come alla realtà esoterica...” e
tutto il disco risente di un'atmosfera surreale che sa di tempi
perduti, di sogni infranti ed ideologie ritrovate. Lo si potrebbe
definire un album acustico dove ogni pagina deve essere letta
isolatamente, più volte, con attenzione; ma la suite continua dei
brani è perfetta, a tal punto, da far pensare ad un disco a
contenuto filosofico unitario ed omogeneo. “Peace Of Mind” getta
addirittura un ponte a mani tese verso gli ultimi giorni dei Buffalo
di Last Time Around, mentre “Goin' Back”, “Look Out For MY
Love” lasciano quasi perplessi, imbarazzati di fronte a una musica
così easy, spontanea, fresca, aperta, specialmente se la si
considera come l'espressione artistica del più emblematico e
misterioso dei musicisti californiani.
Neil
sembra veramente alla “ricerca della nuova musica popolare
americana”, e Comes A Time potrebbe essere solo un primo passaggio
verso forme sonore tradizionali come il bluegrass, il folk e l'honky
tonky music texana. Una parola per i musicisti numerosissimi che lo
hanno aiutato a cesellare questo stupendo mosaico folk-rock archetipo
Byrds & Buffalo: sono con lui i Crazy Horse (Sampedro, Talbot,
Molina e Mulligan) e numerosi ospiti come J.J. Cale, Spooner Oldham,
Ben Keith, Tim Drummond ed una serie di chitarristi acustici, segno
inconfondibile del nuovo corso younghiano.
L'unico
episodio elettrico si chiama “Motorcycle Mama” nel quale la sua
voce si sdoppia con quella caricatissima di Nicolette Larson, in
netto contrasto con la conclusiva gemma acustica dell'album, la
stupenda ballata di Ian Tyson “Four Strong Winds” che è anche il
miglior commiato temporaneo da un musicista dal quale ci attendiamo
ancora grandi cose. A modo suo, ma è rimasto uno dei pochi puristi
californiani, cultori di certa musica a fianco di Roger McGuinn, Joni
Mitchell e Jackson Browne, fratelli lontani di uno smisurato,
tecnologico e caotico paese.
Sergio
D'Alesio, Guerin Sportivo 1978
Disco
ricco e semplice allo stesso tempo, Comes A Time rivela per
l'ennesima volta questo doppio volto di Young. Nell'insieme l'album è
piacevole e, forse per la prima volta, tutti i brani sono condensati,
sono prodotti-canzoni (non nel senso dispregiativo del termine) che
riescono a racchiudere atmosfere diverse, forse più acustiche che
elettriche. Tutto comunque è scorrevole, le dieci canzoni si
lasciano ascoltare serenamente e anche la vena nostalgica del
cantautore non appare eccessiva, pur restando un elemento costante
nell'interpretazione. A Comes A Time ha collaborato un numero
incredibile di musicisti e ingegneri del suono, ma nonostante questo
grande impiego di forze non si notano elaborazioni troppo
sofisticate, anzi, pare che tutto lo sforzo dell'equipe tecnica (e
anche quella dei musicisti) sia diretta verso la meta di una
semplicità armonica, con una melodia che ha contribuito al successo
commerciale del disco. Tra i musicisti presenti in Comes A Time vi è,
oltre ai Crazy Horse Frank Sampedro, Billy Talbot, Ralph Molina e Tim
Mulligan, anche J.J. Cale e la voce di Nicolette Larson che da questo
album ricava, per una sua versione, il brano “Lotta Love”.
Elia
Perboni, Music 1982
Pubblicato
nel luglio '78 è un ritorno, pacato e piacevole, alle atmosfere
country di Harvest. E dopo quel lavoro del '72 è il disco di maggior
successo della decade (assieme a quello che lo segue), ma non è uno
dei suoi lavori più azzeccati. Morbido e suadente, è un album di
transizione in cui Neil infila una serie di composizioni discrete tra
cui si fanno notare "Lotta Love" e "Human Highway".
C'è una cover di "Four Strong Winds" di Ian and Sylvia.
Paolo
Carù, Buscadero 1989
Basta
confrontare la copertina di Tonight's The Night con questa di Comes A
Time per realizzare che il peggio è passato. Mai Young aveva
sfoggiato e mai più sfoggerà un sorriso tanto franco e aperto come
quello del folksinger con la chitarra al collo che qui intona ballate
gentili e rasserenate. Più dei Crazy Horse, comunque presenti,
contano le otto chitarre acustiche di altrettanti musicisti,
l'elettrica di J.J. Cale, le harmonies di Nicolette Larson, il
pianoforte di Spooner Oldham e l'orchestra “via col vento”. Gli
archi spuntano con garbo dagli scampanellii di plettri e quando
cedono il passo a steel e fiddle dipingono capricciose atmosfere
campestri, come nella title-track e nella deliziosa “Field Of
Opportunity”, che pare un omaggio a Gram Parsons. “Lotta Love”
prova inoltre che Young ha tutto il talento per scrivere, quando
vuole, una perfetta canzone pop. Comes A Time è il fratello minore
di Harvest, a cui somiglia per il tenore acustico (l'unico numero
elettrico, “Motorcycle Mama”, è fuori posto), la finezza
melodica e l'ambiente confortevole. Mucchio Selvaggio Extra 2004
Dopo
il biennio oscuro 1973-1975 dovuto a morti dolorose, il primo figlio
con problemi mentali, e abusi di ogni genere, ma anche di grandi
album cupi e spigolosi e dopo due dischi di medio valore come Long
May You Run (con l’amico-rivale Stills) e American Stars’ N Bars,
Neil Young torna alle serene atmosfere di Harvest e nel 1978 pubblica
questo Comes A Time.
Diciamo
subito che l’album, pur non raggiungendo le vette di Harvest, si fa
apprezzare dal pubblico e dai critici che, dopo una serie di dischi
incostanti, sembrano tirare il fiato dalle bizzarrie del loro idolo.
Comes A Time è un disco pacato, registrato (in ben sei studi
differenti!) con gli amici di sempre come Ben Keith, Nicolette
Larson, Tim Mulligan, David Briggs. In un paio di brani figurano
anche i Crazy Horse, in verità però un po’ fuori contesto, e J.J.
Cale.
S’inizia
con “Goin’ Back”, un brano solare, gradevole, ma non
memorabile. Meglio la title track, una ballata country nostalgica con
un bel violino in evidenza e la voce della Larson che segue quella
del leader.
Al
terzo pezzo, il primo con i Crazy Horse, si fa già sul serio. “Look
Out For My Love” è uno di quei brani che ancora oggi non faticano
a entrare nelle scalette dei concerti di Young. I Crazy Horse in
versione acustica sono spiazzanti, anche se la chitarra elettrica
distorta in sottofondo ci avvicina già alle sonorità ruvide del
successivo Rust Never Sleeps. La seconda canzone coi i Cavalli Pazzi
è la successiva “Lotta Love”, un brano però che sembra più
uscito dal un LP del Jackson Browne di quel periodo.
“Piece
Of Mind” è di nuovo un gran brano adagiato su un leggero tessuto
di violini, mentre “Human Highway”, che ricordiamo provenire dal
progetto abbandonato nel 1975 Homegrown, è fantastica e merita
ancora oggi posto nei concerti. Un country in cui la seconda voce
della Larson danza senza incertezze. Più sfumata, e melensa, è
“Already One” che si può dire minore, così come “Field Of
Opportunità”, troppo country old-fashioned per emozionare davvero.
Siamo
in chiusura ed ecco giungere uno dei brani migliori dell’album
“Motorcycle Mama”. Canzone ruvida che musicalmente si stacca dal
resto, crea la base per un bel duetto con la Larson che sembra
salvare la versione qui pubblicata, sempre vicina a spegnersi come se
fosse una demo, ma la voce di Nicolette la riprende più volte. A
fronte del bell’impatto sonoro, il testo un po’ scurrile ne fa un
brano liricamente discutibile.
Chiude
la buona cover di “Four Strong Wind” di Ian Tyson. Un vecchio
pallino di Young di cui si ricorda una hit di Bobby Bare nel 1965.
Tutto
sommato un disco piacevole che grazie all’immagine sorridente della
copertina riconcilia (temporaneamente) Neil Young con il mondo.
Fabrizio
Demarie
Il
rischio dei grandissimi della musica di tutti i tempi è che spesso
le loro opere siano valutate in relazione ai loro stessi capolavori.
D'altra parte, se è con After The Gold Rush che dai il buongiorno
agli anni '70 - e non pago, immediatamente a seguire, proponi
nientemeno che Harvest - un po' c'è da dire che te le cerchi, caro
Neil; e non puoi certo andare a pretendere che quello che farai in
seguito sia poi valutato con le misure adottate per i comuni mortali.
Rischiano anzi di passare in sordina successivi lavori che potrebbero
essere opere di punta per artisti meno fortunati e bravi di te.
È
questo il caso di Comes A Time, 1978. Piacevolissimo album tra folk e
country, che ci permette di assaporare, nella beata pace dei sensi,
uno dei più spontanei momenti di serenità musicale di un artista
particolarmente lunatico e controverso, se si considerano gli stati
d'animo che sembrano animare le sue svariate produzioni.
In
questo senso, purtroppo non ho avuto il piacere di conoscere Neil
Young nel 1978; ma dovendo basarmi sull'ascolto di questo disco,
scommetterei con certezza che stesse passando davvero un bel periodo,
sereno e felice.
Le
immagini evocate da musica e testi riguardano amori, ricordi,
speranze e tanta, tanta natura: il pezzo di apertura, “Goin' back”,
esprime una buona sintesi dell'opera che introduce. Da ascoltare a
occhi chiusi, lasciandoci trascinare a riguardare ciò che di buono
ci siamo lasciati dietro, di modo da prepararci ad accogliere con la
giusta dose di buonumore la titletrack, “Comes a time” appunto,
ballata rigorosamente in maggiore introdotta da un vivace e
spensierato violino, in cui Young sembra semplicemente prendere in
mano la situazione della sua vita, in due strofe e due ritornelli,
valutando il giusto modo di guardare il mondo e invitandoci con
serenità a fare altrettanto. Poi, “Look out for my love”, in cui
una voce, una chitarra e un arrangiamento essenziale inseguono la
speranza di ritrovare un amore perduto, in un mondo tuttavia
indifferente, già in frenetica evoluzione, in cui è certamente
difficile affrontare le cose con la calma alla quale sembra invitarci
l'artista. “Lotta love”, a seguire, è un piccolo gioiello che in
quanto tale sarà ripreso più avanti da Nicolette Larson, in una
magistrale interpretazione che la porterà con merito a scalare le
classifiche dell'anno successivo.
E
così, passando tra un'allegrotta ballata a due voci di stampo
country (“Human Highway”) e un pezzo che richiama al Bob Dylan
più acustico delle origini (“Field of opportunità” è cantata
proprio alla sua maniera!) si giunge con “Motorcycle mama” a una
buona boccata di sano blues, impreziosito proprio dalla voce di
Nicolette, e dominato da una chitarra elettrica che si carica infine
sulle spalle il lato beat e spensierato della questione: l'atmosfera
di definitiva libertà che sprigiona con energia il pezzo è una
degna e riuscita conclusione per quest'album così genuino, in cui
nulla sembra essere fuori posto. Un lavoro senza le pretese né
l'ingombrante spessore dei giganti precedenti e successivi – l'anno
seguente sarà la volta di Rust Never Sleeps - degno tuttavia di
un'attenzione che sarà certamente ripagata nel migliore dei modi.
La
chiusura definitiva è lasciata a “Four strong winds”, che
ritorna nelle righe e chiude il cerchio con il suo finale aperto,
facendoci tornare alle atmosfere iniziali dell'album.
Una
chiusura che ci invoglia inevitabilmente a prenderci per noi i
successivi cinque minuti, e usarli per sbarazzarci di qualsiasi
pensiero.
Saremo
pronti, allora, ad affrontare la quotidianità successiva a questo
ascolto con positività e voglia, disposti sicuramente molto meglio
di prima.
Emanuele
Bellerio, storiadellamusica.it
Dopo
tanta violenza Comes A Time (1978) giunge come un bagno purificatore
nel folk acustico. È un bagno catartico come lo era stato Harvest,
ma le canzoni (fra cui “Comes A Time” e “Look Out For My Love”)
sono molto inferiori.
Ballate
come “Lotta Love” o la lunga “Old Homestead” su Hawks And
Doves (1980), che raccoglie in gran parte "avanzi" dei
dischi precedenti, sembrano riportare alle atmosfere bucoliche di
Harvest, ma si tratta soltanto di una parentesi: la metamorfosi da
cantore della Frontiera a poeta elettrico dell'alienazione
metropolitana e il contemporaneo declino fisico (dovuto agli
stupefacenti) lo portano invece a un suono più crudo e affilato, ben
lontano dalla sofisticata melodica degli inizi.
Piero
Scaruffi
In
Young grande è il disprezzo per l’industria discografica, evidente
il grado di estraneità che vuole mantenere e spiccato il senso di
disinteresse, di sopportazione e di degnanza dimostrate verso le
strutture del business, media compresi. Altrettanto evidente è,
d’altro canto, quanto sia abile e felice l’intuizione
marcatamente commerciale del canadese quando si tratti di desiderare
il successo o qualche specifica gratificazione. Alcuni dei suoi passi
artistici sono chiaramente stati dettati dall’utilità: tempestivo
e puntuale è per esempio Comes A Time (settembre ’78), un album
che risente di una meticolosa ricostruzione a tavolino, in cui Young
rispolvera certe armonie zuccherose e compiacenti della cultura
country, con largo uso di session men, una bellezza estetica
rilasciata senza troppa partecipazione e senza quel calore animalesco
esibito magari in modo arruffato e “sporco” nei capitoli
precedenti.
Se
nell’antologia Decade uno degli inediti era dato dall’avvincente,
ruvida “Campaigner” […], in Comes A Time Young bada più a
carezzare la sensibilità dei suoi ammiratori, li blandisce, li culla
con una musichina ariosa e rassicurante, ideale per riscuotere i
favori. Premiato dalle classifiche, Comes A Time non riceve
un’accoglienza altrettanto comprensiva dalla critica, che in alcuni
casi addita l’album come falso e appiccicoso; in effetti
l’atmosfera che vi aleggia sembra ammantata di una serenità morale
scevra da intemperanze proprio inconsueta per il nostro. “Easy
listening” della più bell’acqua, senza screzi né rimorsi,
quando finalmente i fantasmi della droga, degli amici morti, dei
disastri psico-fisici sono stati sconfitti: Young ha imparato la
lezione del prodotto giusto al momento giusto e tra i pezzi inserisce
“Human Highway”, riciclato da qualche anno prima, e “Lotta
Love”, prestato anche da Nicolette Larson, improntato sulla miglior
filosofia del disimpegno perbenista (“Ci vorrà molto amore per
cambiare il modo in cui stanno le cose, ci vorrà molto amore o
altrimenti non andremo molto lontano”).
da
Enzo Gentile, introduzione a “Neil Young” (Arcana 1982)